Black and white, bianco e nero. Ma è un futuro decisamente a colori quello che si prospetta per la Juventus. A dieci anni dalla retrocessione in serie B in seguito allo scandalo di Calciopoli, ieri sera, 16 gennaio, la società ha presentato il nuovo logo: una «J» bianca stilizzata su fondo nero, a richiamare il nome, le strisce della maglia e «lo scudetto della vittoria». Uno stile minimalista, che non nasconde la volontà di lasciarsi il passato alle spalle e di aprire una nuova fase della propria storia.
Il “brand” Juve – Il nuovo logo è stato sviluppato in collaborazione con Interbrand, società di consulenza newyorkese specializzata in strategia del marchio. È proprio su questo che il club torinese vuole puntare: una nuova immagine di sé, un «brand Juve» che comunichi un senso di appartenenza e un certo stile e valori condivisi. Non a caso il logo è stato presentato come un «nuovo modo di essere Juventus» che attiri «sia gli appassionati bianconeri di tutto il mondo, sia coloro che sono oggi meno vicini al mondo del calcio». Interbrand ha gettato le basi della nuova identità visiva della squadra: il format di «Black and White and More», l’evento al Museo della scienza e della tecnica di Milano in cui è stato svelato il nuovo stemma, è destinato ad essere il punto di partenza della nuova strategia di comunicazione della Juventus.
Ricavi in forte crescita – Crescita del club, del marchio e del business: questa sembra essere la tattica – vincente – della società, realizzata attraverso tanti elementi. In primis lo Juventus Stadium inaugurato nel settembre 2011, di proprietà della squadra, un successo sia dal punto di vista sportivo che economico: negli ultimi cinque anni ha visto vincere i bianconeri in 100 partite su 129 (con 24 pareggi e solo 5 sconfitte) e ha fatto incassare alla squadra 200 milioni di euro. Nel 2010-2011, l’ultima stagione giocata allo Stadio Olimpico, la Juventus aveva staccato biglietti per poco più di 10 milioni: oggi il ricavo medio del botteghino è di 40 milioni per stagione, quadruplicato. C’è poi il merchandising, che dallo scorso anno è gestito direttamente dalla società: nel 2016 ha portato nelle casse della società 13 milioni e mezzo di euro, leggermente meno dei 15 milioni preventivati ma comunque più dei 6 milioni garantiti dal contratto con Adidas, che la Juve ha deciso di non rinnovare.
J Village. Ma la «J» – quella che faceva emozionare Gianni Agnelli ogni volta che la leggeva sui giornali, anche se non si riferiva alla Juve – si è espansa anche in territori diversi da quelli tradizionali. Ad esempio con J Medical, il centro medico che offre servizi che vanno dalla riabilitazione alla medicina sportiva, e J Museum, la galleria che raccoglie cimeli e memorabilia della squadra. Il progetto più ambizioso, però, rimane il J Village, che dovrebbe essere pronto entro l’estate: su un’area di 176mila metri quadri, acquisita dal comune di Torino per un periodo (rinnovabile) di 99 anni, sorgeranno la sede legale della società, il nuovo centro di allenamento della prima squadra, un hotel, un concept store e la scuola internazionale ISE (dall’asilo al diploma, basata sul modello inglese), per un investimento totale di circa 100 milioni di euro.
Sguardo al futuro – Gli esempi da seguire sono le società spagnole e inglesi, Real Madrid e Manchester United in testa. Come loro, la rinata Juve è uscita dal recinto del business tradizionale, facendo dimenticare ai tifosi sparsi per il mondo la pagina nera scritta appena dieci stagioni fa. I bianconeri hanno chiuso in utile per il secondo anno successivo (+11%), con un fatturato in crescita di 13,7 punti percentuali, ormai alla soglia dei 400 milioni di euro. Ma la società non sembra volersi fermare qui. «Per crescere dobbiamo continuare a vincere – ha detto durante la serata di gala milanese il presidente Andrea Agnelli – e a evolvere il nostro linguaggio per raggiungere nuovi target»