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Nikita Kamayev, direttore esecutivo della Rusada dal 2011 al 2015, è morto all’età di 52 anni

Vite parallele, quelle di Nikita Kamayev e Vyacheslav Sinev. Entrambi ex alti dirigenti di Rusada, l’agenzia antidoping della Russia. Entrambi coinvolti nella denuncia della Commissione indipendente della Wada contro gli atleti russi drogati. Entrambi morti, a distanza di una decina di giorni, per presunti problemi cardiaci.

La scomparsa di Kamayev, annunciata lunedì, ha trascinato subito con sé un alone di congetture. A seminare i primi dubbi sulla causa naturale del decesso, la testimonianza dell’ex direttore generale della Rusada Ramil Khabriev. Khabriev ha dichiarato all’agenzia di stampa russa Itar-Tass che il collega non gli aveva mai detto di soffrire di patologie al cuore. A questo si somma la particolare dinamica dell’incidente: Kamayev si sarebbe sentito male mentre stava sciando e dopo il malore sarebbe tornato direttamente a casa, senza andare in ospedale.

In realtà, però, il mistero della morte è radicato soprattutto nella storia che precede e segue il 15 febbraio 2016. Qualche mese fa, a novembre, l’atletica russa si era ritrovata impastata nelle sabbie mobili di uno scandalo di Stato, la cosiddetta “doping-story”, partito da un documentario della rete televisiva tedesca Ard e diventato oggetto di una lunga inchiesta dalla Wada, l’agenzia mondiale antidoping, durata quasi un anno. Un faldone di più di 300 pagine, al centro l’accusa contro Federazione atletica russa e Ministero dello Sport di drogare i propri atleti attraverso un sistema “a cupola” che sotterrava numerosi casi di positività in cambio di mazzette. Il verdetto è un macigno: sospensione di 2 anni, partecipazione alle Olimpiadi di Rio a rischio, ipotizzato “sabotaggio” di quelle di Londra del 2012. Il governo aveva respinto tutte le imputazioni al mittente, derubricandole come «infondate», e così lo stesso Kamayev, autore di una battuta che ormai rasenta quasi la citazione. «Ho una fondina, una pistola, e ogni giorno vado negli scantinati della Lubyanka», disse alla stampa in quei giorni convulsi riferendosi al celebre edificio di Mosca sede dei servizi segreti. Il sarcasmo aveva poi lasciato posto all’opportunità e a dicembre erano arrivate le sue dimissioni.

Gennaio 2016: la Wada, in un secondo rapporto, punta il dito contro l’ex numero uno della Iaaf Lamine Diack (presidente fino ad agosto 2015), accusato insieme ai vertici della Federazione internazionale di Atletica leggera di essere coinvolto nei meccanismi di corruzione. Un mese dopo: la notizia della morte di Vyacheslav Sinev, direttore generale della Rusada dal 2008 al 2010, prima di Kamayev. Cause incerte, è la versione ufficiale, sebbene serpeggi l’indiscrezione, anche in questo caso, di una complicazione cardiaca. Davanti all’infarto di Kamayev le domande delle ultime ore sono alimentate dal passato recente e anche dal futuro prossimo. In questi giorni cominceranno i primi controlli di un gruppo di ispettori internazionali per monitorare la Federazione atletica russa e valutare i margini dell’esclusione dalle Olimpiadi brasiliane che inizieranno ad agosto.

Marta Latini