“Non chiamateci preti di strada: siamo preti e basta. Il Vangelo e la strada sono inseparabili”. Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e Presidente nazionale di Libera, è in piedi sul palco dell’Aula Magna dell’Università Statale di Milano, il 4 dicembre, per ricevere la laurea magistrale ad honorem in Comunicazione pubblica e d’impresa. “Per avere dedicato la sua vita alla difesa dei più deboli, incontrandoli, accogliendoli e cercandoli ovunque”, si legge nella motivazione.

“La mia unica laurea è in scienze confuse”, ironizza di fronte agli applausi, con la voce rotta dall’emozione. Poi riprende fiato e con l’energia che da sempre lo contraddistingue ripercorre le tappe di un cammino che appare tutt’altro che confuso: nel 1965 la fondazione del Gruppo Abele, che ha costruito progetti per “gli ultimi”: tossicodipendenti, prostituite, ammalati di aids e immigrati. Poi il  Coordinamento nazionale delle Comunità di accoglienza (CNCA), che il prete veneto ha presieduto per oltre 10 anni, e la Lega italiana per la lotta all’Aids (LILA), della quale pure è stato presidente. E ancora, dagli anni Novanta, l’impegno contro le mafie con il mensile “Narcomafie” e nel 1995 la nascita di Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie.

“Sono 400 anni che parliamo di camorra, 120 di ‘ndrangheta, 150 di cosa nostra. Ciò dimostra che non bastano solo generici appelli alla legalità, fiaccolate e cortei. La prima riforma da fare nel nostro Paese è la riforma delle nostre coscienze. Senza questa riforma, il rinnovamento sarà solo apparente”. Oggi Libera coordina oltre 1.600 tra associazioni e gruppi che promuovono attività nelle scuole e università, si offrono come punto di riferimento per i famigliari delle vittime, operano e danno lavoro nei beni confiscati alle mafie attraverso le cooperative agricole di “Libera terra”. Un circuito che collega tutta Italia e coinvolge più di 1.100 giovani. “Un altro schiaffo ai mafiosi e un graffio alle nostre coscienze”.

Professori o studenti, don Ciotti ha richiamato tutti a fare la propria parte: “È il noi che vince. Quel noi dove si accantonano gli individualismi, gli egosmi: solo unendo le energie si può cambiare la realtà. Perché la speranza o è di tutti o non è speranza”.

Articolo di Angelica D’Errico. Intervista video di Matteo Furcas