«Non sono qui per fare la mascotte». A dirlo è Zlatan Ibrahimovic che, in occasione della conferenza stampa di presentazione ufficiale a Casa Milan, ribadisce la sua voglia di essere determinante. L’attaccante svedese, 38 anni compiuti lo scorso ottobre, torna a vestire la maglia rossonera dopo più di sette anni. Non per questione di soldi, ma per ritrovare l’adrenalina da grande sfida che gli mancava. Questa volta, però, la missione non si chiama scudetto o Champions League. Il Diavolo punta tutto su di lui per uscire dal baratro in cui è sprofondato. Non servono solo gol e giocate, serve carattere.

La trattativa – I primi contatti per sondare la sua disponibilità a ritornare nel capoluogo lombardo sono arrivati a fine ottobre, dopo l’ultima partita di Ibrahimovic con i Los Angeles Galaxy. «Ho ricevuto una telefonata da Paolo Maldini – riassume il giocatore – ci siamo confrontati su idee e progetti per il futuro. A 38 anni ho avuto più richieste di quando ne avevo 28». La vera accelerata per chiudere la trattativa è arrivata durante la sosta natalizia: «Dopo la partita contro l’Atalanta ci sono state tante chiamate». La prima avventura in rossonero si era chiusa, dopo due stagioni, in modo amaro: insieme a Thiago Silva, lo svedese fu sacrificato sull’altare del fair play finanziario dalla gestione Galliani-Berlusconi. Dire di nuovo sì ai rossoneri, però, non è stato difficile per il fuoriclasse: «Quando ho lasciato il Milan non volevo andare via, mi sono adeguato. Ora sono di nuovo qui e farò di tutto per migliorare le cose. Il Milan è come casa mia, quando sono venuto qui dal Barcellona ho ritrovato qui la felicità di giocare a calcio. Spero di restituire qualcosa»

«Non sono i 100 metri, ma una maratona» – Si è visto un Ibrahimovic più umile. O forse meglio dire meno spaccone. Sulle spalle ha già i gradi del leader e come tale parla. Ma non gli manca la voglia di regalare qualcuna delle sue battute per alleggerire l’atmosfera. È consapevole di essere tornato a Milanello in una situazione delicata. «Bisogna lavorare tanto», è il concetto che ripete più spesso. L’obiettivo è essere d’aiuto alla squadra in tutti i modi, prenderla per mano e accompagnarla in un percorso di crescita che sarà lungo. «Non sono i 100 metri o uno sprint. È una maratona», sottolinea. Così come è conscio del contributo che può dare alla causa alla sua età. Dovrà gestire le energie e il fisico in campo. Impossibile ripetere le prestazioni di 10 anni fa, fa presente, «però uno che sa giocare sa quello che deve fare. Non bisogna esagerare. Invece di correre puoi tirare da quaranta metri, no?».

«Sono molto più cattivo» – È ancora presto per sapere qual è il ruolo che Pioli gli affiderà in campo. Poche ore dopo l’atterraggio a Linate e le visite mediche, Zlatan era già a Milanello per un primo allenamento in palestra. Lì ha avuto un primo faccia a faccia di pochi minuti con il nuovo allenatore. Quello che può dare al gruppo lo sa bene ed è pronto a mettersi al servizio della squadra. Così come sa benissimo quello che chiederà ai compagni. «Chi non sa soffrire non ottiene il massimo dal suo potenziale. A me piace soffrire e per quello lavoro sempre duro e mi aspetto tanto dai miei compagni, a volte anche più di quello che possono dare». Sa che dovrà guidare uno spogliatoio molto giovane, tutto da conoscere. E dovrà far valere la sua maturità. Scherzando sul suo ruolo di padre avverte: «Ora che so quanto è difficile crescere due bimbi, sono molto più cattivo».

Il monito di Boban – L’entusiasmo è già altissimo tra i tifosi. Ma se Ibra promette di tornare a far saltare di gioia San Siro, dall’altra parte la dirigenza rossonera cerca di riportare l’ambiente con i piedi per terra. La ferita aperta dal 5-0 incassato dall’Atalanta prima della sosta natalizia brucia ancora. Ci pensa Zvominir Boban, Chief Football Officier del Club, a ricordare l’«orrenda e inaccettabile» sconfitta: «Non vorrei che ci si scordasse Bergamo. Nessuno di noi, tantomeno la squadra, si deve nascondere dietro le spalle larghissime di Zlatan».