OLTRE LA CRISI DEI MICROCHIP

Mentre il chip del futuro sembra sempre più vicino, la carenza paralizza interi settori economici, dall'industria dell'auto a quella degli elettrodomestici

 

Oggetti con microchip

di Alessandra Tommasi e Lorenzo Rampa

 

Un processore neurale collocato alla base della spina dorsale che potenzia l’essere umano, aumentandone a dismisura i riflessi e la memoria. Microchip intercambiabili che, una volta inseriti, permettono a chiunque di trasformarsi di colpo in un campione di karate o un esperto musicista. Siamo nel distopico mondo di Cyberpunk 2077, il videogioco ispirato ai racconti di  Bruce Bethke che per primo unì la cibernetica alla controcultura punk. Uno scenario di pura fantascienza, molto lontano dalla realtà dei nostri tempi, oggi al centro di una forte contraddizione. Se da un lato la scienza è stata in grado di inviare il primo tweet col pensiero grazie a un microchip (in data 31 dicembre 2021), dall’altra parte siamo di fronte alla più grave carenza di semiconduttori di sempre.

Computer, smartphone, auto, frigoriferi: i microchip sono ovunque e permettono il funzionamento di quasi ogni dispositivo di natura elettrica. Sono alla base di sistemi missilistici e bancari, strumentazione medica, telecomunicazioni e intelligenza artificiale. Eppure, oggi non ce n’è abbastanza e la loro mancanza mette in crisi interi settori dell’industria in tutto il pianeta: dal generale aumento dei prezzi alle chiusure forzate del mondo dell’auto, passando per la difficoltà nel reperire processori e memorie per smartphone, pc e console di videogame, fino alla scarsità di componenti per la robotica.

Ma se c’è una cosa che la storia insegna è che ogni grande scoperta o balzo tecnologico dell’umanità inizia sempre da una crisi. In questo caso, l’emergenza pandemica, che ha accelerato la transizione digitale in tutto il pianeta e dato una spinta alla ricerca. I chip neuromorfici, processori che imitano il funzionamento dei neuroni, hanno il potenziale di rivoluzionare l’IA. Anche la corsa ai computer quantistici dei big dell’high tech prosegue senza sosta, grazie alle enormi potenzialità di questa nuova tecnologia dalla capacità di calcolo infinitamente superiore. Per quanto ne sappiamo, il fautore della prossima grande rivoluzione tecnologica potrebbe essere già tra noi.

Glossario

Un circuito elettronico miniaturizzato, integrato su una piastrina di materiale semiconduttore, in genere il silicio. I suoi componenti base sono i transistor che, nei chip più avanzati, possono arrivare a decine di miliardi
Materiale come il germanio e il silicio, con cui vengono realizzati i componenti di un microchip: transistor, diodi, resistori. Presenta proprietà di conduzione elettrica intermedie tra i conduttori metallici e gli isolanti, influenzabili tramite un processo chiamato drogaggio. Può indicare anche più in generale i dispositivi a semiconduttore, chip compresi
Componente base di un microchip. Funge da interruttore: permette o meno il passaggio della corrente elettrica cambiando il suo stato in acceso (1) o spento (0)
Il punto di partenza per la fabbricazione di un chip. Si tratta di un disco di silicio purissimo, che viene lavorato tramite processi chimici, fisici, fotolitografici. Dopo centinaia di step, sul wafer si forma un certo numero di microchip identici, che va dalle migliaia a poche decine – la quantità varia in base alle dimensioni della fetta e al tipo di chip
L’unità di misura dei microchip più avanzati, pari 10-9 metri. Quando indicati, fanno riferimento alla distanza tra i transistor in un chip (non alla sua grandezza!). Il principio alla base è che quanto più bassi sono i nanometri, tanto più alto sarà il numero di componenti inseriti a parità di superficie, fino a dispositivi più potenti dalle dimensioni minuscole
Compagnia dove avviene la sola progettazione di un microchip. Non ha impianti di produzione propri perché, una volta sviluppato il circuito, la produzione viene affidata a società terze, chiamate fonderie
Impianti dove avviene la sola fabbricazione dei microchip. Se la proprietà è della stessa azienda che progetta, viene chiamata “fab” 

«La nostra sfida più grande in questa crisi è la supply chain, in particolare i processori. Non ho mai visto niente di simile».

Elon Musk

fondatore, SpaceX | Tesla | Neuralink

La crisi dei semiconduttori: come ci ha colpito e da dove arriva

 

La maggior parte degli esperti fa risalire l’inizio del calo nella produzione di microchip con lo scoppio della pandemia all’inizio del 2020, un evento che ha sconvolto e continua a sconvolgere le economie di tutto il mondo. I suoi effetti hanno iniziato a emergere in modo evidente a partire da dicembre dello stesso anno. Le chiusure prolungate dei lockdown e i conseguenti stop agli impianti di produzione dei semiconduttori hanno generato rallentamenti in tutta la filiera. Inoltre sono cambiate anche le abitudini dei consumatori: didattica a distanza, smartworking e conferenze da remoto sono diventati la nuova normalità per la maggior parte delle persone. Con gran parte della società costretta in casa per lunghi periodi di tempo è arrivato anche un aumento improvviso della domanda di dispositivi elettronici di largo consumo come laptop, smartphone e console di videogiochi. Ma la situazione del mercato dei semiconduttori non è scaturita da un singolo evento, bensì da una serie di concause con origini radicate ben prima della pandemia. In primis, le guerre dei dazi tra Stati Uniti e Cina, iniziate sotto la presidenza di Donald Trump a partire da gennaio 2018. Le sanzioni imposte dall’America hanno spinto la maggior parte delle aziende a cancellare gli ordini di microchip presso i produttori cinesi. Questo mutamento ha finito per favorire gli altri attori della filiera, in particolar modo quelli che operavano a Taiwan, considerati partner più allineati.

Lo scontro tra Cina e Stati Uniti si è spostato sul piano tecnologico con il bando Usa al gigante delle telecomunicazioni Huawei nel maggio 2019, con cui il colosso di Shenzhen è stato estromesso dal mercato americano dei semiconduttori. Le grandi aziende cinesi, in vista delle misure restrittive prorogate nel 2020 da Washington, hanno risposto agli attacchi americani comprando gran parte delle riserve di componenti tecnologici sulle principali piazze mondiali, svuotando di fatto le scorte dei competitor occidentali.

Con le riaperture rese possibili grazie all’arrivo dei vaccini, sono ripartiti i consumi e la domanda di microchip è letteralmente esplosa. A causa dei lunghi tempi di attesa del loro ciclo produttivo, gli impianti, che di norma fabbricano un carico di wafer nell’arco di tre mesi, hanno iniziato ad accumulare ritardi e lunghe liste d’attesa.

Come se pandemia e scontro tra Cina e Stati Uniti non fossero sufficienti, persino il cambiamento climatico ha contribuito all’impasse. Terremoti, incendi, bufere di neve, siccità: tutti eventi naturali estremi verificatisi negli ultimi due anni hanno colpito la filiera dei semiconduttori, portando a blackout e interruzioni di corrente diffusi. Shock esterni che, assieme agli incidenti negli impianti causati da errori umani, hanno creato la tempesta perfetta.

Chipmaker, produzione in tre fasi

 

I centinaia di processi dietro alla creazione di un microchip possono essere riassunti in tre fasi: progettazione, produzione e assemblaggio più testing. A livello pratico ciò avviene in impianti diversi, spesso sotto più aziende. Per l’ideazione basta un qualunque ufficio, tanto che a occuparsene possono essere compagnie denominate “fabless”, letteralmente “senza impianti”. Servono però gli Eda, speciali software di automazione della progettazione elettronica, che simulano un’architettura del microchip e ne predicono il comportamento prima ancora che esista.

La produzione richiede invece stabilimenti appositi, chiamati “fab” o fonderie, non solo per i macchinari, ma per temperatura e ambiente di lavoro. Parte dei processi di fabbricazione avviene nelle “camere bianche” anche dette “pulite”, perché prive di polvere per mantenere i circuiti il più puri possibile. Per assemblaggio e testing i requisiti sono ancora altri, seppur meno stringenti. Le tre fasi possono avvenire anche nella stessa compagnia, come racconta Giuseppe Croce, direttore generale R&S Smartpower dello stabilimento di Agrate Brianza di STMicroelectronics (ST), la multinazionale italo-francese famosa per aver inventato i sensori di movimento che hanno reso celebre la Nintendo Wii.

Il viaggio del microchip

Dall’idea al prodotto finito

L’industria dei semiconduttori è un ecosistema altamente specializzato, con una produzione frammentata su scala globale. In poche aree geografiche, un numero ridotto di compagnie detiene il monopolio (o quasi) di alcuni degli step produttivi. «Date queste premesse, si può capire come una semplice interruzione in qualsiasi parte del mondo crei un effetto a valanga», spiega ancora Alberto Guidi, research assistant dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), «se consideriamo tutta la catena ci sono 50 punti, chiamati “colli di bottiglia”, dove sono richieste competenze specifiche, di cui è dotata solo una o poche aziende». Le tecnologie di fonderia più all’avanguardia, per la fabbricazione dei chip a partire da un wafer di silicio, sono nelle mani di due compagnie, la Tsmc di Taiwan e la Samsung, in Corea del Sud. L’olandese Asml è l’unica azienda che produce macchinari fotolitografici di ultima generazione, indispensabili per uno dei passaggi della filiera, e rappresenta un’eccellenza europea. 

In un settore dove ciò che è nuovo invecchia dopo pochi anni, il motivo di tale frammentazione è dato dai costi: aprire una fabbrica di ultima generazione richiede oggi circa 20 miliardi di euro, per non parlare della cifra che servirebbe per mettere a punto l’intera catena di produzione. Le tariffe di circolazione dei semiconduttori sono invece così basse che, in genere, conviene far viaggiare i chip tra gli impianti che ci sono già. I vari step, dalla progettazione al testing, vengono così messi a punto in Stati, a volte persino in continenti diversi. Secondo le stime non è possibile spostare la filiera in un solo Paese: ciò causerebbe un aumento dei prezzi di un microchip dal 35% al 65% e ulteriori rialzi per il prodotto finito. Eppure, se si dipende da un mercato interconnesso un incidente qualsiasi, come un incendio in un impianto in Giappone, può ritardare l’uscita di auto in tutta Europa – come è avvenuto per Renesas, che produce molti dei chip necessari alle auto per il funzionamento di freni, servosterzo e airbag. E nel momento in cui si verifica un evento su scala globale come la pandemia da Covid-19, l’effetto a valanga si moltiplica.

Un microverso invisibile tutto intorno a noi

Nella nostra vita quotidiana siamo letteralmente circondati in ogni momento da microchip, nascosti anche in oggetti insospettabili, spesso senza rendercene nemmeno conto. Nelle nostre case se ne possono trovare molti più di quanti si potrebbe pensare. In questa riproduzione interattiva si può mettere alla prova le proprie convinzioni, esplorando diversi ambienti domestici e, con un solo click, verranno svelati tutti i dispostivi presenti negli scenari in cui si annida un chip.

Un mondo senza microchip: cosa è cambiato

«Due anni fa se compravi un microchip, tre giorni dopo arrivava in laboratorio. E se non era in stock, i tempi di consegna non superavano il mese». Stefano Checconi è un ingegnere elettronico ed è parte di un team che sviluppa componenti per biciclette. Nello specifico, i cambi delle bici da corsa targati Fsa, tra i migliori al mondo.

Racconta: «Ora si è molto più attenti a cosa è disponibile e si comincia un progetto nuovo in base a quello. Una volta definito su carta il circuito, anche se non l’hai ancora realizzato, cominci a pianificare gli ordini dei componenti. Perché i fornitori ne hanno pochi e rischiano di finire». Oggi la disponibilità di microchip rimane un’incognita e, quando scarseggia, l’attesa può arrivare ad alcuni mesi, perfino a un anno. A mancare non sono soltanto i microprocessori, chip programmabili alla base di ogni computer, tablet e smartphone.

Ma anche sensori, memorie e componenti dal valore di pochi euro. Una situazione determinante sia per le novità sia per quello che c’è già sul mercato. La Playstation 5, la console più desiderata del momento, sul mercato da novembre 2020, è oggi quasi introvabile. La stessa cosa vale per Xbox X/S. Sul breve periodo, questi fattori hanno portato al ripensamento di più di un settore.

Come quello dei grandi elettrodomestici, dove i semiconduttori sono oggi imprescindibili. «È impossibile tornare indietro: i prodotti devono essere conformi alle normative di risparmio energetico», spiega Luca Pasqualini, consulente di progettazione elettronica che collabora con le maggiori aziende del settore, secondo cui la carenza ha toccato anche quanto già in commercio: «Una soluzione degli ultimi mesi è stata inserire microchip con prestazioni più elevate di quelle necessarie, perché solo molti di quelli si trovavano. Così non si bloccava la produzione. Ad esempio, è capitato di usare alcuni microcontrollori che integravano la periferica di una chiavetta usb all’interno di una serie di lavatrici. È però una funzione aggiuntiva che non viene sfruttata, perché nessuno attaccherebbe una chiavetta a una lavatrice. E alle aziende costa di più».

Tipologie di microchip

Microprocessori
I chip logici, conosciuti anche come microprocessori, processano le informazioni ricevute con lo scopo di completare l’incarico che viene loro assegnato. Rappresentano il cuore operativo di ogni computer e sono il motore che coordina l’attività di calcolo ed elaborazione. Ne sono degli esempi le schede video dei computer, che trasformano il segnale digitale in immagini sullo schermo, e la CPU, ovvero il processore centrale, che si può definire il “cervello” del computer
Microcontrollori
Una variante dei microprocessori sono i microcontrollori, meno costosi e a basso consumo di energia, che elaborano velocemente informazioni meno complesse per compiti specifici. Ad esempio permettono di controllare alcune periferiche come il touch screen o un collegamento internet
Sensori
Chip che traducono un’informazione del mondo fisico (luce, suono, pressione, temperatura) in un segnale elettrico misurabile. È  il caso dell’accelerometro di un’auto
chip dell'IA
Computer chip avanzati con funzioni multiple complesse che sono in grado di eseguire operazioni in modo non sequenziale, bensì simultaneo, proprio nella stessa maniera in cui lavora la mente umana. Questi chip sono realizzati in  base alle specifiche funzioni richieste dall’IA. Le schede grafiche sono il tipo di chip preferito per l’addestramento dell’intelligenza artificiale, ma molte aziende stanno sviluppando nuovi chip ottimizzati per questo scopo, come la Tensor Processing Unit di Google
Wireless e Reti cellulari
Nonostante rappresentino una nicchia, ci sono anche particolari tipi di chip che permettono di effettuare le radiocomunicazioni. In altre parole consentono allo smartphone di connettersi alle reti cellulari, al Wifi o ad altri dispositivi via bluetooth come gli auricolari wireless
Memorie
Questi microchip sono utilizzati per la conservazione delle informazioni. Ne esistono di due tipi: il primo si basa sulla memoria operativa e preserva i dati solo fino a quando il dispositivo è acceso, mentre l’altro anche quando è spento. Ne sono un esempio le memorie Ram dei computer e le chiavette Usb

«È difficile per noi aumentare la produzione di Ps5 durante la carenza di semiconduttori e altri componenti. Continuiamo a fare tutto ciò che è in nostro potere per spedire quante unità più possibili ai clienti in attesa della loro console»

Hiroko Totoki

Cfo, Sony

SOS Auto, tra blocchi della produzione e rincari dei prezzi

Anche il settore delle auto non è stato risparmiato dalla crisi. Non è un caso che Stellantis abbia annunciato lo scorso aprile il restyling della Peugeot 308, pensata con un quadrante con lancette al posto del tachimetro digitale. Un ritorno all’analogico che la casa madre ha definito «un modo intelligente e agile per aggirare un vero ostacolo per la produzione», cioè la mancanza di semiconduttori. In altri casi, ciò ha portato a modelli meno tech: Nissan ha eliminato il navigatore previsto in migliaia di veicoli e General Motors una funzione dello Chevrolet Silverado che permetteva di risparmiare carburante. Una soluzione non è però sempre possibile, soprattutto se si pensa che per costruire un’auto occorrono in media fino a 3mila microchip e, se ne manca uno soltanto, la produzione dell’intero veicolo non può partire. 

Questo è ciò che è accaduto negli scorsi mesi, tanto che si è arrivati a stop parziali o totali di alcuni impianti e a tagli della produzione. L’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea) – che comprende Ferrari, Bmw, Ford, Jaguar, Renault, Stellantis, Volkswagen e Volvo – ha fatto sapere che nel 2020 sono stati fabbricati 5 milioni di macchine in meno rispetto all’anno precedente (dati: Pocket Guide 2021/2022). In Europa, a settembre 2021 si è registrato il numero più basso di nuove immatricolazioni dal 1995 (718.598), un evento dovuto ai rallentamenti nelle fabbriche e ai conseguenti ritardi di consegna delle nuove auto. «La causa del crollo è la crisi nelle forniture di microchip, che è anch’essa legata alla pandemia», ha sottolineato il Centro Studi Promotor, che ha analizzato l’impatto di questo dato sul mercato italiano.

Va detto che il disastro delle quattro ruote è stato agevolato in molti casi da scelte poco lungimiranti da parte delle case automobilistiche: molte avevano previsto un calo della domanda dovuto alle restrizioni alla mobilità imposte dalla pandemia del SARS-CoV-2 e nella prima metà del 2020 migliaia di ordini di componenti elettronici già programmati e destinati alle nuove macchine sono stati cancellati. Una scelta che non ha tenuto conto dei tempi di fabbricazione – che per i chip delle auto vanno dai quattro ai sei mesi – né del fatto che gli slot lasciati liberi potessero essere nel frattempo riempiti. Negli stessi mesi l’enorme richiesta di dispositivi per lo smartworking e la didattica a distanza ha creato un imbuto dal quale non si è ancora usciti. Quando alla fine del 2020 le case automobilistiche si sono ritrovate senza chip, la capacità delle fonderie di tutto il mondo era già al limite e i nuovi ordinativi hanno trovato spazio, ma solo in coda a quelli degli altri settori. Se a ciò sommiamo le scorte di magazzino ridotte al minimo, tipiche del modello “just in time” dell’industria dell’auto, dove si ordina ciò che serve solo quando necessario per evitare sprechi,  risulta evidente l’impatto della carenza dei microchip nel settore.

I chip e l’Ue: parola d’ordine autosufficienza

Con la crisi dei microchip gli attuali equilibri geografici del settore sono stati messi in discussione. Oggi c’è una nuova consapevolezza: nessuno Stato è autonomo nella produzione dei semiconduttori né lo diventerà a breve. Una delle sfide dei prossimi anni sarà però quella di raggiungere una maggiore autosufficienza, sia per scongiurare eventuali nuove crisi, incentivando la costruzione di nuovi impianti, sia in vista di un futuro sempre più digitalizzato. Dopo le mosse di Cina, Stati Uniti e altri importanti player del settore, l’Unione europea ha annunciato l’arrivo dello European Chips Act (Eu Chips Act), previsto per la metà del 2022Cina che nel 2015 ha stanziato 150 miliardi di dollari (circa 133 miliardi di euro) per costruire nuovi impianti e centri di ricerca, con l’obiettivo di un’autonomia nel settore al 70% entro il 2025, dato che Pechino importa più della metà dei semiconduttori prodotti in tutto il mondo. Alla crisi causata dalla pandemia invece, gli Stati Uniti hanno risposto con un piano da 52 miliardi di dollari (circa 47 miliardi di euro), per fabbricare più chip sul suolo americano. Anche la Corea del Sud, che produce insieme a Taiwan i microchip più avanzati al mondo ha sovvenzionato il settore all’interno del Paese con 1 trilione di won, pari a 768 milioni di euro circa, con l’obiettivo più specifico di sviluppare chip di intelligenza artificiale più avanzati entro il 2029.

In Unione europea, il settore dei semiconduttori è oggi classificato tra le dipendenze strategiche della “Nuova strategia industriale 2020”. In altre parole, i chip vengono individuati come base dello sviluppo tecnologico dell’Ue – per la cosiddetta transizione digitale, ma anche per quella ecologica – verso il 2030 e oltre, pur rimanendo una “dipendenza”, cioè un fattore di vulnerabilità. Fino agli anni ’90, l’Europa deteneva il 40% circa del mercato globale dei microchip, fabbricando quasi la metà dei semiconduttori venduti in tutto il mondo. Oggi arriva al 10%.

«Mentre la domanda globale è esplosa, la quota dell’Europa lungo l’intera catena del valore, dalla progettazione alla capacità produttiva, è diminuita», ha ammesso la presidentessa della Commissione europea Ursula Von der Leyen lo scorso settembre, in occasione della conferenza stampa per l’annuncio dello Eu Chips Act, «il nostro obiettivo è di raddoppiare la quota di mercato dei chip europea entro il 2030, anche nei chip più innovativi. Ciò significa raggiungere il 20% della quota di mercato globale». A questo scopo un primo segnale è arrivato con il via libera ad aiuti di Stato mirati, un tempo possibili solo sotto forma di contributi alla ricerca. Le anticipazioni sulla legge sembrano suggerire che l’Europa punterà non solo ad attirare più investimenti nel continente tramite sussidi, ma anche sulle tecnologie avanzate.

È da questa partita che dipende la sovranità digitale dell’Unione europea. «Non possiamo scommettere su una “specializzazione geografica” o divisione globale del lavoro dove l’Europa è confinata a chip sopra ai 20 nanometri e gli Stati uniti e l’Asia forniscono quelli sotto i 5 nanometri, il vero mercato del futuro», ha sottolineato il commissario al Mercato interno dell’Ue Thierry Breton, in un post pubblicato sul suo blog lo scorso ottobre.

 

La tecnologia a 5 nanometri è al momento la più avanzata e si trova solo in alcuni modelli di smartphone e pc, ma la miniaturizzazione potrebbe fare la differenza in futuro sia per il settore militare, che per quello industriale. Per Breton, «non è una questione di produrre tutto in Europa o di rilocalizzare tutto qui, ma di anticipare i rischi, analizzarli, prendere le misure più appropriate e ribilanciare la filiera». Per quanto restino alcuni nodi sul progetto europeo, c’è chi ha già accolto l’invito dell’Ue di aprire nuovi impianti.

Intel, la big tech dei microprocessori, dopo aver inaugurato a settembre due nuovi impianti in Arizona, ha annunciato un ulteriore investimento in Europa fino a 80 miliardi di euro. Secondo le ultime indiscrezioni (Bloomberg), la casa di Santa Clara sarebbe in trattativa per l’apertura di nuovi impianti in Francia e Italia e di almeno una “megafab” in Germania. 

In Francia potrebbe sorgere un centro di ricerca e sviluppo, in Italia una fabbrica di assemblaggio e testing, mentre i chip veri e propri verrebbero prodotti nella fab tedesca. Con un investimento di partenza astronomico: fino a 20 miliardi di euro per la Germania, mentre si parla di 10 miliardi per l’impianto italiano. L’intenzione comunque, confermata da Intel, è quella di ampliare un servizio cominciato con l’arrivo del ceo Pat Gelsinger: come fonderia, quindi parte della capacità produttiva della megafab sarebbe destinata a coprire la necessità delle altre aziende.

Anche StMicroelectronics renderà operativo il nuovo stabilimento R3 di Agrate Brianza (MB) a giugno 2022 e aumenterà così il numero di chip fabbricati in Europa, permettendo fino a 8mila fette di wafer di silicio a settimana. Il ceo Jean-Marc Chéry ha però fatto sapere in un’intervista a BFM Business che l’azienda non prenderà parte all’Alleanza industriale per i processori e le tecnologie dei semiconduttori, l’iniziativa dell’Ue che stabilirà una tabella di marcia per guidare la corsa ai chip avanzati europei. D’altra parte, il progetto per il nuovo impianto di Agrate era stato avviato già nel 2018. Oltre a voler rispondere alla domanda per i nuovi microchip, sempre Intel sta lavorando anche sul piano delle nuove frontiere tecnologiche: una chiave per una soluzione inaspettata alla carenza di chip, per quanto ancora lontana, potrebbe nascondersi proprio nella ricerca e nel chip che verrà.

Il chip del futuro

Da anni i grandi player dell’high tech hanno preso parte alla corsa verso le nuove frontiere tecnologiche nel campo dei semiconduttori. Dallo spin Qubit del chip quantistico al chip neuromorfico che promette di rivoluzionare l’intelligenza artificiale. Secondo Agostino Melillo, communication manager presso Intel Italia, il chip del domani è ancora un miraggio: «Allo stato attuale si sta lavorando per far uscire il quantum computing dal laboratorio e per far sì che diventi una realtà». Per rendere effettivo il suo utilizzo la ricerca sta tentando di rendere questa tecnologia compatibile con gli stessi materiali dei processori tradizionali, in modo da poter sfruttare le conoscenze maturate finora. Se da un lato è ancora troppo presto per un largo impiego di queste nuove tecnologie, fanno ben sperare i prototipi funzionanti e le varie forme sperimentali di questi chip “ibridi”, che si sono susseguite negli ultimi anni a ritmo crescente, dando ottimi risultati. Melillo prevede che «nei prossimi dieci anni si faranno tantissimi progressi e il quantum computing diventerà una realtà per funzioni specifiche, come ad esempio la ricerca scientifica, i medicinali, l’intelligenza artificiale, il meteo, la finanza e la cybersecurity».

Quantumania: l’avvento del quantum computing

I computer quantistici sembrano macchine uscite direttamente da un racconto sci-fi. Il loro funzionamento si basa sull’assurdo: utilizzano l’incertezza al cuore della fisica quantistica per effettuare calcoli certi. Al posto dei bit, unità di misura elementari delle informazioni trasmesse, i chip quantistici sfruttano i Quantum bit, detti Qubit, anch’essi basati sui valori 0 e 1. Ciò che li differenzia dai semplici bit però è la capacità di assumere allo stesso momento entrambi gli stati (sia 0 che 1), aumentando la capacità di calcolo e l’elaborazione dei dati in maniera esponenziale. È come lanciare una monetina che anziché dare come risultato testa o croce, continua invece a ruotare all’infinito su sé stessa. In questa maniera sarà nello stesso momento potenzialmente sia testa che croce. La moneta smetterà di girare e darà uno dei due risultati solo nel momento in cui la guarderemo. Allo stesso modo, un Qubit darà 0 o 1 solo dopo aver elaborato tutte le combinazioni possibili.

Questo permette, ad esempio, di effettuare ricerche incrociate su database immensi in una manciata di secondi. Perfino di realizzare previsioni su calcoli e problemi estremamente complessi.  La chiave sta nella velocità e nella potenza di calcolo: un computer quantistico con 300 Qubit può effettuare simultaneamente un numero di calcoli superiore a quanti sono gli atomi presenti nell’universo. Inoltre, queste macchine possono risolvere all’istante compiti che richiederebbero decenni, se non secoli, ai computer tradizionali. Basti pensare che nell’autunno del 2019 il computer quantico di Google Sycamore, venendo mantenuto a una temperatura di 15 milliKelvin (200 volte più fredda dello spazio profondo), ha risolto in 200 secondi calcoli matematici complessi che avrebbero richiesto al supercomputer più potente del mondo, Summit di IBM, 10mila anni di tempo. Ciò rende il computer quantistico 158 milioni di volte più veloce. 

Affinché tutto funzioni però bisogna isolare il computer quantico da ogni tipo di interferenza esterna. Per fare questo al suo interno, nell’oscurità più totale, si deve mantenere una temperatura interna di una frazione di grado al di sopra dello zero assoluto, pari a -273.15 gradi Celsius (addirittura più freddo dello spazio interstellare). Una condizione resa possibile solo grazie a grandi e costosi refrigeratori,  cosa che rende al momento impensabile una futura espansione su scala commerciale. Per rendere l’idea, un singolo supercomputer quantistico con milioni di Qubit necessiterebbe di un sistema di refrigerazione grande quanto un palazzo. E di una enorme quantità di energia per tenerlo in funzione. Anche  le cifre per soddisfare simili requisiti sono da record: si stima che produrre un singolo Qubit costi 10mila dollari, mentre la realizzazione della parte hardware di un singolo computer oggi richiede almeno 10 miliardi.

Giganti come IBM, Microsoft, Intel e Google, per citarne solo alcuni, da anni investono senza sosta miliardi di dollari nella corsa al segreto per sbloccare le infinite applicazioni di questa nuova tecnologia. E oggi l’era dei computer quantistici su piccola scala di pochi anni fa (da 2 a 10 Qubit) è già un ricordo del passato. I moderni processori quantistici riescono a utilizzare diverse centinaia di Qubit, ma nonostante questo il traguardo del milione di Qubit per costruire un computer quantistico in grado di rispondere a esigenze reali resta ancora lontano. Nelle condizioni attuali resta difficile pensare che i computer quantistici sostituiranno quelli dei nostri giorni. Questa nuova tecnologia è però destinata nei prossimi anni a stravolgere l’intera industria dei semiconduttori e non solo. Dato che non è ancora chiaro quali siano i suoi limiti e le sue potenzialità, quello che oggi è solo uno strumento specializzato per settori specifici potrebbe trasformarsi in una vera e propria rivoluzione tecnologica senza precedenti.

Un esempio italiano della ricerca: Cnr, tra nuove tecnologie e materiali alternativi

All’Istituto per la microelettronica e i microsistemi (Imm) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) con sede ad Agrate Brianza,  alle porte di Milano, si studiano anche nuovi materiali e dispositivi nell’ambito dei semiconduttori. Il laboratorio, di una grandezza di 450 m² e dotato di una camera bianca, è una delle sei unità di ricerca dell’Imm dal 1996 ed è ospitato all’interno della STMicroelectronics. Qui, uno staff di 40 persone formato da studenti, dottorandi e 18 ricercatori indaga le nuove frontiere del settore, sperimentando su chip neuromorfici, tecnologie quantistiche e materiali bidimensionali.

Ambiti di applicazione

Ricerca nei database
Per effettuare una ricerca in un database un computer tradizionale deve scansionare ogni singola voce disponibile fino a quando non trova una corrispondenza. È il caso dei controlli incrociati sui sospetti nelle indagini di polizia, un processo che può richiedere anche diverse ore. I computer quantistici sono in grado di realizzare lo stesso compito nella radice quadrata del tempo necessario. Più è grande il database, maggiore è la differenza nel tempo risparmiato
IA e machine learning
Grazie all’incredibile balzo in avanti che permetterebbe il quantum computing nella capacità di elaborazione, sarebbe possibile espandere in modo esponenziale i dataset utilizzati per addestrare le intelligenze artificiali, accelerandone il processo di machine learning. La qualità degli algoritmi impiegati in questo campo dipende dalla qualità dei dati che gli vengono forniti. Enormi quantità di dati in più significherebbero un miglioramento della qualità e della precisione dell’IA. Questo potrebbe portare al perfezionamento del riconoscimento facciale o addirittura a un futuro fatto di auto a guida autonoma e IA in grado di gestire i sistemi di intere città
Sicurezza informatica
Dati sensibili relativi a navigazione, email e informazioni bancarie sono oggi messi in sicurezza da un sistema di cifratura basato su una chiave criptografica pubblica per codificare messaggi che solo noi siamo in grado di decodificare. Il problema è che questa chiave pubblica può essere utilizzata per risalire alla chiave segreta, privata di ogni utente. Con un computer normale questo processo richiederebbe anni di calcoli matematici e innumerevoli tentativi ed errori. Mediante l’utilizzo di computer quantistici, però, il procedimento verrebbe incredibilmente velocizzato, esponendo a enormi rischi di violazione della sicurezza
Simulazioni nella ricerca
Un altro interessante ambito di applicazione è l’impiego di computer quantistici nelle simulazioni della ricerca scientifica sul mondo quantico e sulle sue meccaniche. Simulare la fisica quantistica con la fisica quantistica stessa. Oggi l’ipotesi che molte sostanze per noi utili non siano in realtà ancora state sintetizzate a causa della difficoltà nel simulare nuove combinazioni di composti chimici è più che condivisa. Per questo una maggiore comprensione della realtà potrebbe rivoluzionare la medicina moderna e non solo, permettendo la scoperta di nuovi farmaci e materiali industriali. Davanti alla necessità di test su moli immense di dati, la soluzione ideale è il quantum computing
Logistica e trasporti
Il quantum computing è stato già testato per calcolare il percorso più breve fra una serie di destinazioni disponibili, per regolare il traffico urbano, gestire il trasporto pubblico o offrire consigli in tempo reale sulle condizioni metereologiche. Nel maggio 2019 Volkswagen ha sperimentato l’uso pratico dei computer quantistici per regolare il traffico cittadino nelle strade di Lisbona durante l’annuale WebSummit
Finanza
Possono ottimizzare le operazioni di trading nel mondo della finanza. Il computer quantico D-Wave viene già utilizzato ad esempio con algoritmi in grado di creare piccoli portafogli di investimenti con rischio minimo e rendimento massimo

Chip e neuroscienza: la realtà che diventa matrice

 

Un’altra frontiera promettente nel campo delle nuove tecnologie è quella dei chip neuromorfici, microprocessori che imitano il funzionamento del nostro cervello, creati sfruttando le conoscenze biologiche. Alla base ci sono circuiti che riproducono l’architettura del sistema nervoso, imitandone il funzionamento tramite neuroni artificiali in silicio (Memristor). L’applicazione principale di questi chip innovativi riguarda le intelligenze artificiali, che potrebbero diventare molto più “capaci” e precise. Di base, l’“intelligenza” delle IA non è altro che il risultato di algoritmi complessi, che vengono allenati a svolgere una determinata funzione. È una sorta di “intelligenza simulata”, tanto che  sembra di avere a che fare con sistemi in grado di pensare. In realtà il risultato si ottiene tramite gli stessi calcoli che esegue un banale software, semplicemente su livelli molto superiori in termini di quantità e velocità. Imitando la mente umana, i chip neuromorfici potrebbero quindi migliorare di molto le prestazioni delle moderne IA. A gennaio 2018 un team del MIT ha pubblicato i risultati della costruzione di un microchip con sinapsi artificiali, fatto di silicio e germanio, utilizzato per riconoscere diversi tipi di grafia. Ha dimostrato un’accuratezza del 95%. Sempre nel 2018 Intel ha presentato Loihi, un chip neuromorfico con 131mila neuroni e 130 milioni di sinapsi artificiali. Loihi è stato usato per gestire arti robotici e ha permesso la nascita del primo computer capace di sentire e distinguere gli odori. Nel gennaio 2021 un team di ricercatori della University of Technology di Swinburne, in Australia, ha pubblicato su Nature i risultati di un nuovo chip neuromorfico, fotonico, non basato sul silicio e capace di eseguire più di 10 trilioni di operazioni al secondo.

Nel campo dell’apprendimento automatico dell’intelligenza artificiale c’è sempre un grande bisogno di efficienza energetica e capacità di elaborazione, per fornire in modo costante un enorme mole di dati alle IA al fine di “istruirle”. Una necessità che gli attuali hardware non sono in grado di soddisfare. Tuttavia le previsioni nel mercato del computing neuromorfico pronosticano un passaggio dai 69 milioni di dollari nel 2024 ai 5 miliardi di dollari nel 2029, fino alla cifra record di 21,3 miliardi di dollari entro il 2034. La computazione neuromorfica ha il potenziale di una rivoluzione dall’impatto trasversale, che va dai computer sinaptici ai dispositivi portatili. Potenziando le IA con capacità d’interpretazione e lettura dell’ambiente circostante sempre più precise. Questo darà vita a nuove generazioni di sensori ottici, uditivi, olfattivi, tattili, di movimento, inseriti in reti di deep learning avanzato da applicare in tutti gli ambienti dell’esperienza umana. In un futuro non troppo lontano, questo potrebbe significare auto a guida autonoma, droni per l’assistenza personale e città “intelligenti” automatizzate.

Sfida l’IA

Le intelligenze artificiali odierne sono in grado di compiere operazioni complesse, come l’analisi dei movimenti e dei gesti, gestire in parte i sistemi delle auto a guida autonoma. O ancora riconoscere le immagini, la voce, le conversazioni. Tra queste attività sono presenti anche il disegno e la scrittura a mano libera. Provare per credere!

?

«La causa primaria delle mancanze relative alla supply chain sarà la carenza di chip. Al momento sta già colpendo la quasi totalità di tutti i nostri prodotti»

Tim Cook

Ceo, Apple

Sarà il chip del futuro a dirci come risolvere la crisi del microchip?

Secondo gli esperti la crisi dei semiconduttori si protrarrà almeno fino al 2023. Questo, nonostante gli sforzi e gli investimenti dei produttori e dei governi di tutto il mondo. E nemmeno le innovazioni più promettenti, come il neuromorphic e il quantum computing, sembrano poter offrire una soluzione nel breve periodo. Mai come oggi però l’attenzione di tutto il mondo è concentrata sul futuro dei microchip e proprio questa crisi, e i suoi nuovi finanziamenti, potrebbero accorciare la strada che ci separa da dispositivi più avanzati, se non dalla prossima rivoluzione tecnologica. In quest’ottica è forse il quantum computing a nascondere possibilità sorprendenti, grazie alla sua vera grande qualità: la capacità di far comprendere meglio la natura delle cose. Se si riuscisse ad applicare la potenza dei computer quantistici alle simulazioni della ricerca scientifica decenni, se non secoli di lavoro, verrebbero condensati in pochi anni o addirittura mesi. Ciò permetterebbe di prevenire o sanare alcune tra le più gravi crisi imminenti. 

I computer quantistici potrebbero portare alla scoperta di nuovi elementi chimici – di recente sono state aggiunte 22 nuove voci alla tabella periodica, tutte ancora da scoprire – e con le simulazioni della ricerca scientifica potremmo riuscire a svelare i segreti della natura, persino scomporre e riprodurre i meccanismi alla base della realtà stessa. Potrebbe voler dire ottenere nuovi materiali capaci di sostituire sostanze preziose in esaurimento fondamentali per l’era moderna, come il litio per le batterie e l’high tech. Metodi più efficaci per convertire l’ossigeno in fertilizzante e soddisfare il fabbisogno mondiale nell’agricoltura. Riprodurre la fotosintesi delle piante creando tecnologie per energie pulite alternative. Persino svelare i segreti del cosmo e aprire la strada alla conquista spaziale. Per quanto improbabile, anche la crisi dei semiconduttori ha una chance di venire risolta anzitempo, nel caso in cui scoprissimo nuove informazioni utili. Ma non è dato sapere se tutto questo avverrà tra 1, 10 o 100 anni.