Emanuele Paolucci, Integrity Officer della Lega Pro

Emanuele Paolucci, Integrity Officer della Lega Pro

«Le associazioni di tifosi storicamente nascono dal basso: è difficile che l’idea parta dalla società». È la mattinata di martedì 23 febbraio ed Emanuele Paolucci, Integrity Officer della Lega Pro, è appena uscito da una riunione informale in cui si è parlato dei cosiddetti “Supporters Trust”. Associazioni o cooperative nel mondo del pallone che si fanno portavoce degli interessi dei tifosi, e svolgono un ruolo di controllo sulla gestione del club anche attraverso l’acquisto di quote societarie. Con lui ci sono – tra gli altri – Gabriele Gravina, presidente della terza divisone del campionato italiano, e David Miani, consigliere di Sosteniamo l’Ancona. La prima cooperativa di tifosi proprietaria di una società calcistica.

L’Ancona, che milita in Lega Pro, è il paradigma di riferimento per quanto riguarda la formula dei Supporters Trust in Italia. È il 2010 quando la società va incontro al suo secondo fallimento nel giro di appena sei anni. La situazione finanziaria del club è disastrosa e nemmeno la richiesta di aiuto agli imprenditori locali da parte dell’allora sindaco Fiorello Gramillano serve a risollevarla. Così entrano in gioco i tifosi, cioè chi più di tutti ha a cuore le sorti del gruppo. I sostenitori danno vita all’associazione “Sosteniamo l’Ancona” e nel 2011, quando una squadra cittadina si presta a cambiare nome per fare rinascere l’Unione Sportiva Ancona 1905 (diventata nel frattempo una srl), il Supporters Trust ottiene subito due rappresentanti in società e il due per cento delle quote. Sosteniamo l’Ancona si dà da fare: si riappropria di un vecchio simbolo del club e promuove una serie di fortunate iniziative, fino a che nel 2015 il presidente del club, Andrea Marinelli, decide di cederle le quote di maggioranza.

«L’esempio dell’Ancona è considerato un modello di eccellenza in tutta Europa», afferma Paolucci. «All’interno del Trust ci sono diverse figure professionali, come avvocati e commercianti, che hanno saputo muoversi bene. Sono stati molto bravi e le istituzioni e gran parte della comunità sono dalla loro parte. Ma non sempre il Supporters Trust è rappresentativo di tutta la tifoseria e spesso il suo percorso è molto travagliato». Le società calcistiche italiane che sono state affiancate da un’associazione di tifosi, realtà nata nei primi anni Novanta nel Regno Unito (eclatante è il caso del Bayern Monaco), si stanno moltiplicando: si va dalla Fondazione Taras del Taranto all’Azionariato Popolare As Roma dei giallorossi. «L’esempio di Sosteniamo l’Ancona può essere adattato a esigenze specifiche. Per esempio, il Trust non deve per forza passare attraverso raccolte fondi o possedere quote societarie».

Il dato di fatto è che il ruolo dei Supporters Trust sta diventando sempre più importante anche nella nostra penisola. «Questo tipo di associazioni in genere nascono in momenti di difficoltà della società calcistica, ma non c’è dubbio che siano essenziali per avvicinare la gente al calcio e per portare le istanze dei tifosi al club», prosegue Emanuele Paolucci. «Perché i Supporters Trust si diffondano ancora di più è necessario informare meglio le società, fare capire loro di che cosa si tratta e come possono rendersi disponibili». Ma la formula delle associazioni di tifosi si adatta meglio alle grandi squadre come Roma e Napoli o al contesto della Lega Pro? «I Trust possono funzionare in tutte le categorie, come dicevo il loro punto di forza sta nel fatto che avvicinano il tifoso alla società. Ma senza dubbio in realtà più piccole il Trust rappresenta meglio la tifoseria generale e ha quindi più probabilità di successo».

Andrea Federica de Cesco