“La televisione 60 anni fa, come ha spiegato Tullio De Mauro, ha insegnato a parlare italiano a un popolo intero. Culturalmente, faceva bene ai poveri e male ai ricchi. Non di censo, ma di cultura. Il web è oggi il nuovo mass medium globale, ma è all’opposto del piccolo schermo: fa bene ai già ricchi di cultura e di senso critico, ma fa male a chi invece è più povero da questo punto di vista”. Umberto Eco non è un celebratore della Rete, ospite mercoledì 26 marzo dell’Università Statale di Milano presso gli studi del Ctu, il centro televisivo universitario.
In occasione di un incontro con gli studenti del polo di mediazione culturale e di una videoconferenza con l’Università argentina de La Pampa, il celebre filosofo e romanziere si è intrattenuto per oltre due ore con il giovane pubblico in sala affrontando diversi temi. Due su tutti: università e memoria. Nella conferenza con l’ateneo argentino, l’autore del Nome della Rosa ha tenuto una prolusione sul ruolo e la funzione dell’università nel mondo contemporaneo.
Eco, uno dei più celebri accademici italiani, vede nell’istituzione universitaria un prezioso appiglio per l’identità comune in questi tempi di crisi ed euroscetticismo: “Dall’undicesimo secolo le università formarono il primo grande nucleo del futuro continente europeo. Negli ultimi 900 anni sono state il crogiolo di un’identità internazionale. Nel tumulto del mondo moderno, gli unici luoghi dove forse oggi è possibile avere confronto razionale e di valori sono le università”. Eco vede gli atenei anche come preziosissimi custodi e guardiani della memoria: “Senza memoria non c’è sopravvivenza. Le società si sono sempre affidate alla memoria per conservare la loro identità. E le università sono, fortunatamente, ancora oggi i luoghi dove le memorie collettive possono essere conservate e inventariate”.
Ma Umberto Eco, anche nelle digressioni più raffinate, non perde mai il contatto con la realtà. Il piccolo sigaro Cafè Cream che si trastulla tra le mani quando ascolta qualcun altro è il suo tramite tra teoria e prassi, tra riflessione ed espressione. Avvicinato dagli studenti della scuola di giornalismo Walter Tobagi per una breve intervista, ha risposto a una domanda sul linguaggio e il codice espressivo del presidente del Consiglio, Matteo Renzi: “Certamente si vede un cambiamento, il suo è un linguaggio più sciolto. Ma non è questo il punto: il linguaggio politico italiano è stato per decenni tradizionalmente irrigidito; i ministri leggevano i loro discorsi su un fogliettino, per capire. Ma uno scioglimento del linguaggio lo si è avuto addirittura con Berlusconi. Quindi non è lì la novità, ma nel dinamismo, nelle proposte di Renzi. Aspettiamo a giudicare”.
Per chi è abituato a viaggiare nei secoli tra libri, teorie e segni, l’operato di un governo che ha giurato poco più di un mese, del resto, è come un battito di ciglia.
Vincenzo Scagliarini
Federico Thoman