I rifiuti lasciati dai tifosi inglesi prima della finale di Euro 2020 (EPA/ANDY RAIN)

Quarantanove arresti, 19 agenti di polizia feriti. Questo il bilancio della folle giornata dei tifosi inglesi a Londra, iniziata con l’entusiasmo anticipato per una vittoria quasi certa e finita con la delusione per l’ennesima chance sprecata di riportare il “football” a casa. In mezzo, tantissimo alcool. E ritornano alla mente le immagini degli hooligans, che negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso mettevano a ferro e fuoco gli stadi di tutta Europa.

Irruzione a Wembley – I problemi di ordine pubblico, per le autorità inglesi, sono iniziati già ben prima della finale Inghilterra-Italia vinta ai rigori dagli Azzurri. Un gruppo di fan della nazionale di Gareth Southgate ha assalito alcuni italiani strappando loro la bandiera tricolore: non riuscendo a bruciarla, l’hanno calpestata sputandoci sopra. Centinaia di tifosi sono riusciti a entrare a Wembley senza biglietto, assaltando i controlli di sicurezza all’ingresso dello stadio oppure approfittando delle entrate per i disabili lasciate scoperte. Gli steward hanno provato a placcarli, ma non sono riusciti a fermarli tutti: alcuni sono riusciti a raggiungere le tribune, costringendo il personale a identificarli con le telecamere ed espellerli. Secondo alcuni testimoni, il personale a disposizione per il servizio di sicurezza sarebbe stato decisamente poco per un evento della portata di una finale europea.

 

Migliaia di persone hanno affollato Leicester Square a Soho, devastandola tra fumogeni e lanci di bottiglie di vetro. Incuranti, ovviamente, delle misure di distanziamento sociale ancora (per poco) vigenti in Uk, o della variante Delta che l’11 luglio ha prodotto più di 31mila contagi nel Regno Unito.

 

Fischi e razzismo – All’interno dello stadio non è andata molto meglio, con la tifoseria inglese che ha mostrato un altro dei peggiori lati di sé. Nonostante gli appelli del premier Boris Johnson e dello stesso ct dei Tre Leoni Southgate, la folla di Wembley ha fischiato l’inno di Mameli. «È importante che i nostri fan rispettino sempre gli avversari», aveva detto il commissario tecnico, dopo che comportamenti simili si erano già visti contro Germania, Danimarca e Scozia: ma la richiesta è stata disattesa. E dopo il match, sui social, si è scatenata un’ondata di insulti nei confronti di Marcus Rashford, Jadon Sancho e Bukayo Saka, i tre rigoristi, tutti di origini africane o caraibiche, che hanno fallito dagli undici metri consegnando l’Europeo nelle mani degli Azzurri. Invettive a sfondo razzista che hanno attirato l’attenzione di Scotland Yard: la polizia inglese ha dichiarato di avere aperto un’indagine e affermato che «comportamenti del genere non saranno tollerati». La federcalcio inglese (Football Association) si è definita «disgustata» e «inorridita» dagli insulti, e una condanna dell’accaduto è arrivata anche dal premier Johnson, su Twitter: «Questa squadra deve essere accolta come degli eroi, non deve essere oggetto di ingiurie razziste sui social media».

Hooligans – Le immagini del caos pre- e post-partita hanno riportato alla memoria il fenomeno degli hooligans, la frangia più estrema e violenta del tifo calcistico anglosassone. Negli anni ’70 del secolo scorso le loro scorribande e gli scontri contro le tifoserie avversarie, al motto di «blood, sweat and beer» (anima, sudore e birra), avevano reso gli stadi un luogo pericoloso da frequentare per le famiglie. Fino ai tragici eventi dell’Heysel a Bruxelles, prima della finale di Coppa dei Campioni del 1985 tra Liverpool e Juventus: la disorganizzazione della polizia belga non riuscì allora a contenere le cariche dei violenti supporter inglesi contro i tifosi italiani. Crollò un muro dello stadio, ci furono 39 morti e 600 feriti. Le squadre inglesi furono escluse per cinque anni dalle coppe europee. Ma per avere una riforma del tifo inglese fu necessaria un’altra strage, quella dello stadio Hillsbrough di Sheffield quattro anni dopo, in cui a morire furono in 96. Arrivò il rapporto Taylor che ridisegnò gli stadi inglesi; i soldi derivanti dalla nascita della Premier League, poi, hanno trasformato gli impianti di gioco in piccoli gioielli urbanistici, all’avanguardia anche dal punto di vista della sicurezza. Ma la violenza è rimasta, anche se oggi con numeri minori e principalmente fuori dagli stadi.