women

Le curve, i calciatori, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese. Osannate per un giorno, dilettanti per il resto della vita. Sono le donne del calcio. Paladine del sacro impero del pallone, guerriere dal tacchetto tredici, regine di copertine e cliché. All’occorrenza anche calciatrici, arbitri, presidenti e donne di club. È la fotografia in rosa del calcio all’italiana nell’anno 2016, un quarto di secolo dopo che le porte dello sport azzurro per antonomasia si sono aperte anche al gentil sesso. Tempi moderni in salsa tricolore. Lesbiche, handicappate, cricca di omosessuali. Alla corte di re Carlo «finora si riteneva che la donna fosse un soggetto handicappato rispetto al maschio sotto l’aspetto della resistenza, del tempo e dell’espressione atletica. Ma si sbagliavano». Vita et gesta di Carlo Tavecchio, presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Da poco si è scoperto che calciatori e calciatrici sono in realtà molto simili. L’avanzata delle code di cavallo fa tremare creste, lacche e capelli di carbonio.

A consacrare la parità di genere nella galassia podistica due miti dell’extra calcio: Panini e Fifa. Sulle 128 pagine dell’album dell’intramontabile generazione «celo celo manca», una è dedicata ai tredici club di Serie A Femminile. E sulla copertina di Fifa 2016 Alex Morgan e Christine Sinclair, centravanti della nazionale statunitense e capitano della compagine canadese, posano a fianco di Lionel Messi. Versione nordamericana del videogioco più popolare al mondo mentre l’altra metà dell’Atlantico si destreggia ancora con la versione beta. Il fuorigioco spiegato a una donna? Un supermercato rettangolare a luci e suoni: «Se io ti lancio un paio di scarpe, e tu lo prendi oltrepassando l’ultima cassa, l’allarme suona!». Elementare, almeno quanto gli stereotipi che vogliono le donne lontane dagli stadi e dal monopolio del maxischermo la domenica. Pregiudizi, vezzi e cliché che la nazionale di calcio norvegese, una delle rivelazioni dei Mondiali 2015, ha sfidato con sarcasmo e ironia in un video che ha fatto il giro della rete. C’è chi cede all’istinto di prendere la palla con le mani, chi chiede di restringere il campo, chi vuole guanti più grossi, chi non capisce le regole e chi lascia la squadra perché tutte si innamorano di lei.

Dal campo alle tribune di onore, dal fischietto alla presidenza, lontano da erba e tacchetti c’è un’altra partita che le donne stanno giocando oltre i tempi regolamentari. Un campionato a parte fatto di progetti, posizioni e investimenti. È il nuovo volto del calcio al femminile nostrano: più di 22mila iscritte, un campionato delle giovanissime in cantiere, l’esordio di quattro arbitri donne in serie D, la prima nazionale di deputate ed eurodeputate di diversi schieramenti.

Il mondo arbitrale è stato aperto alle donne nel 1990: oggi nelle due massime serie c’è una sola donna, di ruolo guardalinee. La storia delle donne in giallo l’ha aperta Anna De Toni, primo direttore di gara ad approdare nel calcio professionisti maschile nella stagione 2005/2006. Poi venne Cristina Cini, la prima assistente ad esordire in serie B, tre anni prima. Insultata, poi promossa. Da allora poco o nulla è cambiato: le donne negli stadi, vecchi e nuovi, continuano ad essere guardate, nel migliore dei casi, con sospetto. Più si scende di categoria, più sale il numero di presenze femminili. La chiamano la lobby dei diritti negati e c’è anche chi ha fatto appello alle quote rosa. Oltre alle gambe c’è di più. Erano gli anni Novanta, e già si era scoperto il lato B del calcio all’italiana.

Elisabetta Invernizzi