Zlatan Ibrahimovic esulta per il suo 500esimo gol (ANSA/MATTEO BAZZI)

«Oggi quando mi sono svegliato pioveva e ho detto “Pure Dio è triste”». Zlatan Ibrahimovic ha commentato con una battuta il suo ritiro dal calcio, annunciato al termine dell’ultima partita di Seria A, in cui il suo Milan ha battuto 3 a 1 l’Hellas Verona. Una frase in perfetto “stile-Ibra”, coerente con l’immagine di sé che ha trasmesso nella sua più che ventennale carriera. Ventiquattro stagioni costellate di successi e record conquistati in giro per l’Europa e con una tappa anche negli Stati Uniti, per un totale di 31 titoli. Sempre nel segno di quella unicità che lo svedese ha saputo esprimere sia in campo che fuori. Il futuro, per ora, è incerto: «Voglio godere di quello che ho fatto. Mi prenderò del tempo di riflessione e poi quando la situazione sarà più calma valuterò. Essere allenatore o direttore comunque è una grande responsabilità», ha detto Ibrahimovic in conferenza stampa, aggiungendo «Non penso che lascerò il mondo del calcio». Il Milan lo ha salutato con uno striscione emblematico: «Godbye Zlatan».

La decisione – Ibrahimovic, 41 anni, nelle ultime due stagioni ha avuto diversi problemi fisici, che gli hanno impedito di scendere in campo regolarmente: solo 31 presenze su 100 partite giocate dal Milan. Gli acciacchi e il dramma della morte dell’amico e procuratore Mino Raiola (mancato il 30 aprile 2022) hanno segnato il campione svedese, che ha è arrivato alla decisione di appendere gli scarpini al chiodo, nonostante non mancassero le opportunità di nuove avventure: il Monza di Silvio Berlusconi e Adriano Galliani sarebbe stato pronto a ingaggiarlo. «Penso di aver deciso negli ultimi dieci giorni. Ho detto basta, devi essere orgoglioso e finire bene».

Adrenalina – Se c’è una parola che descrive ciò che il calcio ha rappresentato per Ibrahimovic è «adrenalina», che non ha caso ha scelto come titolo della sua seconda autobiografia (2021). Un termine che ha ripreso in conferenza stampa: «È stata una carriera lunga che mi ha dato forza, adrenalina ed emozioni per continuare». Una carriera vissuta sempre al massimo, senza mai risparmiarsi e sempre alla ricerca di nuove sfide: sono nove le squadre in cui ha giocato. Partito da Rosengard, un sobborgo di Malmö, diventa professionista esordendo nella squadra della sua città natale. Ad appena 20 anni si trasferisce in Olanda, all’Ajax, dove si impone come uno dei migliori giovani del panorama calcistico internazionale. Di qui, l’approdo alla Juventus di Fabio Capello e poi, dopo lo scandalo di Calciopoli, all’Inter, sotto la guida prima di Roberto Mancini e poi di Josè Mourinho. È qui che lo svedese si afferma definitivamente come un fuoriclasse, incantando e dominando con giocate di classe e colpi di genio fuori dal normale, come il gol di tacco al Bologna nel 2009. Con i nerazzurri vince tutto quello che poteva in Italia, ma il desiderio di alzare al cielo la Champions League lo porta lontano da Milano, a Barcellona.
In Catalogna si ferma solo un anno e, per uno scherzo del destino, il sogno europeo sfuma in semifinale propria contro l’Inter. Il rapporto col tecnico dei blaugrana Pep Guardiola, non è, per usare un eufemismo, idilliaco e così “Ibra” torna in Italia, a Milano, ma questa volta sponda rossonera. Al Milan riesce a riportare uno scudetto che mancava dal 2004 e vince la classifica marcatori della Serie A per la seconda volta, divenendo il primo giocatore straniero a vincerla due volte e il primo a farlo con due squadre diverse (l’altra era l’Inter). Nel 2012 le esigenze di bilancio del club e il lauto ingaggio promessogli dal Paris Saint-Germain lo portano nella capitale francese. Coi parigini gioca quattro stagioni, durante le quali vince trofei a raffica (4 campionati, 3 Coppe di Francia, 3 Coppe di lega e 3 Supercoppe) e si impone come miglior realizzatore nella storia del club (record poi infranto da Edison Cavani). In Champions, però, il cammino è sempre difficile e non prosegue mai oltre i quarti di finale.

Il lungo tramonto – Nell’estate 2016, a 35 anni, si trasferisce in Premier League, al Manchester United, dove vince l’unico trofeo continentale della sua carriera: l’Europa League 2017. La rottura del legamento crociato del ginocchio destro riportata nell’aprile di quell’anno, però, sembra dare il via alla fase discendente della sua carriera. Ibrahimovic si trasferisce negli Usa, al Los Angeles Galaxy. Dopo un anno e mezzo in cui regala al pubblico statunitense gol di tacco, in rovesciata o da 40 metri, torna al Milan, per l’ultima grande avventura della sua carriera. Obiettivo: vincere lo scudetto dopo un digiuno lungo 10 stagioni. Missione compiuta nel maggio 2022. I colori rossoneri sono quelli a cui lo svedese si è legato di più: «Sarò milanista per sempre», ha detto prendendo in mano il microfono direttamente dal prato di San Siro al termine della sfida col Verona.

Nazionale – Con la Svezia, Ibrahimovic ha preso parte a due Mondiali (2002 e 2006) e a quattro Europei (2004, 2008, 2012 e 2016). È primatista di reti: in 122 presenze (che lo mettono al 6° posto in questa classifica) ha segnato 62 gol, alcuni dei quali memorabili, come la rovesciata da 30 metri messa a segno in una amichevole contro l’Inghilterra nel novembre 2012. In quella partita, vinta 4-2, l’attaccante segnò tutti i gol della sua squadra. In patria, tra l’altro, Ibrahimovic ha vinto per 12 volte il premio di miglior calciatore e per quattro quello di sportivo dell’anno.

Stile – Per tutta la carriera, Ibrahimovic è stato un personaggio discusso per le sue dichiarazioni fuori dal campo, giudicate spesso arroganti o presuntuose ma sicuramente mai banali. Come le frasi in cui si equiparava a una divinità o quelle in cui affermava di essere il migliore del mondo. O come la discussione in tv con Arrigo Sacchi al termine di un match di Champions del 2011, quando “Ibra”, fraintendendo un complimento, disse all’allenatore due volte campione d’Europa «Sei geloso, stai parlando troppo». Come dimenticare, poi, il rapporto con Guardiola, riassunto nella frase: «Se compri una Ferrari non puoi guidarla come una Fiat». L’esuberanza mostrata davanti alle telecamere si è vista in campo con giocate da urlo e, qualche volta, anche tramite falli e reazioni eccessive che sono costati al fuoriclasse di Malmö qualche cartellino rosso di troppo. Ibrahimovic, però, è sempre stato un esempio di professionismo, come dimostrano la cura del proprio corpo, la volontà di migliorarsi e la fame di vittorie che ha avuto per tutta la carriera.