Il pomeriggio del 19 marzo 1980 i suoi studenti lo aspettavano nell’aula 309 per la lezione di criminologia. Ma Guido Galli, giudice istruttore e docente alla Facoltà di Giurisprudenza all’Università Statale di Milano, a quella lezione non arrivò mai. Uccislo alle 16.50 a 47 anni da tre colpi di pistola davanti all’aula 305, terza vittima in quattro giorni del terrorismo politico che insanguinava l’Italia in quegli anni.

L’agguato – Gli spararono mentre era seduto su una panca del corridoio, intento nella lettura del codice. I suoi assassini, un commando del gruppo terroristico rosso “Prima Linea”, volevano vendicare alcuni loro esponenti di spicco, rinviati a giudizio da Galli al termine della prima maxi inchiesta sul terrorismo iniziata nel settembre 1978. La notizia dell’omicidio si sparse in fretta per le aule dell’università, fino a raggiungere l’orecchio della figlia di Galli, Alessandra, studentessa di Legge alla Statale. La sua corsa trafelata verso l’aula 309 terminò davanti al corpo senza vita del padre, coperto da un lenzuolo bianco. Al volantino dell’organizzazione comunista che rivendicò l’assassinio, Alessandra, la sorella Carla, i fratelli Giuseppe, Paolo, Riccardo e la madre Bianca risposero con una lettera pubblicata su tutti i giornali: «A quelli che hanno ucciso mio marito e nostro padre: abbiamo letto il vostro volantino. Non l’abbiamo capito».

I relatori all’ottava Giornata della Giustizia organizzata dall’Università Statale

La commemorazione – Venerdì 18 marzo, nell’ottava Giornata sulla Giustizia, l’Università Statale ha voluto ricordare Guido Galli nell’aula Magna di via Festa del Perdono e omaggiarlo nell’aula 309 a lui intitolata. In nome dell’Ateneo sono intervenuti Maria Pia Abbracchio, prorettore vicario e Vito Veluzzi, presidente Comitato di direzione della Facoltà di Giurisprudenza. Alle loro parole è seguito l’intervento di Elisabetta Meyer, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, sezione di Milano.  A Maurizio Romanelli, procuratore aggiunto del tribunale di Milano, è andato il compito di raccontare il giudice scomparso al pubblico di studenti: «Fare il professore da magistrato ai tempi era una cosa che consentiva di avere la testa aperta, di confrontarsi con il mondo e con i più giovani. Questo è una grande lezione per chi vuole fare il nostro mestiere». Il suo esempio è ancora più prezioso «in questo periodo di crisi della magistratura», ha sottolineato Romanelli. Dopo un lungo e commosso applauso in quell’aula 309, ha infine concluso: «Guido Galli si è occupato di terrorismo con straordinaria qualità e impegno e l’ha fatto sapendo bene che correva il rischio di pagare un prezzo altissimo per il suo lavoro. Ci ha insegnato la normalità del senso del dovere». Presente alla commemorazione anche il figlio Giuseppe che sul palco ha voluto esprimere un ringraziamento speciale: «A mia mamma, Bianca che, rimasta sola con cinque figli, ci ha cresciuto senza rancore». Ma un grazie, a nome della famiglia intera, va anche all’Università Statale «per non aver organizzato una commemorazione fine a se stessa».

Tavola rotonda – La giornata è stata infatti anche l’occasione di riflettere sulla figura del magistrato, in attesa della riforma dell’ordinamento giudiziario. Sul tema si è aperta una tavola rotonda a cui hanno partecipato i docenti di Diritto costituzionale Nicolò Zanon (anche giudice costituzionale) e Francesca Biondi, Edmondo Bruti Liberati, già procuratore al tribunale di Milano, Gian Luigi Gatta, nel Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, Giuseppe Ondei, presidente della Corte d’Appello di Milano e Marina Tavassi, che ha ricoperto lo stesso ruolo in passato.