Il simbolo delle Olimpiadi di Tokyo 2020

A soli sei mesi dalle Olimpiadi di Tokyo, Yoshiro Mori fa (di nuovo) parlare di sé. Il presidente del Comitato olimpico giapponese (Joc), già primo ministro dal 2000 al 2001, è stato duramente criticato per un commento sessista, pronunciato durante l’incontro straordinario del comitato esecutivo. «Le riunioni cui partecipano troppe donne in genere vanno avanti più del necessario» ha detto Mori, sollevando imbarazzo e disappunto tra i presenti.

Il commento – Il commento sgradito di Yoshiro Mori, 83 anni, si riferiva alla proposta del ministero dell’Istruzione nipponico di estendere a un maggiore numero di donne le nomine nel consiglio dei Giochi olimpici. Dall’attuale 20% di presenza femminile, si vorrebbe infatti passare al 40%. «Mi è stato riferito che se incrementiamo la percentuale di donne nel board dobbiamo contenere la durata dei loro interventi, altrimenti non smettono di parlare e la questione diventa problematica» è stata la considerazione di Mori. Per spiegare questa presa di posizione ha poi citato come esempio la sua esperienza come presidente della Federazione di Rugby: «Le donne hanno spirito di competizione. Se una di loro alza la mano per intervenire, le altre si sentono obbligate a rispondere e si finisce che tutte quante si ritrovano a partecipare».

Le critiche – Subito si sono sollevate le critiche da parte della direttrice del Joc, Kaori Yamaguchi: «La parità di genere e un maggior rispetto per le persone con disabilità sono valori fondamentali per gli organizzatori dei Giochi a Tokyo. È deplorevole che il presidente del comitato organizzatore faccia questi commenti». Da più parti si è chiesto che Mori si dimettesse ma così non è stato. «Non sto pensando di dimettermi – ha assicurato – Lavoro duramente e ho aiutato devotamente per sette anni. Non mi dimetterò». Ha ammesso però di aver commesso un errore: «La dichiarazione fatta al Comitato olimpico era inappropriata, contraria allo spirito delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi. Sono profondamente pentito. Vorrei ritirare la dichiarazione. Vorrei scusarmi per eventuali sentimenti spiacevoli».

Yoshiro Mori, presidente del Comitato olimpico Tokyo 2020 (foto\ ANSA)

I precedenti – Yoshiro Mori non è in realtà nuovo alle gaffe. Sua, nel gennaio del 2000, una battuta infelice sui malati di Aids. Raccontando la propria campagna elettorale nel 1969 aveva ricordato: «Quando salutavo i contadini dalla mia macchina, sono entrati tutti nelle loro case. Mi sentivo come se avessi l’Aids». A solo un mese di distanza, parlando del millenium bug (l’atteso caos dei computer al passaggio dall’anno 1999 al 2000) Mori scherzò sulla società statunitense: «Al tempo del “Y2K” i giapponesi hanno comprato acqua e noodles, mentre negli Usa armi e pistole. Quando ci sarà un blackout, gangster e assassini verranno sempre fuori. È quel tipo di società». Durante una riunione di legislatori che promuovevano la religione shintoista nel maggio 2000, Mori, divenuto primo ministro solo un mese prima, descrisse il Giappone come «un paese di dei con l’imperatore al suo centro». Queste parole suonarono come un ritorno all’epoca prebellica del nazionalismo religioso e per questo furono criticate con forza. Dopo la guerra e il suo tragico epilogo, infatti, la separazione tra religione e stato fu sancita dalla Costituzione. Sempre nel giugno 2000, qualche giorno prima delle elezioni, disse ai giapponesi che non avevano intenzione di sceglierlo (circa il 40% secondo i giornali) di «rimanere pure a letto nel giorno delle votazioni». Particolare scalpore, infine, fece la dichiarazione nell’ottobre dello stesso anno, davanti all’allora primo ministro britannico Tony Blair. Yoshiro Mori si lascò sfuggire qualche informazione di troppo sui negoziati segreti con la Corea del Nord del 1997: «I nordcoreani sono molto preoccupati di proteggere il loro onore. Così abbiamo detto loro che possono trattare i giapponesi che noi riteniamo da loro rapiti come persone scomparse e dire che sono stati trovati a Pechino o a Bangkok». In quell’occasione fu un membro del suo stesso schieramento, il partito Liberal-democratico, a chiedere le sue dimissioni. Ma anche allora la risposta di Mori fu negativa.