Una mano per ingannare il mondo, un piede per farlo inchinare. La “mano de Dios” e “el gol del siglo”. Due reti per entrare nella storia. E per regalarsi l’immortalità. La più controversa e la più bella. Se è vero che l’esistenza di ciascuno di noi possa essere fotografata con delle istantanee capaci di definire il significato di una vita intera, la parabola terrestre di Diego Armando Maradona, scomparso il 25 novembre a 60 anni, è tutta in quei dieci minuti che lo portarono in cielo molto prima che il Creatore decidesse di chiamarlo a sé. Due immagini che, da sole, tratteggiano luci, colori e ombre di quello che, semplicemente, non è stato solo il più forte calciatore di tutti i tempi, ma un’icona pop del nostro secolo. Il nuovo eroe dei due mondi, simbolo del riscatto di due popoli – quello argentino e quello napoletano – che con “el pibe de oro” hanno per un istante dimenticato i problemi della loro quotidianità. C’è tutto, nei dieci minuti in cui Maradona firmò i due gol più famosi della storia del calcio: il delitto e la redenzione.

Il pomeriggio dell'”Azteca” – Città del Messico, 22 giugno 1986. Allo stadio “Azteca” (già teatro nel 1970 della leggendaria semifinale Italia – Germania 4 a 3) si affrontano nei quarti di finale di Coppa del Mondo Argentina e Inghilterra. Non è una partita come le altre, non può esserlo: in pratica è la riedizione in termini calcistici della guerra delle Falkland-Malvinas, che quattro anni prima aveva fatto impennare la popolarità della premier  britannica Margaret Thatcher in patria e che oltreoceano aveva contribuito alla caduta della giunta militare di estrema destra al potere dal 1976.  Era un’Argentina oscura, quella dei “desaparecidos” e delle madri di Plaza de Mayo, l’unico Paese al mondo – si diceva – in cui “era più sicuro stare in strada che in casa propria”.  La sconfitta subita per mano inglese riecheggiava nell’animo del popolo argentino e in quello dei giocatori dell’Albiceleste, decisi a lavarne l’onta con un unico colpo di spugna. «Las Malvinas son argentinas», il coro urlato dagli spalti dell’Azteca.

La vendetta – Con il peso di una nazione intera sulle spalle, Maradona sale in cattedra nel modo più folle e inaspettato. Si capisce che è in forma, ma quello che compie quel pomeriggio non ha eguali. Aspetta fino al quinto minuto del secondo tempo per prendersi la gloria con una scorciatoia, segnando il gol più controverso della storia del calcio: saltando in elevazione per anticipare l’uscita del portiere Shilton, colpisce la palla con un pugno anziché con la testa.  L’arbitro Bennacer non si accorge di nulla. E’ gol. Le Malvinas erano state vendicate. Il delitto perfetto si è compiuto. “E’ stato un gol segnato un po’ dalla mano di Dio, un po’ dalla testa di Maradona” – dichiarerà poi il fuoriclasse argentino, che solo anni dopo ammetterà l’irregolarità di quel gesto. Gli argentini si esaltano, ma il resto del mondo storce il naso. La “mano de Dios” sembra null’altro che un’ ignobile furberia di paese, indegna di un campione di quel calibro. “El pibe de oro” capisce, e impiega poi poco più di tre minuti per dimostrare al mondo di non avere bisogno di barare per vincere. Lo fa nel modo più clamoroso, aggiungendo la redenzione al delitto. Al decimo del secondo tempo riceve palla da Hector Enrique. E’ ancora nella sua metà campo. Dove possa andare partendo da lì è un mistero. L’unico che si avvede del pericolo è Glen Hoddle, che si getta immediatamente sulle sue caviglie, venendo saltato senza sforzo. Di lì in poi, è una sinfonia: come in uno stato di trance Diego ipnotizza, nell’ordine, Reid, Sansom, Butcher, Fenwick e persino il portiere Shilton. Comparse sullo sfondo del dipinto della Storia. E’ il gol del secolo. Undici tocchi a ritmo di Tango. Se prima era stata la mano di Dio a graffiare gli inglesi, adesso è solo il piede di Maradona a prendersi la scena. «Da che pianeta sei venuto, aquilone cosmico?» domanda a nome del mondo intero il telecronista Victor Hugo Morales, esterrefatto cantore dell’impresa. Rimane un mistero, per tutti. Sappiamo solo chi è. Un aquilone cosmico. Che ora vola, libero e colorato, in cielo.