Intervista con Claudio Marazzini: «Il problema non è mai il suffisso, ma la parola. C’è il sospetto che esista il maschile non marcato»

L’italiano è una lingua in evoluzione, però far entrare nel nostro vocabolario termini femminili legati ai ruoli istituzionali sembra più difficile rispetto alle parole straniere. Perché?

«Il problema si pone in maniera diversa, perché ci sono due modi con cui una lingua può modificarsi. Uno è sotto la spinta naturale dei parlanti, imposta dall’alto come nel caso del Jobs Act o con l’arrivo di oggetti come mouse e computer, l’altro con una spinta che avviene in nome di una battaglia ideologica. Nella lingua italiana nessuno si era mai posto questo problema prima degli anni Ottanta, quando uscirono due famosi libretti di Alma Sabatini che per la prima volta introducevano il tema di un linguaggio sessista italiano riprendendo discussioni del mondo anglosassone».

Ma sono parole che non esistevano o che, semplicemente, non venivano utilizzate perché non c’erano ministre e sindache?

«Non esistevano o avevano un significato diverso. Avvocata era “Avvocata nostra salve” di Salve Regina, la Madonna, che effettivamente aveva la funzione dell’avvocato, nel senso che era quella che andava davanti a Dio e diceva: “Ti raccomando il povero peccatore”. Il caso di sindaca è un po’ diverso, perché fin dal manualetto di Alma Sabatini, che cui derivano tutte le proposte di adesso, si sosteneva che sindachessa fosse discriminante e che andasse sostituita con sindaca. Questo perché sindachessa indicava la moglie del sindaco che si impicciava degli affari del marito».

Molti sconsigliano il suffisso “-essa”, alcuni lo considerano addirittura dispregiativo. Cosa ne pensa?

«Nella tesi di Alma Sabatini c’era un errore di analisi grossolano, perché non era il suffisso a contenere l’elemento spregiativo, bensì la parola. Tant’è vero che nessuno ha mai chiesto che venisse cambiato il termine professoressa, mentre per studentessa ci ha provato sempre lei ma anche qui nessuna studentessa si è mai sentita discriminata. Il suffisso “-essa” non è assolutamente spregiativo. Però nella lingua una pressione ideologica continua finisce per creare una verità. Anni fa ho dimostrato in un saggio che negro in italiano non è mai stata una parola spregiativa, perché tradizionalmente se si voleva indicare per spregio un negro in italiano si diceva moro, come nell’inizio dell’Ariosto. Poi a un certo punto la parola negro è diventata un’opposizione semantica vera perché modellata su lingue straniere e, soprattutto, sulla contrapposizione tra black e nigga».

Meglio dire vigile o vigilessa?

«Qui c’è il problema che spesso il vigile ha una funzione repressiva, perché è quello che fa la multa, e quindi si scatena l’antipatia dell’utente unita a una certa discriminazione. Per anni vigilessa è stato dunque usato in chiave comica. Però è sempre la parola, mai il suffisso e basta. Chi insiste solo sul suffisso pecca di fanatismo».

Perciò conta molto l’abitudine. Come va con sindaca?

«Conta enormemente. Diciamolo subito: sindaca non è un errore, è entrato nella normalità. È in grande crescita specialmente dopo le vittorie di Virginia Raggi e Chiara Appendino, anche se naturalmente non è ancora accettato da tutti e spesso la scelta è di natura ideologica. Per esempio sono i giornali più conservatori che si rifiutano di usare sindaca al femminile. Poi c’è un criterio condiviso da accademici come Tullio De Mauro, Luca Serianni e Vittorio Coletti: quando il titolo è accompagnato dal nome e cognome della persona è femminile, quando indica una funzione astratta allora resta al maschile. Quindi si arriva al cuore del problema: esiste o no il maschile non marcato, cioè il maschile in forma di neutro?».

Lo chiediamo a lei.

«La risposta è di natura ideologica. Per l’Academie Française esiste, la Crusca ha lo stesso sospetto. E soprattutto ne abbiamo un altro: se ti metti a cercare nella lingua tutti i casi di maschile non marcato per cancellarli, crei molte complicazioni. Perché la lingua non è solo lessico, ma anche accordi di genere. Come si accorda “il ministro e la ministra sono bravi”, allora? Proprio adesso che ci insegnano che non si deve essere repressivi, che non ci sono più regole, improvvisamente nel linguaggio di genere devo andare con la pila a cercare tutti i casi per cancellarli? Perché si dice leone e leonessa ma solo pantera e tigre? Si vede benissimo che ci sono delle oscillazioni di genere che abbiamo ereditato fin dal latino».

Che ruolo hanno i media e che ruolo potrebbero avere in futuro nella formazione di questi termini?

«Hanno un’influenza enorme sulla lingua. La scelta dei giornali è determinante, ma spesso è anche ideologica. Se Libero preferisce una strada diversa si può anche capire, no?».

Ma sono i giornali che recepiscono un cambiamento esterno o viceversa spingono loro verso un cambiamento?

«Entrambe le cose, perché non è un caso che la spinta riguardi soprattutto i termini della politica. Il termine chirurga, tra i medici, fa per esempio una fatica enorme a uscire allo scoperto. Dietro c’è sempre un movimento ideologico, chi invoca la correttezza grammaticale, in un senso o nell’altro, è completamente fuori strada. Del resto, paradossalmente, nel momento in cui riconoscessimo che non esiste più il maschile non marcato ci sarebbe un problema giuridico legato alla parola “cittadino”. Ci sono argomenti in cui non bisogna essere troppo faciloni. E mi sembra che a volte le rivendicazioni ideologiche siano un po’ troppo facilone».