Se nella società civile la lotta per le pari opportunità è ormai un tema inarrestabile, un fenomeno più nascosto ma altrettanto decisivo sta emergendo dall’interno di un universo maschilista per sua stessa natura: l’emancipazione femminile nelle organizzazioni mafiose. Un tema che è il filo rosso di Mafia e donne”, la nona edizione della Summer School on Organized Crime voluta dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano. Un fenomeno da comprendere e approfondire nei 5 giorni della Summer School – da lunedì 9 a venerdì 13 settembre – alla Facoltà di Scienze Politiche della Statale di Milano: è possibile iscriversi fino al 31 agosto.

L’evento – Donne e uomini impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata – sociologi, magistrati, esponenti politici, registi e giornalisti – spiegheranno cosa sta accadendo nell’universo femminile che ruota attorno alle mafie: dal fondatore di Libera don Luigi Ciotti all’ex presidente della commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi, fino al procuratore di Milano Alessandra Dolci, al sindaco di Milano Giuseppe Sala, al procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho e all’imprenditrice Irene Napoli, oltre a professori e ricercatori universitari che si dedicano da anni all’approfondimento di questa tematica, tra cui Nando dalla Chiesa (anche organizzatore dell’evento).
L’obiettivo di questo ciclo di incontri è quello di analizzare le modalità con cui si sta verificando un rifiuto e una defezione da parte delle donne al modello imposto loro all’interno delle organizzazioni criminali: un ruolo di trasmissione del codice culturale mafioso e di incitamento alla vendetta, in una logica di tradizionale sottomissione all’uomo. Le donne che si ribellano a questo schema stanno diventando un vero e proprio elemento di destabilizzazione delle fondamenta su cui poggiano le mafie: grazie alla loro collaborazione con la giustizia e alle loro testimonianze viene meno uno dei pilastri secolari della mafia, quello della sudditanza femminile. Allo stesso tempo l’alto tasso di partecipazione delle donne ai movimenti antimafia dimostra una spiccata sensibilità ai temi di giustizia e legalità, che è in costante crescita.

Donne che destabilizzano la mafia – «L’autoaffermazione femminile sul piano sociale significa l’interruzione della catena di trasmissione della cultura mafiosa, un ruolo vitale per le organizzazioni criminali», spiega la vicedirettrice della Summer School Ombretta Ingrascì. L’impatto della collaborazione di queste donne con la giustizia è decisivo perché può essere un esempio virtuoso per molte altre: «Casi come quello di Giuseppina Pesce o di Maria Concetta Cacciola, ma anche tante altre storie anonime, rivelano che il loro contributo alle indagini è fondamentale. Un universo da studiare attentamente, per mostrare che per le donne delle famiglie mafiose esistono strade alternative e prospettive concrete di riscatto».
Di rilievo anche la connessione tra politiche antimafia e prospettive di genere, ricorda Ingrascì: «Buona parte del mondo dell’attivismo è donna, sempre più anche a livello istituzionale. Questa caratteristica ha portato una maggiore predisposizione al dialogo, al confronto e all’ascolto della violenza raccontata da chi si emancipa dalla mafia: per una donna, avere di fronte a sé un’interlocutrice può rendere più naturale la testimonianza. Dobbiamo ascoltare il loro grido di aiuto».