Il cuore di tenebra è quello di mister Aliou Cissè; i piedi, luminosi, di Sadio Manè. Dopo avere perso due finali, alla fine il Senegal ce l’ha fatta a conquistare la sua prima Coppa d’Africa. Non sono bastati 120 minuti per avere ragione dell’Egitto: dopo lo 0-0 dei tempi supplementari ci sono voluti i calci di rigore per decretare la vincente della 33esima rassegna del continente nero. L’uomo del destino è Manè, che fa e disfa a piacimento: prima sbaglia un penalty che poteva essere sanguinoso, poi, nella serie decisiva dal dischetto, si riscatta mandando i suoi in paradiso. La fotografia finale è quella che immortala le lacrime di gioia dei Leoni della Teranga (“ospitalità” in lingua wolof), al loro primo storico successo, e quelle di disperazione degli egiziani, cui non è riuscito di trionfare per l’ottava volta. A Yaoundè, capitale del Camerun, si è chiuso un cerchio apertosi proprio vent’anni fa, quando Aliou Cissè, capitano della nazionale che avrebbe poi stupito il mondo al Mondiale di Corea-Giappone, sbagliò l’ultimo rigore consegnando la coppa nelle mani del Camerun di Samuel Eto’o: diventato commissario tecnico nel 2015, Cissè ha vinto da allenatore quel trofeo sfuggitogli da giocatore. Sempre ai rigori, sempre nell’anno dei mondiali, sempre davanti a Eto’o, seduto in tribuna in qualità di presidente della federcalcio camerunense.
Super Gabaski – Doveva essere Manè contro Salah, è stata Gabaski contro tutti. Allo stadio Olembè di Yaoundè, sotto lo sguardo dell’88enne presidente-monarca Paul Biya, è andata in scena una finale contratta, dove la paura di perdere ha sabotato i propositi offensivi di entrambe le squadre. A inserirsi nella sfida tra i due compagni di squadra del Liverpool (votati migliori giocatori d’Africa per tre degli ultimi quattro anni) è stato il portiere egiziano, al secolo Abou Gabal, vero eroe inatteso di questa Coppa d’Africa: riserva della viglia, diventato titolare dopo l’infortunio del titolare El Shenawy, Gabaski è stato l’uomo in più di un Egitto che della distruzione del gioco altrui ha fatto credo e missione. Neanche il tempo di iniziare e la serata si accende. Al terzo minuto Abdelmonem falcia Ciss lanciato a rete. Rigore. Dal dischetto si presenta proprio Manè, con l’amico – nemico Salah che prova distrarre il collega della Merseyside: il leader senegalese si lascia ipnotizzare da Gabaski, al quarto rigore parato in tre partite, dopo quelli respinti all’ivoriano Bailly agli ottavi e ai camerunensi Moukoudi e Silki in semifinale.
Reti bianche – Il Senegal accusa ma si riprende. Manè, ancora convalescente dall’errore dal dischetto, spreca un assist al bacio di Sarr al 23’, mentre al 48’ trova ancora super Gabaski a dirgli di no: l’estremo difensore dei Faraoni continua il suo show prendendosi gli applausi in panchina del preparatore dei portieri egiziano, il leggendario Essam El Hadary, quattro volte campione d’Africa, che a Russia 2018 è diventato – con i suoi 45 anni e 161 giorni – il giocatore più anziano a essere mai sceso in campo in Coppa del Mondo. L’Egitto, assai più attento a non scoprirsi che ad avanzare, tenta la sorte solo sui calci piazzati: al 75’ Hamdy anticipa Diallo di testa ma mette a lato di pochissimo. Non succede più niente fino ai supplementari, dove i subsahariani prendono d’assedio la porta egiziana. Mezz’ora di Senegal contro Gabaski, con il portiere nordafricano che è monumentale su un colpo di testa di Gueye e ancora su Manè. Il Senegal rischia la frittata al 119’, quando Mendy è costretto ad alzare in angolo il tiro a botta sicura di Hamdy. Si va ai rigori, dove si ripete il siparietto già visto in occasione delle serie contro Costa d’Avorio e Camerun, con El Hadary che consegna a Gabaski una bottiglietta foderata di adesivi con le indicazioni dei rigoristi avversari. Abdelmonem completa la sua serata horror colpendo il palo, Gabaski rimette tutto in parità parando su Sarr, ma Lasheen si fa respingere la conclusione da Mendy regalando il match point ai Leoni della Teranga. Il pallone decisivo lo calcia proprio Manè, che riscatta l’errore dei tempi regolamentari firmando l’apoteosi senegalese.
Folklore e tragedia – Dopo le polemiche dei mesi scorsi (molte leghe europee hanno chiesto che la manifestazione non si disputasse causa Covid), quella andata in soffitta il 7 febbraio è stata l’edizione forse più folkloristica di una competizione da sempre ammantata di rituali propri. Sui campi camerunensi si è visto più o meno di tutto: arbitri che fischiano la fine con cinque minuti di anticipo (lo zambiano Sikazwe in Tunisia-Mali, vittima, secondo i vertici Caf, di un’insolazione che ne avrebbe ottenebrato la lucidità); inni sbagliati e fatti cantare a cappella dai giocatori su richiesta dei disorganizzatissimi organizzatori (Mauritania-Gambia); nazionali che giocano senza portiere (le Isole Comore, rivelazione del torneo, hanno dovuto schierare il terzino Alhadhur tra i pali contro il Camerun, causa indisponibilità dei tre estremi difensori: lasciati in balia del traffico impazzito della capitale, i giocatori erano stati tra l’altro costretti a cambiarsi per strada per arrivare in tempo al calcio d’inizio), chiamate Var per decretare l’assegnazione di un calcio d’angolo (no, il protocollo non lo prevede). E ancora: il ghanese Tetteh che, uccel di bosco, si rintana negli spogliatoi per tentare di sfuggire all’arbitro intenzionato a espellerlo, il Sudan costretto a cambiare divisa nell’intervallo contro la Guinea-Bissau perché privo di maglie a sufficienza per i giocatori in panchina in procinto di entrare. Ma la commedia si è tinta di nero quando, durante l’ottavo tra i padroni di casa e le Comore, ci sono stati otto morti e 38 feriti nella calca creatasi fuori dallo stadio Olembè di Yaoundè, lo stesso nel quale si è tenuto l’ultimo atto della manifestazione. A loro è stato dedicato un minuto di raccoglimento prima del fischio d’inizio della finale.