Un rendering del progetto dello stadio dell'As Roma, in una immagine del 30 maggio 2016. ANSA

Un rendering del progetto dello stadio dell’As Roma, in una immagine del 30 maggio 2016. Fonte: ANSA

Stadio della Roma, Virginia Raggi ha detto “sì”. Dopo mesi di dubbi, rassicurazioni, no categorici, forse si o forse no, l’ok della sindaca lascia intravvedere qualche possibilità per la realizzazione del nuovo impianto che la squadra giallorossa vuole a Tor di Valle, periferia sud della capitale. «Caro Francesco Totti ci stiamo lavorando. #FamoStoStadio nel rispetto delle regole. Ti aspettiamo in Campidoglio per parlarne». Il messaggio su Twitter della sindaca sottolinea la condizione necessaria perchè il suo “sì” diventi definitivo e lancia la palla al capitano. Vuole dunque accontentare sia la base M5S con il riferimento all’immancabile “rispetto delle norme”, sia il 7 per cento della popolazione nel cui petto batte un cuore giallorosso. Senza rinunciare poi al potenziale investimento da 1,6 miliardi (la più grande operazione immobiliare in Italia oggi) da cui potrebbe passare (anche) il futuro dell’amministrazione capitolina.

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L’hashtag. È stato l’allenatore Luciano Spalletti a lanciarlo per primo, irrompendo durante una diretta di Sky Sport all’urlo di «famo sto stadio!». E allora ecco servito l’hashtag che da due giorni impazza sui profili social di calciatori e tifosi, per invocare la realizzazione di quella «struttura all’avanguardia» che anche Francesco Totti chiede a gran voce. #FamoStoStadio una volta per tutte. Non sono mancati anche i cinguettii e i commenti degli avversari politici delle giunta a 5 stelle. Il 6 febbraio, il tweet del ministro dello Sport Luca Lotti assicura: «Il Governo non c’entra niente. Ma io sto con il Mister #Spalletti #FamoStoStadio». Un calcio in porta (vuota) tentato anche dall’ex premier Matteo Renzi, che sul suo blog scrive: «Non è solo un fatto economico per il territorio (posti di lavoro e indotto), ma soprattutto un fattore di crescita e competitività per tutto il mondo sportivo italiano. Se si dice no a tutto si blocca il futuro. E famolo!».

Lo scontro. Quella dello stadio della Roma è una partita che si gioca tutta sulle cubature. Il progetto copre 345mila metri quadrati di spazio, occupati dallo stadio ma anche dai tre grattacieli che Daniel Libeskind ha disegnato per affiancarlo e 15 edifici che ospiteranno negozi e ristoranti. Peccato che il piano regolatore ne consenta solamente 118mila, meno di un terzo del progetto previsto dal presidente americano della società romana James Pallotta e dal costruttore Luca Parnasi. È su questo tasto dolente dunque che, fino ad oggi, si è divisa la giunta Raggi. Da un lato gli ultrà più giallorossi che grillini, guidati dall’assessore allo Sport Daniele Frongia, per i quali chiudere un occhio sarebbe la soluzione ideale per realizzare lo stadio riconosciuto di «interesse pubblico» da un atto dell’ex sindaco Ignazio Marino, nel 2014. Per di più, dicono i «frongiani», c’è il rischio che la Roma faccia causa al Comune per inadempienza contrattuale. Dall’altro, i duri e puri, in fila dietro l’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini che proprio non ne vuole sapere di infrangere le regole. E oltre al piano regolatore, dalla sua c’è anche un vincolo idrogeologico (che stabilisce il rischio esondazione in quell’area) e un parere dell’avvocatura del Comune che esclude la minaccia di un contenzioso aperto dalla società di calcio. Anche Berdini però assicura: «Io lo stadio lo voglio fare». Ma a certe condizioni. Virginia_Raggi_-_Festival_Economia_2016

Secondo tempo. La partita per lo stadio non è finita. Dopo i primi 45 minuti, terminati in parità grazie «all’ok con riserva» concesso dalla prima cittadina al capitano, si dà il via al secondo tempo. Lo scontro si sposta da Twitter al Campidoglio dove oggi, 7 febbraio, il club incontra l’amministrazione per procedere nella ricerca di un accordo. Fino a questo momento Raggi ha cercato di restare al centro del campo e non scontentare le due fazioni all’interno della sua giunta e degli elettori. Ma una decisione va presa e Virginia Raggi è l’unica che può tirare l’ultimo calcio di rigore. Il 3 marzo, data in cui scade la proroga chiesta dal Campidoglio alla Conferenza dei servizi, si avvicina.