Neppure 24 ore dal lancio, e sul Giro d’Italia è scoppiata la bufera. «Se non cambia la denominazione della città di partenza della corsa, ritireremo il nostro supporto», hanno minacciato nella serata di mercoledì i ministri israeliani dello Sport e del Turismo, Miri Regev e Yariv Levin, in polemica con la definizione di “Gerusalemme Ovest” come luogo di partenza e arrivo della prima tappa del Giro, che per l’edizione 2018 prenderà avvio per la prima volta dallo Stato ebraico. L’indicazione “parziale” della città sacra alle tre religioni campeggiava in bella vista sul sito ufficiale della corsa sin da ieri, dopo il lancio ufficiale della competizione tenutasi a Milano. Poi, a metà mattina, la marcia indietro degli organizzatori: via la parola “Ovest”, e la prima tappa, prevista il prossimo 4 maggio, torna a corrersi semplicemente a “Gerusalemme”. Una contromisura accolta con sollievo in Israele: «Ci felicitiamo della rapida decisione di rimuovere la definizione di Gerusalemme ovest dalle pubblicazioni ufficiali» del Giro, hanno fatto sapere a stretto giro gli stessi ministri.

Il percorso del Giro d’Italia sul sito ufficiale della corsa, prima e dopo l’intervento del governo israelianoDisputa antica – Il governo israeliano non è nuovo a proteste diplomatiche anche aspre sulla questione. Quella lessicale, naturalmente, nasconde una disputa tutta politica. Per lo Stato ebraico, infatti, Gerusalemme è da considerarsi a tutti gli effetti la capitale “unica e indivisibile” del Paese. Nella città hanno sede il Parlamento israeliano (Kenesset), l’ufficio del Primo Ministro e quelli di tutti i principali Ministeri. Uno status tuttavia mai riconosciuto dalla comunità internazionale, che rifiuta di considerare Gerusalemme come capitale, tanto che tutte le ambasciate delle nazioni straniere, Stati Uniti compresi, restano nell’altra grande città del Paese, Tel Aviv. Mentre la parte occidentale della città sacra è parte integrante dello Stato Ebraico sin dalla sua stessa fondazione, sulla base della risoluzione Onu 181 del 1947, i quartieri Est sono stata annessi di fatto da Israele dopo la guerra dei Sei giorni del 1967. Controllata sino ad allora dal Regno di Giordania, la parte orientale della città è abitata in prevalenza da arabi palestinesi, ma è anche quella in cui sorge la Città Vecchia di Gerusalemme, dove sono collocati siti sacri alle tre religioni monoteiste: il Muro del Pianto per gli ebrei, la basilica del Santo Sepolcro per i cristiani, la moschea al-Aqsa per i musulmani. Nonostante la cessione della gestione di quest’ultima all’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), la comunità internazionale non ha mai accettato quest’annessione di fatto da parte dello Stato Ebraico e ha chiesto sin dal ’67 il «ritiro delle forze israeliane da territori occupati». Un muro contro muro senza via d’uscita, almeno sino a quando non sarà trovato un nuovo accordo di pace tra israeliani e palestinesi, considerato che questi ultimi rivendicano Gerusalemme Est come capitale designata del futuro Stato.

Interesse comune – Gli organizzatori del Giro, per il momento, sembrano aver fatto marcia indietro dopo la minaccia israeliana di ritirare il proprio supporto. «La questione era già rientrata, nei contatti privati, già nella tarda serata di ieri», fanno sapere da Rcs Sport, minimizzando la portata dello scontro. Troppo scomodo sarebbe stato mantenere aperto un contenzioso con lo Stato d’Israele, che per ospitare le prime tappe del Giro ha investito in termini d’immagine ma anche finanziari (l’ammontare del contributo garantito non è stato reso noto). Una vetrina internazionale che per gli israeliani rappresenta, a loro stesso dire, la più grande competizione sportiva mai ospitata: un «simbolo di pace e unità» capace di promuovere «la storia, il patrimonio culturale e i paesaggi magici d’Israele», aveva detto poche settimane fa lo stesso ministro Regev. Un entusiasmo condiviso anche dagli organizzatori del Giro, al lavoro sulla partenza “mediorientale” da mesi. «La partenza da Gerusalemme sottolinea l’esistenza di un ponte ideale, fatto di storia, cultura e tradizioni, tra le nostre terre», aveva detto a settembre il ministro dello Sport Luca Lotti, facendo eco alle parole del suo omologo israeliano.

Una grande corsa – Se come sembra la disputa lessicale rientrerà, gli appassionati di ciclismo potranno concentrarsi sul reale programma della corsa presentata ieri. Dopo le prime tre tappe israeliane (Gerusalemme, Haifa-Tel Aviv e Beer Sheva-Eilat), la macchina del Giro rientrerà in patria: la corsa ripartirà dalla Sicilia, prima di risalire a poco a poco lo Stivale fino al Nord Italia. Dopo metà maggio il culmine della corsa: i fan attendono con ansia in particolare la tappa numero 14, con la scalata del Monte Zoncolan fino a 1.750 metri. Montagne che i corridori incontreranno ancora, lato Nord Ovest, a Bardonecchia e Cervinia. L’arrivo – novità anche questa rispetto alla tradizione – è previsto il 27 maggio a Roma. Una sorte di chiusura ideale di grande impatto storico a far da contraltare alla partenza da Gerusalemme.

Il triplete di Froome – Ultima novità a tenere col fiato sospeso tutti gli appassionati di ciclismo, la presenza di Chris Froome, annunciata proprio ieri sera. Il corridore americano, che ha vinto quest’anno due corse prestigiose come Tour de France e Vuelta di Spagna, punta tutta ora sul Giro per marcare un primato mai realizzato da nessun ciclista: vincere tutte e tre le gare a tappe più importanti del mondo di fila. A provare a fermarlo saranno gli sfidanti Dumoulin, Landa, Aru e forse Nibali. Politica permettendo, ci sarà da divertirsi.