index“La guerra non guarda il nome sulla carta d’identità, né i traguardi raggiunti. Le fatiche e le gioie per conquistare un traguardo sul ring, in pedana, sul campo da calcio, in un circuito o sulla pista di atletica non hanno risparmiato a questi giovani gli orrori della guerra, dove la sfida principale, la vera vittoria, era la sopravvivenza”. E tra il 1915 e il 1918, per la sopravvivenza hanno lottato anche uomini come Enzo Ferrari, Tazio Nuvolari e Vittorio Pozzo. Sono soltanto tre delle dodici storie de “La migliore gioventù”, raccontate da Dario Ricci e Daniele Nardi.

“Vita, trincee e morte degli sportivi italiani nella grande guerra”, recita il sottotitolo del libro (204 pagine, 14euro), appena pubblicato per Infinito Edizioni dal giornalista di Radio24 e l’alpinista. Storie di sportivi, costretti a passare da piste, ring e campi a gelide trincee. Proprio come altre migliaia di ragazzi italiani. La Storia ha stravolto  anche le loro vite. Un aspetto poco noto della Grande Guerra, raccontato ora da queste pagine, nell’anno del centenario della Prima Guerra Mondiale. E per questo il Consiglio dei Ministri ha voluto inserire il libro tra le cerimonie ufficiali, per commemora l’anniversario. “Nardi e Ricci sono tornati nei luoghi martoriati dalla guerra per omaggiare la memoria di chi non è più tra noi, hanno ricordato quel momento così buio da una prospettiva nuova, originale, che ci dà l’esatta concezione di cosa significhi davvero lo sport”, scrive, nella prefazione, Giovanni Malagò, presidente del Coni.

“Il ricordo della grande guerra è sedimentato”, afferma Dario Ricci, “i nostri nonni o bisnonni l’hanno vissuta, noi abbiamo deciso di raccontarla dal punto di vista degli sportivi, ma non è stato facile”. In quali trincee hanno combattuto? Quali orrori della guerra hanno vissuto, che ferite hanno riportato gli sportivi costretti ad indossare una divisa militare? “Si legge sempre l’espressione “tornato dalla guerra”, ma non si spiega mai cosa effettivamente abbia significato, come se andare a combattere fosse una parentesi inesistente”, riflette ancora Ricci, giornalista sportivo di Radio24. Così questo libro decide proprio di raccontare questa “parentesi” della guerra, perché fino ad ora “anche quando si parla di personaggi del calibro di Ferrari o Nuvolari, spesso- prosegue l’autore – si racconta il prima e il dopo della Guerra, non il durante”. Ma in quelle trincee, alcuni sportivi sono anche morti. E sono le loro storie e le loro carriere che Ricci e Nardi ora vogliono raccontare. E onorare. Facendo luce proprio su quegli aspetti, rimasti in ombra. Ci sono storie di nomi molto noti, ma anche di sportivi conosciuti solo ai più esperti.

Uno di loro è “Rondinella”, vale a dire Amedeo Polledri, campione del ciclismo che si affermò in Francia ma che amava portare il tricolore italiano sulla maglia. I francesi lo paragonarono all’uccello simbolo della primavera, per il suo incedere a zig-zag negli sprint. E proprio un volo, quello di un aereo, non di una rondine, gli sarà fatale: durante la guerra divenne pilota e proprio lì morì nel 1918 su un aereo militare.
Tra le altre storie raccontate ne “La migliore gioventù”, ricordiamo quella di Guido Romano, ginnasta e medaglia d’oro alle Olimpiadi di Stoccolma nel 1912: morì nel 1916 durante la battaglia degli Altipiani. A lui è dedicata una piscina pubblica in Via Ampere a Milano. E come loro ci sono tanti altri uomini, che conservarono “un cuore di sportivo anche sotto l’uniforme”, osserva Dario Ricci. “Amavano competere in varie discipline. Come Giuseppe Sinigaglia, il più grande di tutti i tempi nel canottaggio, morto anche lui durante la guerra: si era cimentato pure nella ginnastica e nell’atletica. Oggi è tutto molto diverso”. Ma ai ragazzi e agli sportivi di oggi restano gli esempi e le storie de “La Migliore Gioventù”, cent’anni dopo la Grande Guerra.

Domenico Motisi