IL TORRENTE INCATENATO

Il Seveso: la cronaca di disastri annunciati e promesse mai mantenute

di Alessandro Rigamonti e Manlio Adone Pistolesi

Dopo quaranta giorni in Viale Giovanni Suzzani a Milano c’è ancora fango sotto i marciapiedi. Il via vai dei residenti del quartiere Ca’ Granda, al nord della città vicino all’Ospedale Niguarda, continua come se nulla fosse successo. «Qui abbiamo gli scalini a difenderci», spiega la dipendente di un panificio della zona, «ma abbiamo perso quintali di pane anche perché c’era il ponte di Ognisssanti e il locale era chiuso». Il 31 ottobre per sei ore il torrente Seveso è esondato, allagando anche i quartieri Pratocentenaro, Niguarda e Zara, arrivando fin giù a Isola: «Fa così solo quando la situazione è grave», dice Carlo Proserpio, titolare del negozio d’abbigliamento Grip e presidente dei commercianti del quartiere, che da oltre 40 anni vive sempre la stessa storia. Il Seveso ha sfondato i tombini di fronte alla sua attività, in via Valfurva, dove il torrente passa tombinato sottoterra, ricordando ai cittadini della sua presenza solo in eventi eccezionali. «Per mettere in sicurezza il negozio ho speso 15mila euro, ora ho doppi vetri e paratoie mobili», e mostra una di quelle che posiziona in occasioni di piena con la scritta “Ne abbiamo piene le vasche”. La preoccupazione peggiore non è però per la merce: «Spero che il Comune venga a fare una video ispezione alle fondamenta dell’edificio».

La pendenza della strada ha aumentato l’intensità dell’acqua che è così arrivata fino alle case popolari Erp di via Padre Luigi Monti e via Val Daone, gestite dal Comune e da MM, società che controlla anche il servizio idrico milanese. I più fortunati hanno avuto solo del fango nel cortile del condominio, c’è chi però ha avuto le cantine allagate per giorni dove anche l’impianto di riscaldamento è stato danneggiato. Il clima mite ha evitato qualsiasi disagio: «Comune e MM non sono passati a distanza di un mese, la gente ha spalato il fango con le pale. La Protezione civile è arrivata il pomeriggio del giorno dopo con i sacchi di sabbia che ormai erano completamente inutili. La situazione è vergognosa», racconta Simona Fregoni che abita all’ultimo piano di un condominio Erp. Una cabina telefonica è ancora circondata da cumuli di fango, mentre le griglie a bordo dei marciapiedi sono di nuovo otturati dalle foglie.

La storia si ripete al Municipio 9 di Milano. Questa volta i danni calcolati superano gli 11 milioni di euro (stima di Confcommercio) e il Comune ha dovuto spendere 100mila euro per mettere a posto sei centraline elettriche e per far ripartire la viabilità.

Non è la prima volta per i residenti al nord di Milano e, per ora, non sarà di sicuro l’ultima esondazione. Dal 1875 al 31 ottobre 2023 la città è stata colpita da almeno 136 esondazioni documentate dai quotidiani dell’epoca e da MM. Il costo di ogni allagamento è complesso da stimare ma per l’ultimo evento l’assessore regionale al Territorio e ai Sistemi Verdi Gianluca Comazzi ha assicurato: «Chiederemo al Governo la dichiarazione dello stato di emergenza».

Esondazioni dal 1875

Perché esonda il Seveso?

È il 1900. Piove a nord di Milano, in un’area dove ci sono solo prati e poche cascine. Una goccia di pioggia colpisce il terreno fangoso. Dopo alcune ore, questa piccola molecola d’acqua, attraversando i diversi livelli del terreno, entra nell’alveo del torrente Seveso.Andiamo avanti di qualche anno.

È il 2023. Su quella stessa area adesso si sta scatenando un temporale che a tratti sembra una tempesta tropicale. La stessa goccia d’acqua cade sul terreno. Questa volta non trova il fango ma l’asfalto. La goccia inizia a scivolare. Sempre più veloce si muove lungo la stessa strada delle macchine e, infine, finisce in un tombino. Questa molecola d’acqua è destinata ad andare verso il depuratore più vicino. Ma qualcosa va storto: troppa pioggia, non assorbita dal suolo, va nella stessa direzione. Il sistema non può reggere quella pressione e l’acqua in eccesso, dalla fogna, viene convogliata direttamente nell’alveo del torrente Seveso.

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Suolo consumato in Lombardia

Questi sono due esempi per far capire in che modo l’elevata urbanizzazione ha aumentato, nel corso degli anni, il rischio di esondazioni. «L’urbanizzazione ha due conseguenze – ha spiegato Dario Kian, coordinatore del team tecnico di Contratti di Fiume – Provoca ondate di piena molto violente che non hanno non ha il tempo di smaltirsi nel tempo e provoca una riduzione della qualità delle acque». In una regione come la Lombardia dove la percentuale di suolo consumato ha raggiunto nel 2022 il 12,16% sul totale (dati Ispra), il fenomeno è ancora più evidente.

Quando arriva troppa acqua nella condotta fognaria si attiva il sistema di sicurezza degli sfioratori di piena. In pratica funzionano come il troppopieno, il piccolo foro posto in cima ai lavandini domestici: quando il livello raggiunge lo sfioratore, si chiudono delle paratoie, e l’acqua va direttamente nel fiume. A volte capita che questi sistemi di sicurezza non siano puliti adeguatamente e, a causa dei detriti, a volte si attivano prima del previsto. Finché il Seveso scorre in superficie, il rischio è quello che esondi nei terreni vicini. Ma se, come a Milano, il torrente è tombinato e cementificato, c’è il rischio che causi danni ben maggiori. «In un alveo che è molto artificializzato, senza possibilità di aree di dissipazione dell’energia dell’acqua, questa arriva con una violenza impressionante a infilarsi sotto Milano – ha spiegato l’ingegner Kian – a quel punto il Seveso manda in pressione la fognatura e deve poter uscire da qualche parte per sfogare la pressione dell’acqua. E quindi saltano i tombini».

Lunghezza torrente Seveso (km)

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Superficie Seveso in aree urbane

Non è di certo una novità per Milano, da decenni la città affronta le esondazioni causate soprattutto dalle azioni dell’uomo. Il piano regolatore del ’53 permise di chiudere parte del torrente Seveso che scorreva in superficie, confinandolo nella sua gabbia di cemento. L’acqua entra da via Luigi Ornato, all’incrocio con via Aldo Moro in zona Niguarda, e passa sotto la città fino a via Melchiorre Gioia dove si unisce alla Martesana per confluire nel Cavo Redefossi che scende fino a Porta Romana. Data la periodicità del problema e dei danni, le istituzioni hanno deciso di intervenire attraverso i Contratti di Fiume, un progetto territoriale nel quale la Regione Lombardia ha messo insieme tutti gli attori chiave presenti sul bacino fluviale del Seveso, ad esempio i Comuni, le associazioni e i gestori del servizio idrico. «Si cerca di mettere questa gente attorno al tavolo – ha detto l’ingegner Kian – Per fare questo c’è una struttura tecnica che dice “ok signori proviamo a definire quale assetto vogliamo”».

Il Contratto di Fiume Seveso è nato nel 2006 per riunire le istituzioni nella gestione delle acque del torrente: tre sono le province coinvolte (Como, Monza-Brianza, Milano), 46 Comuni, Regione Lombardia, Agenzia Interregionale per il Po e l’Autorità di Bacino del Po.

Nel 2014 è nata Italia Sicura, la struttura di missione contro il dissesto idreogeologico creata dal Governo Renzi lungo tutto il percorso del torrente da Cantù a Milano. Questo progetto è stato aggiornato nel 2019 con il Programma d’azione del Contratto di fiume Seveso ed è tutt’oggi in vigore.

Il piano è costruito a partire dalle linee guida dettate nel Progetto Sottobacino Seveso (è definito sottobacino perché tecnicamente il bacino principale è quello del fiume Lambro), stipulato nel 2017. Questo progetto individua 3 macro obiettivi: raggiungere una qualità “buona” dei corpi idrici; ridurre il rischio idraulico; promuovere e tutelare il valore ecologico, ambientale e identitario del fiume e del sistema territoriale ad esso associato. «Il Progetto – si può leggere sul documento – propone la visione di restituire il fiume alla popolazione, ovvero di far sì che il territorio si possa riappropriare dei corsi d’acqua, che si presentano molto spesso come fiumi nascosti, riscoprendoli nelle loro valenze e nelle loro potenzialità oltre che partecipando alla loro messa in sicurezza».

  1. Riduzione dell’inquinamento delle acque;
  2. Riduzione del rischio idraulico;
  3. Riqualificazione del sistema ambientale e paesistico;
  4. Riqualificazione dei sistemi insediativi all’interno del territorio del bacino del Seveso;
  5. Miglioramento della fruibilità delle aree perifluviali al fine di ridare al fiume centralità nelle politiche di sviluppo;
  6. Condivisione delle conoscenze sul fiume e delle informazioni sulle azioni in corso o in progetto.

Secondo i calcoli dei tecnici, questo progetto, tra i vari obiettivi, dovrebbe riuscire a diminuire la frequenza di esondazioni da 6 mesi a 100 anni. Vuol dire che il torrente esonderà solamente una volta ogni secolo. Il calcolo è stato fatto sulla base della forza dell’esondazione del 2014 e adesso i tecnici sono al lavoro per aggiornarlo a causa dell’aumento dell’intensità dovuta ai cambiamenti climatici.

Per portare la frequenza di esondazione a 100 anni si è pensato di realizzare delle aree golenali (uno spazio naturale dove il fiume può esondare) e delle vasche di laminazione (per limitare le piene incamerando parte delle acque).

Nel progetto del 2014 erano cinque le vasche di laminazione previste: Senago, Varedo, Paderno Dugnano, Lentate sul Seveso, Milano. Nel 2019, nel nuovo programma d’azione, le vasche diventano quattro per l’accorpamento di quelle di Paderno Dugnano e Varedo in una sull’area dell’ex Snia.

I costi lievitano da 115,2 milioni di euro (tenendo conto la previsione del 2014 che nell’intervento a Senago contava anche l’adeguamento del canale scolmatore di Nord Ovest) a 210 milioni, secondo le ultime dichiarazioni dell’assessore Comazzi, per laminare 4,5 milioni di m³ d’acqua.  Fino a oggi, solo una vasca è stata completata ed è in funzione da dicembre 2023 quella gestita da MM e dal Comune di Milano: la vasca al confine tra la città e il comune di Bresso su cui affacciano i residenti di via Papa Giovanni XXIII.

Come fermare le esondazioni?

C’è un luogo dove il nome Seveso non è sinonimo di “esondazione”, “cementificazione” e “inquinamento”. Un luogo, a pochi passi dalla Svizzera, dove la cementificazione non ha cambiato la morfologia del territorio. Un luogo dove nelle acque del torrente si possono trovare i gamberi di fiume. Questo posto è San Fermo della Battaglia, a sinistra della sponda comasca del Lago di Como. Il comune nel quale nasce il corso d’acqua che tanti problemi causa a Milano.

«Questa è una zona splendida – ha affermato il sindaco Pierluigi Mascetti – il Seveso nasce in un posto meraviglioso che è il parco della Spina Verde, e ad un centinaio di metri dalla sorgente si può vedere dall’alto il primo bacino del lago di Como. La zona è meta di famiglie ed escursionisti».

Il Seveso nasce a 490 metri di altitudine, in una zona naturale protetta all’interno della frazione di Cavallasca. Dopo neanche un chilometro, il fiume inizia a scorrere in mezzo alle case, ma la sua portata non è limitata o cementificata. La città si è costruita attorno al suo percorso, anche se in un solo punto, per circa un centinaio di metri, è tombinato.

Nel parco Spina Verde esiste anche un percorso, frequentato dalle scuole e dalle famiglie, chiamato “il sentiero degli otto ponti”, il quale segue il percorso del torrente Seveso, offrendo anche vedute panoramiche delle sue rive.«Direttamente il fiume Seveso non ha mai provocato problemi – ha raccontato Mascetti – C’è un suo affluente che durante eventi climatici molto importanti dà qualche problema di esondazione a qualche casa, però abbiamo risolto con piccolissimi interventi».

Uno dei segreti di San Fermo della Battaglia è la poca cementificazione nel corso degli anni. «Tra gli anni ’50 e ‘70 c’è stato il maggior incremento perché siamo passati da 3mila a 7.800 abitanti – ha spiegato il sindaco – A partire dagli anni ‘80 è stato fatto un intervento sul piano regolatore che ha diminuito la capacità edificatoria del territorio. Addirittura dal piano regolatore del 2006 non ci sono stati più interventi di ampliamento».

Se a monte il Seveso è un rigagnolo che a malapena si intravede e che fa da contorno ad ambienti bucolici, è a valle che cede il passo alle opere dell’uomo e alle gabbie di calcestruzzo che lo circondano.

«Quando entravi ti dimenticavi di stare a Milano e sentivi i canti delle specie protette. C’erano migliaia di farfalle e sembrava di essere tornati indietro di due secoli. Era un paradiso in tutti i sensi». Quando ricorda cosa c’era prima di quella colata di cemento, sospira e le si illuminano gli occhi, poi li chiude come per ritornare indietro fermando per un momento la sua battaglia. Matilde Minella, medico che risiede con il padre e la sorella in via Papa Giovanni XIII 43 a Bresso a soli 30 metri dalla vasca di Milano Parco Nord, è la portavoce del Comitato No vasca che da circa nove anni si oppone alla costruzione della vasca di laminazione di fronte ai palazzi che ospitano oltre duemila residenti. All’inizio a partecipare ai presidi di fronte all’impianto erano molti di più, ora a stento raggiungono la decina. Anche gli obiettivi sono cambiati: «La vasca è stata collaudata per tutto il mese di novembre e ormai è in funzione, ora protestiamo per la salute dei residenti di questa zona».

A preoccupare i cittadini bressesi sono i “miasmi” che la vasca esalerebbe raccogliendo, in occasione delle ondate di piena, le acque del torrente Seveso che già scorreva sotto le loro case. «Se prima le acque fluivano in quantità ridotte, la vasca ora colleziona 250mila metri cubi di fanghi e liquidi inquinanti che potrebbero creare un effetto cocktail sotto i nostri balconi», spiega Minella. Il fenomeno è stato definito dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) come un mix di sostanze che se prese in concentrazioni minime sono innocue ma combinate possono provocare gravi danni all’ambiente e alle persone. A giudicare la storia del Seveso e le recenti indagini di Arpa, il quadro non è di certo incoraggiante.

Il 10 luglio 1976 un incidente nell’industria chimica ICMESA di Meda (Monza e Brianza) liberò nell’aria una nube di diossina TCDD, nota in Italia come diossina Seveso perché l’evento colpì soprattutto la città di Seveso da cui vennero evacuate più di 200 persone. Il disastro obbligò l’Europa a dotarsi di una direttiva per monitorare gli stabilimenti che producono sostanze pericolose per i comuni limitrofi. L’episodio è ancora inciso nella memoria degli abitanti della zona, ma anche nelle acque del torrente ancora inquinate.

Come riporta l’indagine di Arpa Lombardia “Bacino del Seveso. Il monitoraggio delle acque del torrente Seveso” pubblicata nell’ottobre 2021, tra il 2014 e il 2019 lo stato chimico dell’acqua è catalogato come “non buono” da Vertemate (Como) fino a Bresso, con presenze di PFOS, piombo e nichel. Ad aggravare la situazione si aggiungono anche gli scarichi censiti da un’inchiesta della Procura di Milano che ha etichettato come abusivi 1.420 scoli su 1.505 lungo tutta l’asta del Seveso. Per monitorare la gestione degli scarichi è nato anche il progetto BrianzaStream che ha il compito di classificare tutti gli scoli presenti.

Scoli abusivi

«Non credo che nessuno sarebbe contento. Poi la vasca bisognava farla perché era l’ultima delle soluzioni, ma non si può pretendere anche che la gente sia contenta». Il Consigliere dei Verdi al Comune di Milano Carlo Monguzzi è chiaro: «le vasche sono la solita soluzione tampone. Noi facciamo un disastro e poi ci inventiamo queste vasche che servono se la quantità d’acqua rimane sotto una certa soglia». Ma la situazione non cambierà secondo il consigliere dei Verdi Milano: «Tutti in televisione parlano di cosa bisognerebbe fare, poi si parla di altro fino alla prossima alluvione».

«Oramai le vasche di laminazione sono delle opere necessarie, anche se noi come ambientalisti non le amiamo», spiega il vicepresidente di Legambiente Lombardia Lorenzo Baio. Non è la soluzione migliore, ma a causa dell’eccessiva cementificazione del territorio lombardo, è l’unico metodo realistico per arginare il fenomeno delle esondazioni: «Stiamo cercando di ricreare al fiume il territorio dove laminare le sue acque – ha spiegato Baio – ma un tempo c’era già questo spazio, semplicemente bastava costruire con più criterio». Scoperchiare i Navigli per Legambiente è una «operazione immobiliare».

«Il Parco Nord non poteva opporsi alla costruzione della vasca ma abbiamo ottenuto 11 ettari come compensazione». Per Riccardo Gini, direttore di Parco Nord Milano, il suo ente ha fatto tutto quello che era nelle sue forze: «Nel nostro statuto c’è una deroga che la Regione può esercitare. Cosa che non ha fatto perché l’opera non è incompatibile dal punto di vista urbanistico». Sulla costruzione invece si sbilancia: «Dal nostro punto di vista la vasca non doveva essere il progetto. Bisognava riqualificare l’asta del Seveso. Tuttavia non crediamo che oggi la vasca costituisca un rischio ambientale».

Sebbene vicino alla causa, il vicepresidente di Legambiente Lombardia Lorenzo Baio non ha dubbi: «Oramai le vasche di laminazione sono delle opere necessarie, anche se noi come ambientalisti non le amiamo». La vasca del Parco Nord non è la soluzione migliore, ma a causa dell’eccessiva cementificazione del territorio lombardo, è l’unico metodo realistico per arginare il fenomeno delle esondazioni secondo gli ambientalisti: «Stiamo cercando di ricreare al fiume del territorio dove laminare le sue acque – ha spiegato Baio – ma un tempo c’era già questo spazio, semplicemente bastava costruire con più criterio». Anche se per il consigliere di Milano in quota Verdi Carlo Monguzzi, le vasche sono la «solita soluzione tampone. Noi facciamo un disastro e poi ci inventiamo queste vasche che servono se la quantità d’acqua rimane sotto una certa soglia».

Parco Nord è riuscita a ottenere una compensazione di quattro volte superiore all’area disboscata (3 ettari), ma la costruzione della vasca resta per Baio «un’ingiustizia». Per questo motivo, Monguzzi ha detto di comprendere le proteste dei cittadini del Supercondominio di Bresso: «Queste persone che protestano hanno tutte le ragioni del mondo. Voglio vedere se voi aveste comprato casa davanti a un bosco. Non credo che nessuno sarebbe contento. Poi la vasca bisognava farla perché era l’ultima delle soluzioni, ma non si può pretendere anche che la gente sia contenta».

L’alveo del torrente Seveso è stato sempre più cementificato e questo ha modificato gli argini naturali del torrente che, a causa delle forti piogge, ritorna a prendersi i suoi spazi, come ha ricordato Monguzzi: «Ci sono 52 km di fiume che hanno una camicia di forza terribile, fino alla genialità che arriva a Milano dove viene tombinato. Il fiume dà di matto. Un fiume nasce e vuole scorrere. Dove diavolo scorre se tu cominci a fare gli argini di cemento?».

La vera soluzione per gli ambientalisti sarebbe smettere di consumare suolo e bonificare alcune aree dismesse. Negli ultimi anni si è parlato tanto dell’operazione di scoperchiare i Navigli a Milano, ma Legambiente non è soddisfatta del piano presentato da palazzo Marino: «Quando tempo fa è venuto fuori il dibattito noi eravamo molto contenti perché poteva aiutare a gestire al meglio anche le acque del Seveso che si mischiano con la Martesana – ha affermato Baio – Il problema è che il progetto era molto più scenografico-paesaggistico e di valorizzazione immobiliare che una scelta strategica dal punto di vista idraulico».

Ma se ormai non si può fare a meno della vasca, la stagnazione delle acque può essere pericolosa per la salute umana? A leggere le carte dello Studio di Impatto Ambientale e il Decreto VIA, firmato il 12 maggio 2016, una volta in funzione la vasca non avrebbe alcun impatto sulle acque superficiali e sotterranee, sull’aria e sull’atmosfera. Le uniche conseguenze sarebbero i rumori dell’impianto, che MM assicura saranno contenuti ed entro i limiti di legge, e gli odori prodotti dall’accumulo delle acque di piena. Dopo le proteste dei No vasca e le richieste avanzate dal Sindaco di Bresso Simone Cairo di fronte al prefetto, l’Assessore alla Sicurezza con delega alla Protezione Civile di Milano Marco Granelli insieme a MM hanno garantito che saranno installati lungo il perimetro dell’invaso dei sistemi per monitorare rumori, polveri e odori.

Non è abbastanza però per il Comitato: «Quello che veramente bisognerebbe analizzare e monitorare è l’effetto cocktail tra le varie sostanze che ristagneranno nella vasca e la composizione dei fanghi per stabilire come trattarli, ma questo il Comune di Milano non lo farà mai… non gli conviene». Anche qui il progetto definitivo esclude ogni problematica. La vasca avrà una funzione ricreativa per 320 giorni l’anno, un laghetto con acqua di falda farà da sfondo alle piste ciclabili e ai percorsi pedonali costruiti ai margini.

Il riempimento dell’invaso durerà dalle 3 alle 10 ore durante una piena del Seveso, mentre il suo svuotamento circa 35 ore. Il lavaggio del fondo vasca, costituito da una lastra di cemento impermeabile, si concluderà in 2 giorni. Quindi, se tutto andrà come calcolato dai tecnici, il ristagno di fanghi e acque inquinate non dovrebbe creare disagi ai residenti, soprattutto perché le previsioni del progetto stimano 7 ondate di piena ogni anno.

Funzione ricreativa (giorni)

Ondate di piena previste

Pulizia vasca dopo utilizzo (ore)

Non basterà però solo questa vasca per evitare che il Seveso esondi, come si può vedere dalla tabella a lato. Anche perché la vasca di Milano è per ora l’unica in funzione tra le quattro previste dai progetti, ma anche questa negli anni ha subìto ritardi e rallentamenti: il Progetto Seveso di Italia Sicura vedeva nel dicembre 2016 la conclusione dei lavori, data che è stata poi posticipata al 2021 dal Contratto d’azione del 2019 e il Sindaco di Milano Giuseppe Sala immaginava di tagliare il nastro al massimo nel 2022, insieme alla vasca di Senago. Sono state molte le cause che hanno rallentato l’iter, dai ricorsi dei cittadini e del Comune di Bresso alla pandemia da Covid-19, dalla guerra in Ucraina e il correlato aumento dei costi alle solite lungaggini burocratiche. Innanzitutto un dato, aldilà dei pretesti avanzati da MM e dal Comune di Milano, a fronte di un budget di 30 milioni di euro (fondi statali), l’aumento dei costi è stato limitato, tra il 3-4%, pari a 1 milione di euro. Sia i cittadini del Supercondominio di via Papa Giovanni XXIII che il Comune di Bresso avevano presentato ricorso contro la costruzione della vasca. La protesta dei bressesi era anche arrivata alla Commissione Petizioni dell’Unione Europea e alla Presidenza del Consiglio del nostro Paese ma nel 2018 il Governo rigettò l’opposizione del Comune dando così il via libera definitivo al progetto. L’ultima strada legale rimasta è il ricorso congiunto presentato dai residenti della zona che aspetta ancora il parere dei tribunali.

Il fronte però non si è sempre schierato per il No: Comune e cittadini avevano avanzato delle modifiche al progetto come l’idea di spostare l’invaso di qualche centinaio di metri dal Supercondominio modificando così il tracciato di via Aldo Moro, importante arteria stradale. In sede di mediazione, tra febbraio e settembre 2019, Milano e MM hanno chiarito che una modifica di questo genere avrebbe non solo aumentato a dismisura i costi dell’opera ma anche il numero del verde da abbattere.

Milano quindi ha portato a compimento l’unica opera di cui si doveva occupare tramite MM. C’è però una storia che non è neanche alla sua prima pagina: della vasca di Varedo-Paderno-Limbiate nessuno sa niente.

«Non ricordo neanche l’ultima volta che sono stato convocato da Regione, era prima del Covid», ammette facendo spallucce il sindaco di Varedo Filippo Vergani. «Non ho notizie aggiornate oltre il 2021 se esiste il progetto attuativo», sostiene Ezio Casati, primo cittadino di Paderno Dugnano, sforzandosi di richiamare alla memoria gli sviluppi della vasca di laminazione che dovrà sorgere nell’area dell’ex Snia. Se costruita, e il se è d’obbligo in questo caso, raccoglierà 2,2 milioni di m³ di acque di piena del torrente Seveso. Un articolo de Il Giorno a maggio 2023 chiariva che il terreno doveva essere ancora espropriato. E poi ci sarebbe anche la bonifica perché i rilievi fatti hanno trovato metalli (piombo, nichel), rifiuti industriali sepolti e arsenico sottoterra. L’intervento durerebbe due anni e, dagli iniziali 15 milioni, il costo sarebbe lievitato fino a più del doppio a causa della guerra in Ucraina mentre la realizzazione di tutto il progetto avrebbe bisogno di 100-120 milioni in totale secondo quanto riferito da Vergani. Senza questo invaso il progetto vasche perderebbe quasi la metà di tutta la sua capacità di assorbimento (4,5 milioni di m³ il totale). Nel piano delineato da Italia Sicura nel 2014 la vasca non era unica: Varedo ne avrebbe dovuto avere una, verso l’arteria Monza-Saronno, di 1,5 milioni di m³ e Paderno un’altra di 950mila m³. Quindi nella variazione di progetto si sono persi anche 250mila m³.

E il suo completamento è ancora lontano dall’essere raggiunto. A confermarlo è lo stesso Assessore Comazzi, anche presidente di Aipo, che ha chiarito quanto costerà portare a termine la costruzione dell’invaso: da 44 milioni di euro (come da contratto d’azione del 2019), si passerà a 92 milioni di euro per bonifica e realizzazione. Di conseguenza crescerà anche il costo complessivo di tutto il pacchetto contro il dissesto idrogeologico causato dalle esondazioni del Seveso: 210 milioni di euro erano i finanziamenti preventivati. Comazzi ha anche dichiarato di aver presentato una delibera in giunta regionale (n.1341) che ha stanziato 50 milioni di euro di cui 15 per la costruzione di una vasca di laminazione sul Terrò-Certesa, affluente del Seveso, capace di laminare solo 75mila m³ d’acqua. Della delibera citata da Comazzi 19.309.714,90 di euro sono stanziati dal Mase e 28.455.837,5 da fondi regionali. Sulla vasca di Varedo-Paredo-Limbiate però non si sa niente: non c’è un progetto attuativo, un cronoprogramma, una data di inizio o di fine dei lavori.

Un discorso analogo può essere fatto per l’impianto di Senago dove la sindaca Magda Beretta si lancia in una previsione, o più una speranza, nefasta: «La seconda vasca non verrà mai completata. Al momento non c’è finanziamento, quindi mi auspico che non venga mai completata. C’è sempre l’attenzione su Senago, su Senago, ogni volta che si allaga Milano c’è sempre l’attenzione sulla povera Senago», spera.

Entro il 2024 entrerà in funzione una vasca alla sinistra di via Alcide de Gasperi con un totale di 550mila di m³ divisi in due settori. Una seconda vasca invece dovrebbe sorgere sulla destra della via ma il collaudo è previsto entro il 2026, con tre anni di ritardo rispetto a quanto previsto dal contratto d’azione. Come riferito da Comazzi il totale delle acque laminate con la seconda vasca raggiungerà i 900mila m³. Non c’è invece chiarezza sugli investimenti del progetto: la sindaca Beretta ha confermato che la costruzione dei due settori ha assorbito il costo totale dell’opera, 30 milioni. L’assessore regionale ha invece parlato di un finanziamento di 46 milioni di euro.

Ulteriore incertezza c’è su Lentate sul Seveso: «Per la vasca si andrà più avanti», glissa Comazzi. L’investimento totale è di 27 milioni di euro, rispetto ai 16 milioni di euro previsti dal contratto d’azione. L’area golenale di 50mila m³ (20mila m³ nel contratto) sarà pronta nella primavera del ’24, mentre la vasca di 808mila m³ non ha una data di consegna. A bloccare i lavori ci sarebbe un metanodotto di Snam da spostare e per il quale la Regione sta portando avanti i colloqui con RFI per la ferrovia che scorre accanto. Secondo quanto riporta un articolo del Sole 24ore il metanodotto verrà spostato nell’estate del ’24.

Siamo sulla strada giusta?

Il problema delle esondazioni del Seveso esiste dall’alba dei tempi. E fin dal 1875 sono registrate sui giornali. Adesso sono aumentate di intensità a causa della combinazione di due fattori dovuti all’antropizzazione: la cementificazione e il cambiamento climatico. A queste problematica si aggiunge, come ha sottolineato Monguzzi, l’operato politico: «A volte un tombino intasato non è il surriscaldamento globale, ma cattiva amministrazione».
Un fiume incatenato ogni tanto reclama la sua originaria libertà. E quindi esce, allaga, ristagna e poi se ne va, in attesa di uscire di nuovo.
Ormai la popolazione di Milano sembra abituata a questa situazione. Per citare Fabrizio De André: Si costerna, s’indigna, s’impegna. Poi getta la spugna con gran dignità. Ma alcuni non demordono, come Carlo Proserpio, Matilde Minella e Simona Fregoni. Che continuano a lottare per migliorare la situazione.
Dopo anni di immobilità, dal 2014 qualcosa si è mosso. Si è incominciato a pensare di creare delle vasche di laminazione per risolvere il problema delle esondazioni.
Sono una soluzione? Si. Sono la migliore soluzione possibile? No.
«La soluzione a queste esondazioni è il tornare a un sistema idrologico adeguato che è quello della natura – ha spiegato l’ingegner Kian – bisognerebbe de-impermeabilizzare, ma questa non sarà la soluzione perché ormai siamo in un assetto che non è più modificabile».
Kian ha anche definito «schizofrenico» l’atteggiamento di regione Lombardia riguardo al consumo di suolo. Si parla del problema del Seveso, ma nello stesso tempo si continua a cementificare, aumentando il rischio di esondazioni.
La strada per adesso è quella giusta se l’obiettivo è fermare le esondazioni nel breve periodo. Entro il 2024 oltre 2 milioni di metri cubi di acqua saranno bloccati dalle vasche, lasciando all’asciutto Milano nella maggior parte dei casi. Ma il rischio è dietro l’angolo a causa della speculazione edilizia: le vasche abbassano il rischio idrogeologico di una zona e la rendono edificabile. A quel punto, senza un’adeguata manutenzione delle infrastrutture, si rischiano esondazione ancora più forti e dannose.
Quello che serve è una politica lungimirante altrimenti, come ha detto Kian, questo diventerà «un percorso non virtuoso che non risolverà il problema, ma lo allontanerà. Vorrà dire che le vasche di laminazione non faranno altro che condannare le future generazioni a pagare la manutenzione e magari ad avere ancora il problema ancora più intenso».