Un romanzo sportivo lungo 126 anni. Nella sua storia, il Sei Nazioni ha cambiato nome due volte e intrecciato vicende di giocatori e squadre che hanno segnato il gioco del rugby. L’edizione 2020 porta con sé attese e soprattutto scommesse, con cambi di leadership in campo e nuovi allenatori in panchina.
Storia – Nel 1883 il torneo si chiamava Home Nations Championship e veniva giocato dalle sole rappresentative delle isole britanniche e irlandesi. Le prime edizioni furono dominate dalla Scozia che si aggiudicò per la prima volta la “Triple Crown“, titolo che viene conquistato ancora oggi da chi batte tutte le squadre britanniche. Pochi anni più tardi, nel 1905, l’invito a partecipare viene esteso anche alla Francia mentre l’Italia, invece, prenderà parte alla competizione solo dal 2000 facendo assumere l’attuale denominazione al campionato. Dopo essere stato sponsorizzato per anni dalla Royal Bank of Scotland dal 2006 al 2017, e successivamente dalla controllata NatWest fino al 2018, questa è la seconda edizione supportata dal marchio di birra irlandese Guinness. Nell’albo d’oro la squadra più vittoriosa è il Galles con 39 successi, seguita dall’Inghilterra distante un solo titolo dai dragoni. La Scozia rimane l’unica vincitrice a non aver mai conquistato un titolo dopo l’allargamento del torneo all’Italia che, invece, non ha mai conquistato il campionato. Oltre alla Triplice Corona, nel torneo sono assegnati altri due trofei minori ma dalla notevole importanza storica oltre che sportiva: la Calcutta Cup, giocata per la prima volta in India nel 1879 e contesa da Inghilterra e Scozia (con 70 successi inglesi sui 40 scozzesi); e il Trofeo Garibaldi, istituito da Francia e Italia nel 2007 per celebrare il bicentenario della nascita dell’Eroe dei Due Mondi nato a Nizza, città oggi francese, ma all’epoca compresa nel Regno di Sardegna.
L’edizione 2020 – L’Italia aprirà l’edizione di quest’anno affrontando sabato il Galles al Millenium Stadium di Cardiff. Il giorno successivo, inoltre, parte anche l’edizione femminile del torneo, con le Azzurre che giocheranno negli stessi stadi dei colleghi della compagine maschile. Irlanda e Scozia si sfideranno, invece, all‘Aviva Stadium di Dublino, mentre la Francia ospiterà gli inglesi a Parigi, allo Stade de France, nel quartiere Saint-Denis. Il torneo dura sette settimane e prevede partite secche con il vantaggio di giocare in casa che si alterna di anno in anno. Il torneo è itinerante e viene giocato in tutti e sei i paesi partecipanti. Il girone è unico e non è all’italiana, ricalcando il metodo utilizzato anche nei Mondiali: chi vince prende 4 punti, 2 per un pareggio e zero in caso di sconfitta. Punti bonus vengono assegnati alle squadre che realizzano più di 4 mete in un match; 1 punto bonus per le squadre che subiscono uno scarto pari o inferiore ai 7 punti.
Azzurri nel mirino – Chi vince tutte le partite realizza il “Grande Slam“, aggiungendo 3 punti bonus al proprio tabellino. In caso di parità al vertice vince il torneo la squadra con la migliore differenza punti e in caso di ulteriore parità quella con più mete realizzate. Se si persiste ancora nello stato di parità, la vittoria viene assegnata ex aequo. Nella storia del torneo a 6 non è mai accaduto, mentre nelle edizioni precedenti è successo 20 volte, anche con quattro vincitori insieme. Come altre discipline di tradizione britannica, il Sei Nazioni è basato sugli inviti degli organizzatori. La cosa ha fatto storcere il naso più volte a diverse nazionali considerate “minori” nel panorama come Germania, Georgia o Romania, che da anni lamentano gli scarsi risultati degli Azzurri proponendo un sistema di retrocessione. Il riconoscimento sportivo dell’Italia non è stato un regalo ed è arrivato anche grazie a prestazioni come quelle del 1997, dove gli Azzurri ottennero il primo successo contro i cugini transalpini, e in generale ai piazzamenti superiori nei Mondiali rispetto alle nazionali che giocano nel Sei Nazioni B.
I campioni in carica – Il Galles è reduce dalla vittoria nell’edizione del 2019 – con Grande Slam – ma al Mondiale giapponese la squadra ha disatteso le aspettative ottenendo un quarto posto che a molti sta stretto. Come se non bastasse, uno dei giocatori più rappresentativi, Warren Gatland, si è ritirato e con lui se ne va un’eredità molto pesante fatta di 4 Sei Nazioni vinti negli ultimi 12 anni, di cui 3 con Grande Slam. Il tecnico Wayne Pivac, preferito per ora proprio a Gatland sulla panchina dei dragoni, puo’ fare affidamento sul talento di Aaron Wainwright, ma deve fare i conti anche con una lunga lista di assenze pesanti come quelle di Halfpenny e Davies, solo per citarne alcune. La possibile forza di questa squadra però sta proprio nei pochi punti di riferimenti rimasti, dove spicca il ritorno di Faletau con la maglia rossa, e negli innesti chiamati in causa, come Nick Tompkins e Will Rowlands che daranno tutto per dimostrare che sulle loro spalle quella maglia rossa sta più che bene. Scalpore generale, invece, per l’esclusione di Louis Rees-Zammit, che aveva dimostrato di poter essere prezioso.
Le prospettive inglesi – I bianchi sono tra i candidati alla vittoria finale. La squadra allenata da Eddie Jones è reduce da un Mondiale importante, giocato bene eppure reso amaro dalla sconfitta in finale contro il Sudafrica. La squadra che arriva al Sei Nazioni è un Inghilterra scioccata, anche al netto della consapevolezza della propria forza. Un giocatore di livello come Watson, che salterà la prima contro la Francia per un infortunio al polpaccio, lo ha detto con chiarezza: «Sono ancora sotto shock per la sconfitta subita al Mondiale». A questo va sommato il clima poco sereno interno alla lega inglese dovuto alla retrocessione d’ufficio dei Saracens, una delle squadre più forti degli ultimi anni, causata da illeciti fiscali. Dopo una riunione tra i giocatori appartenenti alla franchigia, come Owen Farrell, e gli altri della rosa tutto sembra tornato nella norma. E la normalità per gli inglesi è vincere giocando con superiorità. Per riuscirci, il contributo di giocatori dalla leadership ormai consolidata come Maro Itoje, anche lui tra le fila dei retrocessi Saracens, saranno fondamentali. Al resto ci pensa il piede fatato di capitan Farrell.
Incognite verdi? – L’Irlanda entra nell’era del nuovo allenatore, Andy Farrell, e affronta il torneo per la prima volta senza senatori come Best e Kearney. Nel fase calante in cui era precipitata una delle squadra-schiacciasassi del 2018 rimane comunque l’incognita della presenza dell’ex-allenatore Joe Schimdt, al quale sembra sia stato proposto di guidare la squadra temporaneamente nonostante la nomina di Farrell. Al netto delle incertezze gestionali, a livello di squadra l’Irlanda ha sì pagato al Mondiale la fase di assestamento dopo un periodo di intensità e risultati eccezionali, ma sull’isola di smeraldo il rugby a livello di club è brillante, con squadre come Leinster che godono di una forma strepitosa. Anche se sono stati esclusi grandi nomi come il mediano di mischia Conney, al quale è stato preferito Murray, e Stockdale, ben 16 giocatori convocati da Farrell, infatti, appartengono alla franchigia in questione e sarà interessante vedere come la chimica di quel collettivo influenzerà in meglio il gioco di una squadra intera. Che ha comunque un potenziale enorme, con giocatori del calibro di Jordan Larmour, tanto per citarne uno.
Una Scozia diversa – Una delle nazionali cresciuta di più negli ultimi anni, la Scozia, è snche tra le più disgraziate. I “cardi” arrivano al Sei Nazioni con ben 10 giocatori diversi rispetto all’anno scorso. Gregor Townsend ha dovuto fare di necessità virtù a causa degli infortuni di Darcy Graham e all’esclusione per problemi disciplinari di Finn Russell alla prima gara. Tutto il peso di un riscatto necessario dopo la cocente delusione del Mondiale in Giappone è sulle spalle di giocatori come Stuart Hogg e Adam Hasting che, seppure abituati a essere sotto pressione, non possono fare miracoli. Per riuscire a rendere, la Scozia dovrà giocare come collettivo, una strategia che l’ha già rilanciata a un ottimo livello nelle scorse edizioni.
Talento bleue – La Francia è la squadra con il potenziale giovanile più importante del torneo. La federazione francese è riuscita negli anni a creare un gruppo di giocatori dal talento cristallino e con una prospettiva di crescita notevole in vista del Mondiale casalingo del 2023. Il progetto strutturato dei transalpini non sta impedendo ai ragazzi di progredire a ritmi impressionanti, come nel caso di Antoine Dupont, ormai vero e proprio punto di raccordo fondamentale tra la circolazione della palla e le finalizzazioni. Con il cambio di allenatore e l’arrivo di Fabien Galthié sulla panchina dei galletti, giocatori come Virimi Vakatawa potranno avere tutto lo spazio necessario per riaffermare quanto fatto vedere di buono al Mondiale e durante questa nuova stagione. Dopo l’avventura giapponese, che ha chiuso una delle fasi più negative del rugby francese, il Sei Nazioni in questo senso puo’ essere l’occasione per riassaporare il successo.
E l’Italia? – L’Italia tenta di fare con affanno quello che in Francia sembra aver già preso piede: nuova linfa. Gli Azzurri hanno chiuso la gestione dell’irlandese Conor O’Shea senza troppe rivoluzioni, né negative né positive: hanno quasi salutato Sergio Parisse (che giocherà solo l’ultima giornata a Roma contro l’Inghilterra in un Olimpico pronto a dirgli grazie per quanto dato per la causa) e inaugurato solo ufficiosamente un nuovo inizio. Lo stato dell’arte dell’Italrugby passa per la promozione (temporanea?) di Franco Smith, passato da allenatore dell’attacco al ruolo di capo-allenatore degli Azzurri. Nel passaggio di consegne tra i due tecnici la linea di continuità sta nella voglia di costruire un percorso tattico e uno sviluppo ragionato del collettivo. Non è chiaro se Smith rimarrà a lungo termine o solo per accompagnare un momento di transazione, magari in attesa dell’ingaggio di un tecnico di alto livello ora impegnato in campionati esteri. In attesa di ulteriori sviluppo, Smith suona la carica e difende le proprie scelte: vuole fare leva sull’imprevedibilità per portare a casa punti e scrollarsi di dosso il peso della mancanza da 17 partite consecutive di una vittoria italiana al Sei Nazioni. Alla presentazione della squadra, il nuovo c.t. ha detto che punterà sul prendere alla sprovvista gli avversari con quello che ha definito «effetto sorpresa». Si tratterà dello stesso che nel 2017 aveva permesso agli Azzurri, attraverso un’interpretazione del regolamento utile al proprio gioco, di dominare per un tempo gli inglesi nel tempio di Twickenham? Le idee non mancano, ma il collettivo guidato dal nuovo capitano Luca Bigi si dovrà esprimere in modo concreto partendo dalle qualità di giocatori come Allan, Ruzza e Padovani. Per riuscirci serve appetito di risultati, anche più rispetto a quanto dimostrato nel Mondiale in Giappone, con un’Italia che ha fatto quanto richiesto vincendo due partite, portando a casa due vittorie pur convincendo poco nel successo contro la Namibia. Solo così gli Azzurri potranno affacciarsi al Sei Nazioni tirandosi fuori dalla lista dei papabili per il poco ambito “cucchiaio di legno” dell’ultimo piazzamento.