CannaBusiness
Il mercato (quasi) legale della marijuana italiana
Sapevate che anche in Italia è possibile farsi uno spinello senza passare guai con la giustizia? Si, a patto che la marijuana usata sia “light”, cioè leggera. Dall’11 maggio scorso l’erba con meno dell’1% di Thc – la sostanza che genera gli effetti tipici della Cannabis – può essere acquistata e consumata liberamente, da quando un gruppo di giovani imprenditori ha sfruttato la legge sulle droghe leggere a proprio favore. Niente erba pesante, ma solo una versione più leggera. Gli inventori della marijuana legale sono tre ragazzi ventenni che hanno creato anche la piattaforma di vendita che spedisce il prodotto direttamente a casa. Un esperimento che riapre, per l’ennesima volta, l’eterno dibattito sulle droghe leggere.
Il discorso legalizzazione, in Italia, sembra essere stato ancora una volta accantonato. L’ultimo tentativo è stato fatto il 16 luglio 2015 dall’Intergruppo Parlamentare per la legalizzazione della cannabis, con una proposta di legge che è stata rimandata in commissione Bilancio, dove il testo è stato bloccato da un emendamento di Sinistra Italiana con la Lega che è ‘passata in maggioranza’ votando’ No’ insieme al Pd la proposta di legalizzazione della cannabis destinando i maggiori incassi (fino a cinque miliardi nell’emendamento) alla ricostruzione post sisma. La proposta è stata sostenuta da M5s, Civati e sinistra Pd. Era novembre 2016 e da allora non è stata ancora calendarizzata una nuova discussione.
Cosa prevede il testo in sei punti:
Il possesso: solo i maggiorenni potranno detenere una modica quantità per uso ricreativo: 15 grammi a casa, 5 grammi fuori casa.
L’autocoltivazione: sarà possibile coltivare fino a 5 piante con una semplice comunicazione, ma sarà vietata la vendita del raccolto.
I cannabis social club: ai maggiorenni residenti in Italia sarà consentita la coltivazione in forma associata in enti senza fini di lucro.
La vendita: la vendita al dettaglio avverrà in negozi dedicati forniti di licenza dei Monopoli.
La cannabis terapeutica: sarà permessa l’autocoltivazione per fini terapeutici. Le modalità di consegna, le prescrizioni e l’acquisto dei farmaci a base di cannabis saranno semplificate.
I divieti: Non si potrà fumare in nessun luogo aperto al pubblico, nemmeno nei parchi. Resterà anche il divieto di guida in stato di alterazione con le relative sanzioni previste dal codice della strada.
In altri Stati del mondo, la legalizzazione ha portato a risultati economici invidiabili, senza causare danni alla salute pubblica. Basta mettere il naso oltre l’Atlantico, per capirlo. In Uruguay, Canada, e in diversi stati degli Usa la marijuana è diventata legale, mentre in Europa l’unico esempio di “liberalizzazione” è quello Olandese, dove però il consumo è ristretto ai coffee shop.
Un’economia, quella della Marijuana legale, che ha risolto più di qualche problema al di là dell’Oceano. Negli Stati Uniti saranno più di 250mila i posti di lavoro generati dall’indotto della cannabis. Con un ritmo di crescita superiore a settori dell’economia tradizionali come il manifatturiero, come rivela un report di New Frontier. D’altronde, le proiezioni sono più che positive: stando a quanto riportato da Bloomberg, entro il 2026 il valore di questo particolare mercato potrebbe sfiorare i 50 miliardi di dollari.
Solo nello scorso anno, le vendite in Canada e negli Stati Uniti hanno avuto una crescita del 30%, per un valore totale di 6,7 miliardi di dollari. Entro il 2020 solo la cannabis terapeutica potrebbe arrivare a superare quota 13 miliardi, mentre quella utilizzata a scopo ricreativo andrà oltre gli 11 miliardi.
In Europa, la situazione è completamente diversa. Spagna, Germania, Olanda e Portogallo hanno concesso una minima tolleranza per piccole quantità per uso personale, anche nei luoghi pubblici. Al momento, però, il discorso legalizzazione resta nella sfera del semplice dibattito. Da noi, in Italia, la situazione è ancora in fase di stallo. Due anni fa, in Parlamento, è iniziato il lavoro dell’intergruppo per la cannabis legale: 200 tra deputati e senatori hanno sottoscritto un testo di legge che, tuttavia, non è stato ancora discusso. Il testo prevede novità sia sul consumo che sulla coltivazione con l’avvento di punti vendita specifici, dedicati al commercio della cannabis. Secondo una ricerca effettuata da Coldiretti/Ixè nello scorso luglio, anche a livello italiano, la legalizzazione della marijuana favorirebbe nuove opportunità nel mercato lavorativo, per un giro di affari di 1,4 miliardi di euro e quasi 10mila posti di lavoro in più. La scelta proibizionista dello Stato è un autentico autogol dal punto di visto economico: ogni anno, infatti, l’Italia potrebbe incassare dai 6 agli 8 miliardi di euro dalla tassazione della cannabis. Un altro tipo di valutazione andrebbe fatta per quello che riguarda l’uso terapeutico. Alcuni ricercatori hanno espresso la volontà di eliminare quei pregiudizi che hanno finora caratterizzato il discorso sulla cannabis. Oltre al vantaggio terapeutico per i pazienti, non bisogna perder d’occhio la grave perdita economica per un paese che continua a importare la marijuana dall’estero. Non è un caso, forse, che negli ultimi tempi il dibattito si sia riacceso grazie ad alcuni nuovi prodotti derivanti dalla canapa: su tutti c’è “Easyjoint”, la marijuana legale di casa nostra. Non solo. Continua la crescita del mercato dei semi di marijuana: chiunque può acquistarli in un qualsiasi Grow shop, ma nessuno sa come questi semi vengano poi utilizzati da chi li compra.
Un mercato con una grande richiesta, dunque, che anche in Italia promette di esplodere. Basti pensare che “Easyjoint”, aperta da appena un mese, non riesce a stare dietro alle domande dei clienti. Il sito web della piattaforma è andato in tilt più volte e anche gli scaffali dei punti vendita sono sempre vuoti per i troppi acquisti. La cannabis venduta da questa impresa si chiama Eletta Campana. Un’erba con un valore di Thc (la sostanza psicotropa che “sballa”) inferiore allo 0,6 per cento e che allo stesso tempo ha un alto contenuto di Cbd, la sostanza che dovrebbe permettere a questa erba di avere esclusivamente effetti rilassanti. Come fosse una camomilla, insomma.
La novità non è sfuggita ai milanesi e agli appassionati del genere: basti pensare che nelle prime tre settimane dalla messa in commercio, l’unico punto vendita in città ha terminato le 300 unità di fornitura messe a disposizione dai produttori. E anche l’e-commerce di “Easyjoint” è stato preso d’assalto da moltissimi che hanno voluto provare la nuova “erba”. Un prodotto tutto italiano che ha saputo sfruttare l’onda d’entusiasmo creatosi in Svizzera, dove la “canna light” viene già venduta da qualche mese, come fosse tabacco. Oltralpe, il contenuto di Thc, però, è quasi pari allo zero. Luca Marola, titolare di Canapaio Ducale a Parma, insieme a L’erbavoglio, azienda produttrice di canapa nelle Marche, ha deciso di riproporre al mercato una varietà di canapa sativa già usata in Italia fino agli anni Trenta.
Secondo i produttori l’alto contenuto di Cbd favorirebbe il rilassamento, combatterebbe il mal di testa, i dolori mestruali e quelli articolari. Inoltre, “Easyjoint” avrebbe un effetto antiossidante che potrebbe aiutare chi soffre di malattie degenerative. Negli ultimi tempi, secondo quanto detto dai rivenditori del prodotto, sono tantissimi i clienti che la comprano per alleviare i dolori della fibromialgia, una malattia che provoca dolore e rigidità dei muscoli.
Easyjoint andrebbe consumata a mo’ di tisana, anche se quando è stata lanciata veniva pubblicizzata come sostituta del tabacco. Un uso che però è stato sconfessato dagli stessi creatori per non andare contro la legge. Tutti i prodotti che subiscono una combustione, infatti, sono dannosi per la cavità orale e per le vie respiratorie, a prescindere da ciò che si fuma. Tuttavia, molti clienti la rollano nelle classiche cartine per fumarla, contro l’intenzione degli stessi commercianti che si espongono all’accusa di coltivare marijuana industriale. Un’accusa che rispediscono al mittente: la varietà distributiva, specificano, è di una pianta diodica, cioè di semi che possono assumere il sesso sia maschile sia femminile. La canapa industriale invece è monoica cioè di un sesso solo. Un dettaglio rilevante, perché la cannabis che “sballa” è solo quella di sesso femminile e Easyjoint ha una logica diversa, che non accontenta le persone alla ricerca dell’erba “da sballo”.
Gli interessati a questo tipo di cannabis si rivolgono a negozi specializzati in semi da “collezione”, cioè semi che vengono distribuiti in bustine e che non possono essere coltivati. Un espediente che molti usano per coltivarsi la propria piantina in casa. Questo buco legislativo è lo stesso utilizzato da Marco Cappato, consigliere comunale a Milano e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che ha iniziato a distribuire semi di canapa direttamente dal proprio sito web. Una provocazione che ha l’obiettivo di sollecitare il Parlamento sulla legalizzazione: «La mia è un’incitazione a delinquere. La coltivazione di cannabis in Italia resta severamente punita, con la conseguenza di lasciare un mercato di (almeno) 4 milioni di consumatori arricchire la criminalità per un giro d’affari, tutto illegale, stimato in miliardi di euro», spiega. «Inoltre resta il problema dell’uso terapeutico: oggi la fornitura soddisfa una parte minima della domanda e tutto dev’essere importato dall’estero a prezzi altissimi».
Il successo di “Easyjoint” non sta facendo solo la fortuna dei creatori, ma ha dato una forte sterzata a un mercato già in forte crescita. Stiamo parlando di negozi che vendono prodotti derivati dalla canapa come i biscotti e le torte alla marijuana, i trita-erba, cartine aromatizzate, bong o vaporizzatori. Per capire meglio il fenomeno è sufficiente dare un’occhiata ai dati. Negli ultimi tre anni ne sono nati 100, tanti quanti ne erano stati aperti nel decennio precedente.
Un business articolato, che prevede anche la possibilità di aprire negozi in franchising o di gestire la distribuzione dei prodotti.
Un mercato che rende molto. Secondo la guida specializzata Magica Italia, investire in queste imprese non comporta un rischio alto e permette di guadagnare bene. Basti pensare che il fatturato medio di queste attività si aggira, con le dovute eccezioni, intorno ai 35-40 mila euro al mese.
Ma attenzione a fare – è il caso di dirlo – di tutta l’erba un fascio. Il termine “Grow shop” è spesso utilizzato in maniera generica per riferirsi a negozi che commercializzano canapa e derivati. In realtà nella maggior parte dei punti vendita italiani i confini sono labili: spesso accade che nella maggior parte dei negozi specializzati si trovino gli stessi prodotti. Ecco perché bisogna distinguere tra Grow, Head, Smart e Hemp shop. Con la denominazione Grow shop si intendono i negozi che vendono prodotti per la coltivazione, gli stessi del giardinaggio, come lampade e fertilizzanti, mentre con Head shop ci si riferisce a tutti gli accessori utilizzati per consumare le sostanze: dai grinder (che servono per tritare l’erba) alle cartine, passando per mistiere, bong, set vari e accessori. Gli Smart shop si dedicano alla vendita di sostanze psicoattive legali come integratori o composti di origine naturale e sintetica.
Un discorso diverso va fatto per un nuovo tipo di attività che da poco si è affacciata al mercato, quella degli Hemp shop che, oltre ai prodotti per la coltivazione, si focalizzano sul settore alimentare e cosmetico. Dalla pasta, allo shampoo, passando per birre, olio e cioccolata. Tutto a base di canapa. «Non mi sorprenderei di vedere la pizza con l’impasto di canapa», spiega Stefano Cislaghi, titolare di Green Utopia, il primo a commercializzare “Easyjoint” a Milano, «i nostri clienti apprezzano i prodotti a base di canapa per una serie di ragioni: c’è chi li prende per il loro contenuto proteico, chi per il loro effetto analgesico e antinfiammatorio». Inevitabile affrontare il discorso sulla cannabis a uso terapeutico: «Non sempre è facile gestire la clientela da questo punto di vista», racconta, «cerchiamo sempre di capire se il cliente, prima di venire da noi, abbia consultato un medico e non si sia lasciato trasportare da quello che si legge su internet. Per questo motivo prima di vendere delle gocce o una pomata antidolorifica invitiamo le persone a rivolgersi a uno specialista». Che l’informazione sia uno dei doveri dei titolari degli Hemp shop, lo conferma anche Marco Russo, fondatore di Sir Canapa, il primo negozio di settore a Milano e in Italia: «Bisogna puntare molto alla sensibilizzazione sul tema». Ecco perché da due anni, Russo organizza l’Hempfest 4.20: «Un evento che unisce l’intrattenimento al dibattito, con l’obiettivo di informare grazie alle discussioni sul tema cannabis con medici e avvocati».


In Italia, l’uso della cannabis a scopo terapeutico nasce nel 2007, quando l’allora ministro della Salute Livia Turco ha riconosciuto con un decreto l’uso in terapia del cannabinoide delta-9-THC e dei suoi omologhi. Sei anni dopo, nel 2013, quando al ministero c’era Salute, Renato Balduzzi, fu esteso il riconoscimento dell’efficacia per scopi terapeutici anche alla pianta di cannabis in forma vegetale e ai suoi estratti e preparati. Accanto a queste normative, negli ultimi anni sono state introdotte nuove leggi regionali che riconoscono la prescrizione dei medicinali cannabinoidi a carico del Servizio Sanitario Regionale. Tuttavia, questo sistema varia da regione a regione e non tutti i pazienti possono beneficiare di questi servizi se la loro Regione d’appartenenza non li prevede. Il primo progetto di produzione di cannabis terapeutica in Italia è stato avviato a Firenze, presso lo stabilimento Chimico Farmaceutico militare. Tuttavia, la produzione dello stabilimento non riesce a soddisfare la richiesta dei pazienti. Fino ad allora, la cannabis continuerà a essere importata dall’Olanda. Un costo in più e un rischio da non sottovalutare: qualche settimana fa, una delle principali coltivazione di cannabis terapeutica nei Paesi Bassi è andata in fiamme causando diversi disagi alle importazioni.
Per ottenere tali farmaci sono due le strade che si possono seguire: quella dell’importazione dall’estero (D.M. 2/97) e quella della normale prescrizione medica.La prima comporta il superamento di numerosi ostacoli burocratici come la compilazione del modulo di importazione da parte del medico, la consegna alla farmacia territoriale o ospedaliera, la richiesta del “nulla osta” per l’importazione al ministero della Salute e l’acquisto direttamente dal Ministero della salute olandese. Tuttavia questa strada, pur tortuosa, riesce comunque a fornire al paziente il farmaco con costo che varia dai 9 ai 15 euro al grammo. Un prezzo a cui però potrebbero essere aggiunti alcuni aggravi da parte del ministero della Salute olandese e le spese di spedizione. Per ricevere quell’erba, si può arrivare ad aspettare fino a tre mesi. La seconda opzione consiste nel farsi prescrivere da un medico la cannabis su ricetta bianca non ripetibile. Quest’operazione permette di aggirare la serie di passaggi visti sopra e di poter ottenere il farmaco in una qualsiasi farmacia che effettui preparazioni galeniche. L’unico svantaggio sta nel prezzo, che si aggira intorno ai 20 euro al grammo nella maggior parte delle farmacie abilitate alla vendita.