Qualcuno lo dà già per morto. Altri sono convinti che non potrà sopravvivere all’Intelligenza Artificiale. Di certo, il giornalismo nel 2025 non gode di buona salute e parlarne al futuro non è un’impresa facile. Ma è stata proprio questa la sfida di Perché il giornalismo ha un futuro, il panel di Book City che si è tenuto il 12 novembre al polo di Sesto San Giovanni dell’Università Statale di Milano, sede dal Master in giornalismo initolato a Walter Tobagi. Una tavola rotonda con un obiettivo ambizioso: delineare le prospettive di una professione che attrvaersa indubbie difficoltà

L’assenza di punto interrogativo nel titolo dell’evento non è un caso: «All’inizio era previsto, poi abbiamo deciso di toglierlo perché contrariamente allo spirito del tempo oggi noi siamo fiduciosi», ha spiegato in apertura Venanzio Postiglione, direttore della Tobagi e moderatore dell’evento. A questa frase però «va aggiunto un “ma” alla fine», ha puntualizzato la giornalista Tiziana Ferrario. Infatti, per sopravvivere oggi la professione deve fare i conti con un mondo molto diverso da quello di cinquant’anni fa, a partire dal rapporto con la politica.

«Negli anni ’80 gli Stati Uniti non avevano un presidente che chiamava i giornalisti nemici del popolo», ha sottolineato Ferrario. Quello in cui viviamo è un periodo storico in cui il giornalista non fa più da filtro alla politica, ma dove questa si interfaccia direttamente con i cittadini attraverso i social e può permettersi di non rispondere alle domande della stampa. «Ed è così che l’informazione smette di essere tale e diventa propaganda», ha aggiunto Mario Calabresi, direttore di Chora Media, la socierà di podcast fondata dall’ex direttore di Repubblica insieme a Will Media. Secondo il giornalista un antidoto a tutto questo c’è: studiare. Oggi più che mai – spiega – il mestiere dev’essere legato all’approfondimento: «Di persone che riportino quello che viene detto non c’è più bisogno. Quello che serve è qualcuno in grado di controllare la veridicità dei fatti e di andare in fondo alle cose».

Ma i social media non sono l’unica minaccia alla professione. Da quando è stata implementata, la nuova intelligenza artificiale di Google “Ai Overviews” ha ridotto il traffico sui siti dell’80%. E senza click, le testate online non possono pensare di sopravvivere. L’unica arma che rimane in mano ai giornali allora è la fiducia. Costruire una comunità di lettori disposti a pagare per ricevere informazione di qualità. È stata questa la scommessa di Chora Media, che oggi – racconta Calabresi – a cinque anni dalla sua creazione ha chiuso il primo anno in attivo.

«L’informazione è costosa, avere tutti la consapevolezza che bisogna sostenerla è l’unica cosa che ci può garantire un futuro accettabile», ha sottolineato Agnese Pini, direttrice di Quotidiano Nazionale e che alla scuola Tobagi ha iniziato il proprio percorso professionale. E di questo – secondo Pini – deve farsi carico anche la politica, perché l’assenza di giornalisti è un problema per la collettività. Scegliere questo mestiere oggi vuol dire lottare contro un intero sistema a cui stai scomodo. E significa farlo anche in una condizione di precarietà economica. Per questo «rimangono solo gli idealisti e chi crede che tutto quello che facciamo continui ad avere un senso», conclude Pini, ricordando a tutti i presenti che senza giornalismo, non può esserci democrazia.