È quasi fatta: il calcio italiano ritornerà in campo con il termine ultimo per la fine delle competizioni fissato al 20 agosto, scelte del governo permettendo. La decisione della Federcalcio, tuttavia, scalda gli animi di tutti, a partire dai calciatori, che hanno manifestato attraverso il presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, Damiano Tommasi, le loro perplessità. I dubbi e i contrasti, in caso di una gestione fallimentare del calcio post-epidemia, i malumori potrebbero far tremare gli ambienti federali e lambire la stessa presidenza di Gabriele Gravina.

La data – Il presidente della Federcalcio, però, prosegue dritto verso l’obiettivo di «giocare tutte le partite in campo». Dopo il lungo Consiglio, Gravina ha prolungato i termini della chiusura al 20 agosto, così da consentire anche alla B di concludere e di non stremare la A in una corsa contro il tempo. La data dalla riunione dopo la quale si comunicherà la data di ripresa della stagione 2019-2020, sospesa a causa dell’emergenza Covid-19, è fissata per il prossimo 28 maggio. L’idea di far ricominciare le partite il 13 giugno è finora l’ipotesi più papabile per il ritorno al calcio giocato, anche se non si escludono le date del 17 e del 20 come alternative. Sarà il governo, tuttavia, ad approvare o meno la data del fischio di inizio decisa dalla Figc: sarà il ministro dello Sport Spadafora, infine, a mettere il sigillo su ogni decisione dei vertici federali.

Deroghe e stop – Nel frattempo proprio la Federcalcio definisce anche le fasi della prossima stagione, per la quale si apriranno i palcoscenici dal 1 settembre, mentre sul fronte dei tesseramenti dei calciatori i termini di deposito dei contratti preliminari passano dal 1 giugno al 31 agosto. Ferrea, invece, la linea per qiuanto riguarda le categorie dilettantistiche: stop immediato di tutte le attività, ad eccezione della Serie A femminile, per cui si valuta una ripresa in aderenza ai protocolli sanitari. 

La rivolta – L’Associazione Italiana Calciatori si è mostrata rigida nei confronti delle scelte di Gravina. Secondo il sindacato, infatti, le modalità per le licenze nazionali utili all’iscirizione ai tornei permetterebbe alle società di pagare solo lo stipendio netto di maggio, con marzo e aprile ancora oggetto di trattativa tra sportivi e club. «I calciatori sono stati in campo sino al 15 marzo, hanno lavorato con il preparatore durante il lockdown e ora le società possono non retribuirli. Sono deluso e preoccupato. Gli imprenditori del calcio chiedono soldi a tutti, Uefa, Fifa e governo pur di non pagare i calciatori», ha dichiarato il presidente Aic, Tommasi, a ridosso dell’incontro odierno.

Il “no” della C – In caso di un nuova pausa dovuta all’emergenza, la Federcalcio ha predisposto piani alternativi, con modifiche che includono playoff e playout in caso di un allontanamento forzato dai campi da gioco. Valutate anche le soluzioni in caso di scenari più gravi, per esempio uno stop definitivo, con coefficienti correttivi che aiutino a definire la classifica finale. Contro questo sistema si somo schierati gli organi della Lega Pro. Gli esponenti della serie cadetta, a partire dal presidente Francesco Ghirelli fino alle associazioni di categoria, come l’Assocalciatori, hanno espresso contrarietà alle scelte federali. Il presidente della C, in particolare, si è detto preoccupato della possibilità di non riuscire a rispettare le direttive sul contenimento del virus. «Non siamo in grado di giocare, ce lo hanno detto i 60 medici delle nostre società e non possiamo garantire le misure per salvaguardare la salute», ha riferito Ghiretti. che ritiene difficile anche l’opzione di giocare solo play-off e play-out per definire promozioni e retrocessioni.