Aldo Moser nel Giro del ’65 durante la tappa dello Stelvio. Foto Wikimedia Commons di Giorgio Lotti (Mondadori Publishers)

È morto ieri, 2 dicembre, Aldo Moser. Aveva 86 anni ed era ricoverato all’ospedale di Trento dal giorno prima a causa del Covid. È stato il capostipite di una vera e propria dinastia di ciclisti. Nei suoi 19 anni di carriera professionistica, tra il 1954 e il 1973, ha corso con tante leggende dei pedali: dagli esordi al fianco di Fausto Coppi alla stagione finale con i fratelli minori Diego, Enzo e Francesco.

La carriera – Aldo, primo di 12 fratelli, era nato il 7 febbraio 1934 a Palù, un piccolo paese nel comune trentino di Giovo. Lì in bici non si andava per passione, ma per necessità: le macchine ancora non esistevano e la due ruote era il mezzo più comodo per spostarsi tra un campo da coltivare e l’altro. Finché nel 1951, a 17 anni, Aldo annuncia a mamma Cecilia di voler fare il ciclista. È l’inizio della grande dinastia dei Moser. Nel corso di una lunga carriera si è distinto come velocista nelle gare in pianura e in quelle a cronometro. Tra le principali vittorie, ricordiamo la Coppa Agostoni del 1954, vinta nella sua stagione d’esordio, il Gran Premio Industria e Commercio di Prato nel 1955, il Trofeo Baracchi (nel 1958 e 1959), la crono del Grand Prix des Nations del 1959, la Manica-Oceano nel 1960 e la Coppa Bernocchi del 1963, dopo 70 km di fuga in solitaria.

Il gesto più bello – Moser ha partecipato 16 volte al Giro d’Italia, vestendo in due occasioni la maglia rosa. Il miglior risultato è stato il quinto posto nel 1956. In quell’occasione, durante l’ultima tappa, si è reso protagonista di un gesto di grande sportività, rimasto negli annali del ciclismo. Si correva per 242 km, con partenza a Merano e arrivo in salita sul Monte Bondone. Era l’8 di giugno, ma la gara venne segnata da un’intensa bufera di neve. Per Moser la sfida era già compromessa in partenza, dato che fino a Predazzo dovette usare le scarpe del compagno Gilberto dell’Agata (44 di piede, mentre lui portava il 42). Arrivò decimo, molto staccato da chi poi avrebbe vinto quel Giro, il francese Charly Gaul. Durante l’ascesa al Bondone, Moser vide in difficoltà il rivale, ma lo aiutò comunque. «Ci fu un tratto della corsa in cui lui rischiò di perdere quella tappa e sicuramente anche il Giro. Mi misi al suo fianco e, malgrado fossi sofferente (servirono due mesi perché le sue dita si sgelassero, ndr), lo riportai sui battistrada, ricucendo uno svantaggio che lui da solo non avrebbe mai colmato».

La dinastia – Moser ha avuto il merito di spingere il fratello Francesco, di 17 anni più giovane, a seguire la sua stessa carriera. Da lì sarebbe nata una delle maggiori stelle del ciclismo mondiale, vincitore di due Giri e tre Parigi-Roubaix. A queste si aggiungono 273 trionfi in gare su strada, il migliore per distacco tra i corridori italiani e il terzo in assoluto al mondo. La dinastia partita da Palù di Giovio è poi proseguita con il cugino Gilberto Simoni fino ai nipoti Moreno e Ignazio, più conosciuto per essere il fidanzato di Cecilia Rodriguez, sorella della più famosa Belen. «Oggi è un giorno triste», commenta Roberto Paccher, presidente del Consiglio della Regione Trentino Alto Adige, «La nostra terra perde il patriarca dei propri ciclisti. Campione di rara generosità, è riuscito a far appassionare al ciclismo generazioni di trentini, che con orgoglio avevano trovato il loro campione».