Ciao, guys!

Nuove regole e concorrenti creati con l’intelligenza artificiale: gli influencer non sono più soli

Mar 27, 2024

di Velia Alvich e Anna Maniscalco

«Il bello di essere content creator finisce quando si arriva a 100 follower». Lo dice Lorenzo Prattico, conosciuto sui social come @prattquello. Food blogger, condivide i posti che scopre e le pietanze che assaggia sui social. Prima, c’è il gusto di realizzare dei contenuti su qualcosa che interessa, condividerlo con i seguaci, la botta di endorfine degli apprezzamenti. I follower e i guadagni che crescono esponenzialmente. Dopo, arriva l’ansia di essere online ogni istante, di non deludere nessuno, di creare, creare, creare. Sullo sfondo, un mercato che non aspetta, piattaforme social che si moltiplicano, contenuti da produrre e consumare nel giro di pochi secondi.

È il mondo degli influencer e anche quelli considerati too big too fail possono cadere: Chiara Ferragni (quasi 30 milioni di follower), il cui Ciao, guys! è forse l’emblema di una generazione che condivide la propria quotidianità con un pubblico il più ampio possibile, è stata multata per un milione di euro dall’Antitrust a causa di un’operazione di beneficenza organizzata con Balocco nel dicembre 2022. Per la stessa campagna, che aveva lanciato una linea di pandori firmata dall’influencer e faceva riferimento a una donazione all’Ospedale Regina Margherita di Torino, poi effettuata dalla sola Balocco, è anche indagata per truffa aggravata. La sua posizione verrà chiarita nelle sedi opportune: ma sui social e per strada, la sua immagine ne è risultata compromessa. Con lei, lo stesso ruolo degli influencer: di che mestiere si tratta esattamente? Da dove arrivano questi guadagni stellari? L’Autorità garante per le comunicazioni (AgCom) è da mesi al lavoro su una regolamentazione della pubblicità a mezzo social. Le prime linee guida per aumentare la trasparenza dei contenuti si applicano a chi ha almeno un milione di follower tra tutte le piattaforme. 

E ancora, la società è più veloce: non appena si pensa a un inquadramento professionale per un mestiere fluido e considerato nuovo come quello dei creator, già si profila all’orizzonte una sfida ulteriore. Per Wired, il 2024 è l’anno degli influencer digitali, creati con l’intelligenza artificiale. Nel sempre meno anarchico mondo dei social, i creator non sono più soli.

Il mestiere di creare

 

Lorenzo Prattico apre le porte del Mulino, lo studio dove lavora e registra alcuni dei contenuti per i social, e si scusa. «Abbiamo finito di lavorare alle cinque e mezza di questa mattina», racconta. Su Instagram ha superato i 230mila follower, oltre 330mila su TikTok e più di 430mila su Youtube. Il contatore degli iscritti al suo canale è piazzato sopra il frigorifero ipertecnologico che ha nella sua cucina-studio.

 

Qui per terra è ancora sparsa l’attrezzatura che è servita per le ultime rifiniture. Ogni ripiano verticale o orizzontale è decorato a tema culinario. In giro per le stanze sono state installate luci professionali che possono essere attivate con un semplice comando vocale: «Alexa, accendi luci cucina registrazione».

«La giornata tipo del creator non esiste. È un lavoro così interconnesso alle tendenze giornaliere, ai cambi di direzione artistica, all’impossibilità fisica di qualcuno – un food blogger che sta male di stomaco non può ingozzarsi di cotolette – che non si può avere una concezione di “tempo”. È una rincorsa continua per portare a termine qualcosa che non sai cos’è», racconta Prattico. «E capita anche che ti ritrovi a montare all’alba i mobili del tuo studio di registrazione, come è successo questa notte».

Quello che non sa, e probabilmente neppure gli altri content creator come lui, è cosa arriverà il giorno dopo, il mese dopo, dieci anni dopo. «Non hai la sicurezza di macinare in corsa per ottimizzare i tuoi  guadagni come un calciatore che a 40 anni si ritira, oppure se stai costruendo una carriera che poi prenderà una direzione diversa rispetto a quella del content creator».

Ogni pensiero, ogni gesto, ogni momento della giornata è organizzato attorno alla produzione dei contenuti. «Adesso uno streamer è in onda per undici ore, ne dorme sei, il resto del tempo è personale: ci si lava e si mangia. Le restanti due ore si organizza il lavoro che verrà per il resto della giornata». Un’esperienza totalizzante, la pianificazione delle attività quotidiane dei content creator, da rendere impossibile tenere separati casa e ufficio. «Non c’è più la distinzione fra tempo privato e tempo lavorativo», sostiene Prattico. 

Una giornata tipo è impossibile. Il content creator guarda alle tendenze, ma deve considerare anche il fisico: se un giorno hai mal di pancia non ti puoi ingozzare di cotolette per un video.

Lorenzo Prattico

@prattquello

I conti in tasca

 

Prima, Prattico faceva il giornalista. Poi, ha iniziato a condividere sui social i piatti che assaggiava in giro, e ha visto che i suoi contenuti avevano successo. «Quella che era una mia passione è diventata un mestiere, e quello che era il mio mestiere è diventato ora la mia passione. Faccio il creator e così finanzio i miei documentari», spiega. 

Il suo è un percorso simile a tanti altri: l’utilizzo dei social in modo professionale si è rivelato più redditizio di molti lavori da dipendente. Secondo delle survey realizzate dall’Osservatorio nazionale dell’influencer marketing e condivise da Assoinfluencer, ci sono circa 350mila professionisti in Italia. Un mercato che nel 2023 è ulteriormente cresciuto. Sempre nel 2021, in Italia, il giro d’affari era da 280 milioni di euro: due anni dopo questa cifra è arrivata a 348 milioni, secondo le stime di DeRev, azienda specializzata in strategie digitali che ogni anno pubblica un listino aggiornato dei compensi degli influencer. Il settore trainante è quello del Fashion&Beauty, seguito dal Gaming e dal Travel&Lifestyle.

La crescita è disomogenea, per piattaforma e per tipo di influencer. I creator stanno abbandonando Facebook, che per sua natura è sempre stato meno rilevante sul piano dell’influencer marketing e adesso è sempre meno utilizzato dai giovani. Su Instagram sono stati premiati quelli che arrivano fino a 300mila follower rispetto ai nomi più grossi, dal milione in su, mentre su TikTok è avvenuto esattamente il contrario. Per gli analisti di DeRev, costruirsi una community numerosa è molto più semplice sulla piattaforma di ByteDance e le aziende preferiscono i creator che hanno quindi uno status solido. YouTube è la piattaforma che permette di guadagnare di più: un solo contenuto per uno youtuber con un milione di follower può essere pagato fino a 80mila euro, anche se nel 2023 non c’è stata una crescita rispetto all’anno precedente.

Gli strumenti che hanno oggi gli influencer per guadagnare sono diversi, e anche qui dipende tutto dalla piattaforma: DeRev ha collaborato con “Dataroom” del Corriere della Sera per mappare i compensi in questo senso. C’è chi per lo più consente di monetizzare solo tramite le sponsorizzazioni dei brand, come Instagram. TikTok prevede un piccolo fondo autonomo, il Creator Fund, che stipendia i creator in base al numero di follower e di visualizzazioni: di recente, ha introdotto una modifica alle condizioni di accesso, e valorizza i contenuti più lunghi di un minuto. YouTube inserisce le pubblicità all’interno dei video, con una quota quindi che va ai creator e, insieme a Twitch, permette di far abbonare i fan, permettendo quindi di guadagnare tramite le subscription, mentre TikTok lascia ai follower la possibilità di “fare un regalo” ai propri creator di fiducia.

È su Instagram quindi che rimangono preponderanti le collaborazioni come strumento di guadagno. La partnership con le aziende può avvenire con diverse modalità: dal prodotto regalato (gifted), che viene pubblicizzato senza altro compenso, al link affiliato o al codice sconto, per cui il creator condivide un link tracciabile che porta direttamente al prodotto o offre uno sconto ai propri follower. Poi, elenca DeRev, ci sono i branded content, una serie di post e storie che mantengono la linea editoriale del creator e sono dedicate a un determinato brand o prodotto: è il classico #ad o #adv, che può essere indicato anche come Partnership sponsorizzata sulle piattaforme che forniscono l’etichetta. Questi contenuti possono essere prolungati in intere campagne, spalmate in un arco temporale più lungo. Altri strumenti sono il takeover, con cui il creator “prende il controllo” per un limitato periodo di tempo dei social del brand, i giveaway (che funzionano come le lotterie: i follower che lasciano like o commentano sotto un determinato post possono essere sorteggiati e vincere un prodotto). In alcuni casi l’influencer diventa un vero e proprio testimonial dell’azienda, al pari delle celebrity degli altri settori (cinema, moda).

Non basta tuttavia il numero di follower per convincere l’azienda a collaborare con un creator: «Esistono degli indicatori, chiamati Key performance indicator (Kpi), che comprendono il numero di impression, cioè le interazioni dei follower, le visualizzazioni di un contenuto, oppure il numero di clic sui link tracciati. Poi ogni azienda ha la sua formula di conversione da applicare: per tot visualizzazioni/follower, offro tot euro», spiega Massimo Taddei, responsabile editoriale di Pillole di Economia, un profilo di divulgazione economica. I brand hanno anche a disposizione degli strumenti, come Not just analitics, che analizzano l’engagement rate di un profilo (il rapporto tra le interazioni e i follower): «Per dei profili grandi un buon engagement rate è sull’1,5 per cento: più hai follower più il numero minimo per essere considerati appetibili si abbassa», aggiunge Taddei.

La maggior parte dei guadagni continua a venire da questo tipo di contenuti, eppure, osserva Taddei, «c’è sempre di più una volontà di uscire dal branded content e lavorare su campagne che prevedano il coinvolgimento di persone in presenza, come degli eventi». Di recente, ad esempio, Chiara Asmr, creator che ha più di un milione di iscritti sul suo canale YouTube, 223mila follower su TikTok e 175mila su Instagram, ha organizzato il suo primo evento live a Milano.

Anche per Prattico, «l’adv è ormai un sistema vecchio» e le possibilità maggiori per i creator stanno nel legame con la community, che si coltiva con le live, i gruppi Telegram e i contenuti su abbonamento, come quelli condivisi su OnlyFans e Patreon, piattaforma con un sistema a subscription, molto popolare negli Stati Uniti ma ancora poco in Italia.

Profilo di divulgazione su economia e lavoro.

  • 217mila follower su Instagram
  • Un podcast su Spotify: Venture Talks
  • Una newsletter: La settimana in pillole

Addio al Far West

 

Un mondo quindi estremamente diversificato, e con attori che si moltiplicano. Allo scoppio del caso Balocco, i media hanno fatto più volte riferimento al “far west” del settore dell’influencer marketing. Se già le piattaforme social hanno operato in zone grigie legislative per anni, e solo ora si scontrano con il Digital Services Act, chi lavora su queste piattaforme si è ritrovato in un caos burocratico. «Vorremmo un codice Ateco di riferimento», spiega Jacopo Ierussi, presidente di Assoinfluencer e avvocato giuslavorista. L’associazione di categoria è nata nel 2018 come un progetto accademico sulla crisi del modello sindacale e le nuove professioni, e dal 2023 ha attivato il tesseramento, dopo essersi presentata al Ministero delle Imprese e del Made in Italy e in Parlamento. Tra i loro obiettivi, ritagliarsi uno spazio nell’intricato sistema fiscale che faciliti la dichiarazione dei redditi: «Chi fa i video su YouTube è associato al codice Ateco di Cinema, spettacolo, radiofonia. Uno streamer rientra in una categoria residuale». Anche la situazione contributiva non è lineare: «Per la cessione dei diritti d’immagine non ci sono contributi, per le campagne marketing c’è una gestione separata Inps, per i lavoratori dello spettacolo c’è l’ex Enpals». Ma le professioni digitali sono molto più fluide di così.

il minimo di follower richiesti tra tutte le piattaforme

minimo di contenuti pubblicitari pubblicati in un anno

%

valore medio dell'engagement negli ultimi sei mesi

Eppure, Ierussi non è d’accordo con la definizione di “far west”: «È vero che ci sono i giovanissimi, che iniziano a guadagnare e non si preoccupano dal punto di vista fiscale, e magari non vengono istradati dai genitori. Però quest’idea deriva da un’ignoranza diffusa. Se vai a squalificare una determinata categoria questa poi non è spinta a responsabilizzarsi. Non emerge una deontologia». Per questo, Assoinfluencer ha accolto con favore l’instaurazione di un tavolo tecnico dell’Agcom per stabilire una normativa ad hoc per gli influencer.

Annunciato poco dopo l’annuncio della multa dell’Antitrust a Chiara Ferragni, in realtà il tentativo di regolamentazione del settore risale a diversi mesi prima. Nell’estate del 2023 la Francia ha approvato la prima legge in Europa che fissa dei paletti per i content creator. Definiti come «persone fisiche o giuridiche che, a titolo oneroso, utilizzano la propria notorietà presso il loro pubblico per condividere, a mezzo elettronico, dei contenuti diretti alla promozione diretta o indiretta di beni o servizi», gli influencer francesi saranno sottoposti a determinati divieti, come quello di promuovere «prodotti o pratiche pericolose». 

Parigi è solo il primo passaggio di una trasformazione che sta coinvolgendo l’Unione europea. A giugno, a Napoli, si è tenuta un’assemblea generale dell’Erga (il gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi), di cui l’Italia è al momento il paese di riferimento: «Non potevamo non seguire la direzione che sta prendendo l’Europa, non vogliamo rimanere indietro rispetto agli altri», commenta Ierussi. Da lì, una prima consultazione pubblica dell’Agcom con creator, Assoinfluencer e agenti intermediari. Le prime linee guida sono uscite a gennaio: a fianco, i criteri per valutare gli influencer a cui si applicano i primi obblighi di trasparenza. In contemporanea, è stato formato il tavolo tecnico, che si è riunito per la prima volta il 5 marzo e prevede di terminare i lavori a luglio, consegnando un codice di condotta.

«Rispetto alla Francia, che ha scelto una legge ordinaria, abbiamo fatto una scelta più sensata. Una fonte di secondo grado si adatta meglio a un settore che è in costante mutamento», osserva Ierussi. Accolte con favore, per il momento, le regole che vanno a limitare le pubblicità di scommesse, tabacco, alcolici, mentre, secondo Ierussi, sarebbe molto complesso equiparare la responsabilità editoriale che può avere il direttore di una testata giornalistica a quella di un creator, come invece prevede il modello seguito dalla Spagna (che paragona gli influencer ai lavoratori della televisione) e in parte dalla stessa Agcom. «Google, Meta, TikTok non hanno nessun tipo di controllo editoriale sui contenuti che vengono condivisi, quindi non c’è una responsabilità del broadcaster». Tra i parametri considerati inappropriati, anche il numero di contenuti pubblicati.

Anche Prattico, che vede con favore l’arrivo di una normativa che delinei dei confini più precisi per la professione, trova che alcuni criteri siano poco centrati: «Il limite di un milione di follower lascia una fascia scoperta di influencer medi e piccoli che comunque collaborano con i brand». Non ha dubbi però che quello che stia avvenendo sia «una Rivoluzione francese. Che non arriva dal basso, cioè da noi, ma in qualche modo opera per noi: nel momento in cui tutto sarà adv, nessuno ci farà più caso e nessuno si lamenterà più. Come la pubblicità in tv: è normalizzata, chi si lamenta di quella?».

Gli influencer digitali

 

Insieme al riconoscimento di una professione, arriva però anche la concorrenza, che è ancora più digitale degli stessi “imprenditori digitali”, per utilizzare un termine coniato da Chiara Ferragni.

Il fenomeno delle influencer digitali in realtà non è nato ieri. Gli esperimenti tecnologici per dare una voce e un volto a modelle virtuali in passato si sono chiamate Lu Do Magalu, Lil Miquela, Leya Love. Erano sì influencer digitali, antenate di quelle che oggi, invece, sono create grazie all’intelligenza artificiale generativa. Da un prompt, cioè le istruzioni date all’algoritmo, può nascere un testo o un’immagine. E con la tecnologia dei deepfake, gli strumenti in mano a chi queste modelle le crea aumentano a dismisura. In questa maniera si può sovrapporre il volto della propria modella digitale a un corpo reale, per consentire alla influencer di vivere dentro il mondo e non fuori.

Alla fine del 2023 sono arrivate Aitana Lopez ed Emily Pellegrini. Così belle e realistiche da aver spezzato il cuore di tanti. La prima nata per volontà dell’agenzia di modelle Clueless, che ha creato Aitana per potere gestire una modella in ogni aspetto della sua “vita”, la seconda passata agli onori della cronaca per la fila di spasimanti che si è presentata fra i messaggi privati.

Le influencer fatte con l’intelligenza artificiale sono arrivate anche in Italia. Tra di loro c’è anche Francesca Giubelli. La modella digitale si presenta come una food e travel blogger con un obiettivo: promuovere il Made in Italy. E, per valorizzare il tricolore, in un post su Instagram Giubelli aveva anche annunciato di volersi candidare alle elezioni del parlamento europeo con un partito (fittizio) chiamato Alleanza Italiana. 

Influencer creata con l’intelligenza artificiale, conta a marzo 2024 10mila follower. Dietro di lei, c’è Ktp Agency, un ufficio stampa con sede a Roma. In questo video, Giubelli risponde alle nostre domande.

Dietro all’idea e alla creazione della influencer virtuale c’è Ktp Agency, ufficio stampa con sede a Roma. Alla guida ci sono Emiliano Belmonte e Valeria Fossatelli, che hanno lanciato il progetto, e Francesco Giuliani, che l’ha realizzata con l’intelligenza artificiale.

«Siamo partiti da quello che stava succedendo in Italia con Chiara Ferragni. Da lì abbiamo costruito una “sceneggiatura” per Francesca Giubelli», racconta Emiliano Belmonte, ricostruendo la creazione della influencer virtuale. «Poi mi sono adoperato per posizionarla come prima influencer creata con l’intelligenza artificiale italiana per la promozione del territorio». 

«Non abbiamo finanziatori o budget, lo abbiamo fatto tutto con il nostro lavoro», aggiunge. E, per adesso, nessuna azienda sta ufficialmente sponsorizzando l’influencer: «Fino a ora nessuno dei post è pubblicitario», sottolinea. Tra i contenuti di Francesca su Instagram, infatti, non è insolito vedere un riferimento a famosi brand di abbigliamento o di prodotti alimentari. «Nei prossimi mesi capiremo se siamo riusciti a trovare delle aziende».

Intanto, i vantaggi di avere una content creator virtuale rispetto a una in carne e ossa si vedono con chiarezza. «Con un’influencer virtuale puoi decidere quello che le persone vogliono in quel momento. Anche una reale può farlo a modo suo, ma non può spingersi oltre alla propria natura. Una digitale, non essendo una persona, può fare quello che le chiedono un’azienda o le persone che la realizzano». 

Gli influencer sono al tramonto?

 

Il futuro si fa più affollato per i creator. Per Paolo Landi, esperto di comunicazione e autore di La dittatura degli algoritmi. Dalla lotta di classe alla class action (2024, Krill Books ) e Instagram al tramonto (2019, La nave di Teseo), non è questa la fine degli influencer.

Non credo sia facile appassionarsi alla vita di un influencer creato dall’Ai come ci stiamo appassionando alle vicende di Chiara Ferragni.

Paolo Landi

esperto di comunicazione e autore

Da una parte, infatti, spiega: «Il lavoro degli influencer acquista più valore quanto più sembra “gratuito”, come se la “scelta” di una merce da parte di un/una influencer non fosse più corrotta dal fatto che chi la consiglia sia pagato per farlo», dall’altra «prefigura un futuro in cui guadagnarsi la vita “con il sudore della fronte” come si sarebbe detto una volta, diventa ridicolo. Il capitalismo digitale ci convince che diventare ricchi è facile, non occorre studiare né lavorare, basta avere l’idea giusta. Le nuove aspirazioni dei giovani sono sempre più modellate sulle fortune improvvise accumulate dai vari Zuckerberg e compagni della Silicon Valley, fortune innescate da un’idea appunto».

Non è solo il contenuto in sé, l’adv in sé: è l’essere contemporaneamente «imprenditori e operai». «Lavorano sempre senza lavorare mai, chi li paga non è proprietario del loro tempo, né delle loro braccia, tutti e due sono impegnati a occultare la materialità dello scambio», aggiunge Landi. Quanto alla convivenza con le intelligenze artificiali, nella fase attuale «conta ancora che qualcuno possa attraversare un red carpet, possa innamorarsi, possa avere una vita vera parallela a quella digitale per fidelizzare i follower, mettendo in scena quotidianamente la sua vita privata». Promotori e prodotti allo stesso tempo, in questo dualismo c’è la chiave per la loro sopravvivenza, come osserva Landi: «Non credo sia facile appassionarsi alla vita di un influencer creato dall’Ai come ci stiamo appassionando alle vicende di Chiara Ferragni».

All’idea di essere affiancato dagli influencer digitali, Prattico fa un sospiro di sollievo: «Meno male che arrivano loro. Così noi possiamo tornare a fare le cose per passione».