Caduti nella rete

di Valentina Danesi e Giulia Virzì

Perdete ore di sonno perché restate alzati fino a tardi davanti al computer?

Vi succede di temere che la vita senza Internet sarebbe noiosa, vuota?

Vi capita di scoprirvi a dire “ancora qualche minuto e spengo”?

Rispondete secondo la seguente scala di valutazione:

1 = mai, 2 = raramente, 3 = ogni tanto, 4 = spesso, 5 = sempre.

Quelle che avete appena letto, e a cui forse avete dato risposta, sono alcune delle domande di un questionario per la diagnosi dell’Internet addiction disorder, la dipendenza da Internet. L’Internet addiction disorder (IAD) è una forma di abuso-dipendenza che provoca problemi sociali, craving, sintomi da astinenza, isolamento sociale, problemi economici, lavorativi e coniugali.

Dopamina. Craving. Bisogno. Abuso

La natura della dipendenza da Internet si avvicina a quella del gioco d’azzardo patologico, un disturbo del comportamento che rientra nella categoria diagnostica dei disturbi del controllo degli impulsi. Numerosi studi hanno dimostrato che non solo l’assunzione di sostanze (alcol, droga) ma anche i comportamenti sono in grado di determinare reazioni chimiche capaci di creare un’abitudine. La dopamina, un neurotrasmettitore prodotto dal cervello e rilasciato per una sensazione di piacere e benessere, aumenta di livello anche solo per un’azione che si compie, non necessariamente per una sostanza che si assume. E allo stesso modo, nell’interruzione di un comportamento compulsivo si determinano sintomi fisici simili a quelli dei tossicodipendenti in crisi d’astinenza. Il craving indica il desiderio improvviso e incontrollabile di assumere una sostanza, spesso accompagnato da una ricerca compulsiva o dall’attuazione di determinati comportamenti al fine di ottenere ciò di cui si sente il bisogno.

È difficile identificare in maniera certa una dipendenza da Internet. Ad aggiornare un suo precedente studio sulla dipendenza da Internet condotto su più di 2500 adolescenti italiani, il professor Roberto Poli, psichiatra dell’ospedale Maggiore di Cremona, definisce lo stato patologico dell’uso di Internet “ambiguo“, sottolineando come non esistano ancora “criteri diagnostici ampiamente accettati”. «The appropriate classification of Internet addiction is still controversial», scrive il professore, rimarcando come l’IAD sia stato definito di volta in volta come un disturbo del controllo degli impulsi, un disordine ossessivo compulsivo o come una dipendenza comportamentale. Ma ci sono segnali che fanno sperare che in futuro si possa arrivare a una definizione condivisa: «The inclusion of Internet Gaming Disorder in the appendix of the updated version of the Diagnostic and Statistical Manual for Mental Disorders (DSM-5) encourages further research» (qui l’abstract).

Non esiste una dipendenza da Internet. Esistono diverse dipendenze da Internet.

Ci sono cinque categorie di Internet addiction (in “Internet addiction update: diagnostic criteria, assessment and prevalence”, Roberto Poli, Neuropsychiatry, 2017), perché “le persone diventano dipendenti da un comportamento che diventa il grilletto per l’abuso”: cybersexual, cyber-relational e computer addiction, net-compulsions e information overload. Si tratta, in sintesi, della dipendenza da pornografia online, da relazioni su web (chat e social network) e da videogame e programmi per pc, oppure di comportamenti compulsivi come il gioco o lo shopping online e infine di un uso eccessivo dei motori di ricerca e relativa mole di informazioni.

La diagnosi

Sono stati fatti numerosi studi, ma ancora non si è arrivati alla definizione di criteri univoci che possano diagnosticare la dipendenza da Internet. Quindi si va per tentativi, aiutandosi con un questionario per definire i contorni del proprio comportamento in rete. Uno dei primi elaborati è stato lo IAT, l’Internet addiction test. La dottoressa Kimberly Young, una psicologa statunitense, professoressa alla St. Bonaventure University, che nel 1995 fondò il Center for Internet Addiction -la prima clinica per la diagnosi e la cura della dipendenza da Internet all’interno del Bradford Regional Medical Center in Pennsylvania-, ha elaborato un modello con 20 domande volte a capire quanto spazio abbia nella vita di una persona l’utilizzo di Internet e se lo stesso sia collegato a un comportamento compulsivo. Le tre domande iniziali fanno parte di questo modello elaborato nel 1998. Nel corso del tempo sono stati elaborati altri questionari basati sullo stesso metodo: un test di autovalutazione il cui punteggio finale va inserito in una griglia di valutazione prestabilita, in grado di fornire il primo campanello d’allarme per un’eventuale diagnosi di Internet addiction.

IAT, Internet Addiction Test: fai il test

Questo è lo IAT, l’Internet Addiction Test elaborato dalla dottoressa Kimberley Young. Si tratta di 20 domande volte a capire il grado di attaccamento a Internet di un individuo. La scala di valore è la seguente:
1 = mai, 2 = raramente, 3 = ogni tanto, 4 = spesso, 5 = sempre.

Sommate il punteggio man mano totalizzato: al termine del test troverete una scala che indicherà il vostro livello di dipendenza da Internet.

Qual è il tuo punteggio?

punteggio tra 0 e 19 – al di sotto della media.
punteggio tra 20 e 49 punti – utilizzatore medio di Internet, a cui può a volte capitare di navigare in rete un po’ troppo a lungo, senza però perdere il controllo della situazione.
punteggio tra 50 e 79 punti – punteggio al di sopra della media. La persona ha già diversi problemi a causa di Internet e dovrebbe riflettere sull’impatto che questi problemi hanno sulla sua vita.
punteggio tra 80 e 100 punti – l’uso di Internet è intensissimo e sta causando alla persona notevoli problemi. La persona dovrebbe considerare l’impatto di Internet sulla sua vita e affrontare i problemi che le causa.

I numeri

A fine dicembre 2017 anche l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha riconosciuto la dipendenza da Internet, nello specifico quella da videogiochi, come un vero e proprio disturbo mentale. Infatti, nella prossima versione del manuale diagnostico International Classification of Diseases (Icd) verrà aggiunto il gaming disorder alla voce “disordini dovuti a comportamenti di dipendenza”.  La stessa che, secondo la rivista Neuropsychiatry, riguarda il 5% degli adolescenti italiani, abbassandosi al 2% su base nazionale. Le percentuali, seppur in crescita, non sono le stesse in Europa ma variano da Stato a Stato. Si va dall’1% dei giovani norvegesi all’8% di dipendenti da Internet fra i giovani americani che hanno dai 18 ai 22 anni.

Secondo dati Istat, il 65,3% dei bambini intorno ai sei anni di età si è connesso alla rete negli ultimi 12 mesi.  Sono poi gli adolescenti che si riconfermano i maggiori fruitori, con picchi del 92% tra i 15 e i 24 anni. Tuttavia, non va dimenticata una fascia che fino a qualche anno fa si approcciava a Internet con qualche reticenza e che invece ora sembra apprezzarlo sempre di più: gli adulti tra i 55 e i 59 anni con percentuali dal 62,7% del 2016 al 68,2% del 2017. Tra le cause ci sono anche quelle lavorative. Spesso è necessario condividere file su memorie volatili o avere accesso rapido a mail e servizi Internet e a usufruirne è circa il 32% degli utenti della rete.

Una ricerca dell’Università di Hong Kong ha dimostrato che circa il 6% della popolazione mondiale può considerarsi affetta da dipendenza da internet. Considerando che la popolazione mondiale si aggira intorno ai 7 miliardi di abitanti, si può quindi parlare di più di 400 milioni di persone. A ciò va aggiunto che non tutto il mondo ha accesso a Internet, ma solo il 39% della popolazione globale. La Cina è stato il primo Paese a riconoscere l’Internet Addiction Disorder come malattia mentale  e il governo cinese ha aperto 250 centri di recupero per i giovani che soffrono di questo disturbo.

Le storie

Quando l’uso di internet diventa dipendenza? Qual è il confine? Mancano dati epidemiologici, mancano parametri che siano uniformi e riconosciuti dalla comunità scientifica. È quindi solo una questione di ore? Nemmeno. L’abbondante e diffuso uso della rete fa interrogare su quanto ciascuno di noi sia legato al mondo virtuale. Le motivazioni sono le più varie, così come lo sono i siti visitati e le storie di chi, dipendente, ammette di esserlo stato.
C’è chi come Elena, sviluppatrice web non vedente dalla nascita, ha vissuto per anni con un alter ego virtuale per sfuggire a un mondo di discriminazioni. O chi come Marco e Giorgio, studente il primo ed esperto di computer il secondo, non poteva fare a meno del videogioco. Sentivano di avere il mondo in mano. Trascorrevano decine di ore giocando e le relazioni (del mondo reale) perdevano sempre più importanza. Erano rimasti soli, o quasi. Poi, qualcosa è cambiato.

Ho capito che quella non era vita. E che se avessi continuato sarebbe stato un lento suicidio

Giorgio

L’esperimento

In un liceo di Brescia, il Liceo Paritario Isaac Newton, 15 studenti hanno accettato di partecipare a un esperimento: resistere una settimana senza connessione Internet. L’idea nasce dall’ultimo film di Federico Moccia, “Non c’è campo“, nel quale il regista racconta gli adolescenti e il loro rapporto con la rete. Sempre connessi ai social e alle chat, i maturandi protagonisti del lungometraggio si troveranno completamente spaesati una volta arrivati a Scorrano, in Salento, meta della loro gita: i telefoni lì non prendono. Non c’è campo, per l’appunto.
Ed è da qui che riparte la 5A del liceo Newton. La società di distribuzione Koch Media, in collaborazione con ScuolaZoo, ha chiesto loro di mettere in modalità aereo i telefoni cellulari per provare a vedere se sia possibile (fuori dal set cinematografico) una vita senza connessione Internet. Niente rete, social, chat, messaggi, foto. Né a scuola né a casa né in un qualsiasi altro luogo. Unica modernità ammessa, il telefono fisso.
Una terapia d’urto che ha presentato numerose difficoltà per i ragazzi: chi ha sentito la mancanza di Instagram, chi di WhatsApp, chi non riusciva a comunicare con gli amici e chi invece ha avuto difficoltà nello studio. Queste sono le loro esperienze.

Quello di Non c’è campo a Brescia è stato un esperimento che ha voluto, in modo giocoso e divertente, mettere alla prova i soggetti che più e più spesso usufruiscono di internet: i ragazzi. Ma l’utilizzo anomalo della rete è una patologia seria che viene presa in cura in vari centri: sia privati, come la Siipac di Marco e Giorgio a Bolzano, sia pubblici come il policlinico Gemelli a Roma che ha aperto nel 2016 un centro multidisciplinare per aiutare bambini e adolescenti. È importante per chi manifesta la necessità di collegarsi, di giocare, chi si isola costantemente da amici e famiglia, chi ha reazioni esagerate quando non ha la possibilità di connettersi capire che questi sono possibili campanelli d’allarme e parlarne con persone di fiducia e specialisti è l’unica e vera soluzione.