«Ho rassegnato le dimissioni. E come mero atto politico ho chiesto anche quelle del consiglio federale. Nessuno le ha rassegnate. Quindi sono rimaste le mie». Pronuncia a fatica le sue ultime parole da Presidente della Figc, Carlo Tavecchio. Ma il pressing della moral suasion lanciata da Giovanni Malagò, vertice del Coni, alla fine, ha funzionato. La Caporetto del calcio nazionale ha avuto i suoi Cadorna. Dopo Ventura, il Ct della nazionale accusato di alto tradimento per non aver saputo condurre gli azzurri al mondiali di Russia, anche Tavecchio è stato messo in un angolo e, suo malgrado, ha rassegnato le dimissioni. In una conferenza stampa affollatissima ha pronunciato il suo ultimo discorso.

Carlo Tavecchio
ANSA/CLAUDIO PERI

La conferenza stampa. «Credo che siamo arrivati ad un punto di speculazione che ha raggiunto limiti impossibili». Ha esordito con un tono tra l’indignato e l’amareggiato, Tavecchio. Ma dopo il naufragio delle trattative con Ancelotti, il possibile successore di Ventura, e la proposta caduta nel vuoto di un «piano programmatico» per «costruire qualcosa per questo sistema sportivo», la sorte del numero uno del calcio italiano ha improvvisamente cambiato verso. «Gli otto giorni della tragedia mondiale del calcio  italiano» – queste le sue parole – hanno travolto anche lui. «Sono stato portato ad accettare il commissariamento», ha detto chiaramente Tavecchio nel corso della conferenza stampa. Il motivo: «Aver scelto Ventura». E aver subito gli scherzi di una sorte che, se andata diversamente, forse, lo avrebbe incoronato invece di sbeffeggiarlo: «Se quel palo fosse entrato, Carlo Tavecchio chi era? Un campione? No, era uguale. Ma questo sistema, questa politica, questa amministrazione dello sport è una cosa che non può andare avanti così».

Le pressioni per le dimissioni. Dopo la sconfitta contro la Svezia a San Siro di lunedì 13 novembre, la partita di ritorno che serviva alla qualificazione ai Mondiali di Russia 2018, era iniziato il pressing per le dimissioni del vertice Figc. Il primo a pagare, naturalmente, era stato l’allenatore Gian Piero Ventura, accusato di essere incapace di guidare una squadra che, invece, sotto la guida di Antonio Conte, aveva dimostrato di avere i numeri per giocarsi la qualificazione. Ma dopo il primo esorcismo andato a buon fine con il Ct, immediatamente dimissionario, la volontà di Tavecchio di resistere alla guida della Federazione era parsa granitica. Il numero uno dello sport italiano, però, il capo del Coni Malagò, pur non disponendo di mezzi formali per costringere il presidente della Figc alle dimissioni, aveva dato il là alla campagna di moral suasion per costringerlo alle dimissioni: «Penso e spero che Tavecchio si dimetta», aveva detto Malagò il 19 novembre.

Le accuse di «inadeguatezza». Politico democristiano di lungo corso e già presidente della Lega Dilettanti per un decennio, Tavecchio era riuscito a scalare i vertici del calcio italiano grazie ai voti della Lega Dilettanti e all’endorsement di Claudio Lotito. Il presidente della Lazio, infatti, uomo influentissimo del “sistema calcio”, avevo proposto Carlo Tavecchio come capo della Figc dopo che Giancarlo Abete aveva dato le sue dimissioni in seguito  alla eliminazione degli azzurri ai mondiali 2014. Eletto a sorpresa nell’agosto 2014 e rieletto nel marzo 2017, Tavecchio si era attirato fin dall’inizio molte critiche ed era stato spesso definito «inadeguato a ricoprire l’incarico a lui assegnato». Battute di dubbio gusto su persone di colore, donne e omosessuali: Tavecchio aveva creato già molti imbarazzi e incarnava, secondo molti, il sintomo più evidente di una sindrome generalizzata che colpirebbe il “sistema calcio”, dominato da interessi politici ed economici di vecchio stampo, incapaci di reggere il passo alle trasformazioni internazionali delle grandi squadre estere (nazionali e non). E responsabili di aver reso meno competitiva la nazionale italiana in occasione dei grandi appuntamenti come gli europei e i mondiali. In altre parole: colpevole della grande débacle nazional popolare.