LA RINASCITA DEL VINILE

L'iconico disco lucido torna in auge. Nel 2023 le vendite sono aumentate del 24,3%

di Marta Di Donfrancesco e Alberto Fassio

Una puntina che attraversa i solchi di un disco. Una musica che esce dalle casse con una qualità senza rivali, ma con un suono dal gusto retrò. Gli anni ‘70 e ‘80 sono finiti da un pezzo. Eppure non è strano trovare nella stanza di una ragazza o di un ragazzo di oggi un giradischi. Probabilmente l’ha chiesto per Natale o l’ha ricevuto per il compleanno. Del resto è un oggetto d’arredo, come lo sono i vinili con le copertine colorate o le edizioni limitate e numerate. Ma c’è di più. Negli ultimi vent’anni la musica ha cominciato un processo di trasformazione dallo stato solido a quello liquido, come l’hanno definito alcune riviste di settore. Con i download prima e lo streaming ora, le note dei brani diventano ancora più immateriali. Anche per questo giovani e meno giovani, come accade ciclicamente, stanno rivolgendo il loro sguardo nostalgico a un passato che sembra sempre migliore del presente. Un desiderio che si specchia nell’esigenza di ritrovare il senso della materialità, per sfuggire a quella mancanza di concretezza in cui vive la nostra società connessa e digitale. Il protagonista per eccellenza di questo fenomeno, che attraversa più generazioni, è il vinile. Le vendite sono in costante aumento: dal 2016 a oggi i ricavi generati sono in ascesa sia in Italia sia negli Usa. Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Federazione dell’Industria Musicale Italiana, le vendite nel 2023 sono cresciute del 24,3% rispetto all’anno precedente, con oltre 37 milioni di ricavi. Un fenomeno sociologico, un’onda che investe gli amanti della musica, ma non solo. Insieme ai vinili rinascono anche le fabbriche che li producono, i negozi che non hanno mai smesso di tenerli sugli scaffali e anche gli artisti, tra cui c’è chi ha iniziato la sua carriera proprio col vinile e chi, nato nell’era del tasto “riproduci” sullo smartphone, si è ritrovato a registrare la propria musica sul disco laccato. 

I 10 vinili più venduti del 2023

1. Un viaggio nei negozi storici

La crisi del vinile è durata decenni e lo streaming sembrava averlo ormai destinato per sempre alla scomparsa. Ma c’è chi ha sempre saputo che non sarebbe andata così. Carù Dischi di Gallarate, in provincia di Varese, è uno dei dieci negozi di vinile più autorevoli al mondo secondo il quotidiano inglese The Guardian. Appena si varca la soglia di questo piccolo locale, uno dei più antichi d’Italia, la sensazione è che ogni cosa, dagli scaffali in legno al pavimento in granito, sia impregnata di musica. 

Impossibile non farsi catturare dagli oltre 100mila vinili e dai dischi nazionali e internazionali che riempiono i suoi scaffali. «Esistiamo da più di 70 anni e abbiamo visitatori che vengono da tutto il mondo: Germania, Inghilterra e anche Stati Uniti», spiega Paolo Carù, il proprietario del negozio. I clienti degli ultimi anni sono molto vari per età. Non si tratta solo di affezionati: ci sono i collezionisti, che cercano album di nicchia, e ci sono i giovani, che comprano i grandi classici come The Dark Side of The Moon dei Pink Floyd e le ultime novità degli artisti più recenti. Tra i clienti, sono molti gli artisti entrati in cerca di vinili o dischi particolari: «Non mi ricordo tutti i nomi», racconta Paolo Carù. «Sono venuti Ivano Fossati, Mia Martini, Davide Van De Sfroos, John Paul Jones dei Led Zeppelin e tantissimi altri». Anche quando sembrava che la puntina non dovesse più toccare i solchi, da Carù il vinile non è mai stato solo un oggetto d’arredo: «Ero sicuro che sarebbero tornati e non ho mai smesso di tenerli». E si può dire che aveva ragione.

L’odore del mare si mescola a quello dei vinili usati e delle confezioni di quelli ancora da scartare. Disco Club, a pochi passi dal porto di Genova, è il negozio di dischi più antico della città, nonché uno tra i più antichi d’Italia. Per il capoluogo ligure è il punto di riferimento per la musica di ogni genere ed epoca, anche perché Giancarlo Balduzzi, l’attuale proprietario, non ha mai smesso di tenere sugli scaffali i 33 giri. Con la sua gentilezza e lo spiccato accento genovese, Balduzzi dal 1965 accoglie i clienti pronto a consigliare un pubblico di tutte le età e dai gusti musicali più vari.

Balduzzi non è il fondatore del negozio, ma la sua vita è da sempre legata a questo luogo: «Ho iniziato a frequentare Disco Club proprio nel 1965. Un giorno ero andato a vedere allo stadio Sampdoria-Inter, la squadra milanese ci ha fatto cinque gol», racconta Balduzzi. «Un po’ nervoso sono tornato a casa e ho visto che avevano aperto sotto i portici qualcosa di nuovo, un negozio di dischi». Da quel momento Disco Club diventa uno dei suoi luoghi del cuore. Dopo aver scoperto e acquistato l’album Atom Heart Mother dei Pink Floyd, la sua passione per la musica è aumentata sempre di più. In questo negozio ha cominciato a lavorare, prima come redattore di una rivista per corrispondenza prodotta dal negozio stesso, poi come venditore. Sempre qui ha incontrato sua moglie che lavorava come commessa e poi è diventato proprietario del locale storico. Il forte legame con questo luogo lo ha portato a scrivere un diario, aggiornato quotidianamente dal 2013, che traccia un profilo dei clienti, delle richieste particolari e del mondo che gravita attorno al negozio genovese.«L’idea mi era venuta il giorno di San Valentino del 2013, un gruppo di ragazzi mi aveva fatto delle richieste un po’ strane come regalo per le loro fidanzate. La sera allora ho deciso di appuntarle su un diario e da lì tutti i giorni per un anno e mezzo». Da quelle pagine è uscito il libro Il diario di Discoclub. Il progetto è poi proseguito online e durante la pandemia è nato un libro ancora più strutturato: Il mondo visto da Discoclub. Il rapporto con i clienti per Balduzzi è una parte fondamentale del suo mestiere, nonché la chiave del successo e della resistenza di un negozio di dischi. Sul fatto che i vinili siano tornati in auge Giancarlo Balduzzi non ha dubbi: anche se di base nel suo store vanno ancora molto i cd, ha infatti deciso di aprire di fianco al locale principale un’altra stanza dove vende vinili usati. Il fascino del vintage sta contagiando sempre più giovani, anche grazie alle copertine di design realizzate negli ultimi anni e Balduzzi si augura che possa continuare. Nella speranza, però, che lo stesso fenomeno non investa anche le musicassette: «Spero non tornino mai. Si sentivano male, non sapevo dove metterle in negozio. Per carità!» conclude sorridendo.

Credits: Alex Belli

2. Il vinile per Donatella Rettore

C’è chi ha cantato almeno una volta nella vita Splendido Splendente e chi mente. Se proviamo a pensare a un’artista italiana nata musicalmente verso la fine degli anni ‘70 che si è saputa rinnovare fino a giorni nostri, attraversando l’epoca del 33 giri, delle musicassette, del cd, dello streaming e il ritorno del vinile, non possiamo non pensare a Donatella Rettore. La sua voce riconoscibile, l’avanguardia dei suoi testi e la sua immagine trasgressiva e ironica le hanno permesso di rimanere sempre attuale anche con il passare del tempo. 

Rettore si è resa conto molto presto di aver sviluppato e raggiunto una propria personalità artistica, alla quale il pubblico ha risposto positivamente: «Con il brano Carmela avevo capito che stavo intercettando un certo tipo di pubblico. Era il ‘77 ed era un anno di grandi cambiamenti sociali e musicali. Basti pensare alle prime radio veramente libere e ai cantautori italiani che cominciavano a cantare canzoni politicamente impegnate e brani rock». Il primo grande successo arriva però nel 1979 con Splendido Splendente, un brano dal sound disco che la catapulta ai vertici delle classifiche. Dall’album Brivido Divino (1979), che contiene proprio questo pezzo, Rettore inaugura una serie di copertine di vinili iconiche. I messaggi si comunicano attraverso le canzoni, come spiega l’artista: «Leonessa, per esempio, è un brano molto bello e anche premonitore, dice: “Lo faccio spesso se mi va”, come a dire “L’utero è mio e me lo gestisco io”. Anche Kobra è un pezzo con cui faccio uno sfottò al maschio degli anni ‘80 che si auto-idolatra». Ma i messaggi passano anche dalle immagini e dalle grafiche, che hanno un forte potere evocativo. E così in Magnifico Delirio (1980), che contiene sia Kobra sia Leonessa, la cantante ha i denti di una tigre americana come se fosse feroce e affamata, in Estasi Clamorosa (1981) cerca di rappresentare una sorta di donna che cadde sulla terra – un po’ stile David Bowie – e in Kamikaze Rock ‘n’ Roll Suicide (1982), considerato dalla critica una pietra miliare, ci sono forti richiami al mondo giapponese. Ma oltre all’aspetto grafico c’è di più. Pur essendo una delle cantanti italiane con più streaming in Italia, Rettore ha mantenuto un grande amore per il vinile: «Quel disco, che magari è colorato, l’etichetta, quella puntina di diamante che ha quel suono impercettibile e caldo che ti arriva un po’ nella pancia: quello è il fascino del vinile. Il suono del disco è quasi una carezza, ti va proprio a grattare nei sentimenti. È una cosa magica, come una fotografia fatta con la pellicola». Non a caso, ha deciso di pubblicare anche  il suo ultimo album, il best of Insistentemente Rettore, anche in quel formato: «I giovani vedono nel Lp qualcosa di bello, di appassionante, che possono toccare e riascoltare con attenzione».

3. Ritorno al passato, l’imperfezione è autenticità

Il passato ha sempre un grande fascino, sotto qualsiasi lente lo si guardi. È il fascino del diverso, di un ricordo familiare, anche se mai vissuto. Di qualcosa che conosciamo anche senza averlo mai visto o vissuto Ma rispetto a ciò che è lontano o fantastico, il mondo come era prima ha una sfumatura in più che, nell’immaginario collettivo, prende il colore sfumato della nostalgia. Per questo è tornata la moda che non va mai fuori moda, quel “vintage” che continua ad appassionare e a farci sentire parte di un passato che non abbiamo vissuto, ma di cui – quasi – sentiamo la mancanza. Tutto ciò si traduce nel fenomeno della “retromania”, che prende il nome dall’omonimo testo del 2011 del critico musicale Simon Reynolds. «Come si legge nel libro, il ritorno del passato è caratterizzante per la produzione culturale dopo il 2000», spiega Alessandro Gandini, professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università Statale di Milano. «Si guarda al passato come fonte di ispirazione. Per questo motivo ritornano gli stili musicali, le mode, ma anche gli oggetti. È ciò che succede, ad esempio, col vinile». Questo si colloca nella fase della cosiddetta cultura hipster, che proprio del vintage ha fatto un oggetto di culto. È un ritorno al passato che coinvolge i più vari aspetti della vita. Suoni, musiche e melodie non sono esclusi e con loro neanche il supporto musicale per eccellenza: il vinile, che ha rappresentato in quel contesto il simbolo di qualcosa di originale e genuino. «Il suo ritorno rappresenta proprio questa ricerca dell’autentico, in quanto – a differenza del suono perfetto e pulito che viene riprodotto da un cd o dallo streaming – il vinile è imperfetto. Questo fa parte del suo fascino: l’imperfezione del microsolco trasmette la sensazione di un qualcosa di autentico». Per quanto idealizzato in termini nostalgici, quello degli anni ‘70 e ‘80 è ricordato tuttora come un periodo storico non particolarmente semplice. «Era, però, anche quello in cui le industrie culturali erano molto “in forma”, in grado di attrarre grande capitale economico e di dar vita a grandi innovazioni anche nel suono stesso. Questi anni, rispetto al mondo della musica, sono percepiti come l’età dell’oro», spiega Gandini. Dagli anni ‘90 in poi la curva dell’interesse e della produzione d’eccellenza musicale comincia a scendere, ed è da allora che si rivolge lo sguardo al passato, idealizzandolo. «Questo è un processo ricorsivo ed è abbastanza naturale dal punto di vista sociologico. Comporta il fatto di conservare nella memoria ciò che ci piace e di dimenticare le cose negative», racconta Gandini. Il ritorno al vinile riguarda due fasce specifiche della popolazione: da una parte i molto giovani, dall’altra chi quell’epoca l’ha vissuta. «Lo si può notare semplicemente andando a guardare quali sono i vinili più venduti: in una stessa classifica si trova quello dell’ultimo trapper e The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd». Quindi, secondo il professor Gandini, il fenomeno della rinascita del vinile non è da considerarsi una “bolla”, proprio grazie alla sua diffusione e all’interesse che continua a suscitare.

4. Il mercato discografico italiano

Nell’era dello streaming il vinile, a differenza del cd, porta con sé fascino e fascinazione. Stando agli studi di Fimi, Federazione dell’Industria Musicale Italiana, nel panorama del mercato discografico italiano del 2023 il segmento fisico ha registrato una crescita che permette al nostro Paese di posizionarsi all’ottavo posto su scala mondiale, con entrate che ammontano a quasi 62 milioni di euro. A guidare questo comparto è proprio il vinile, con un aumento dei ricavi del 24,3% rispetto all’anno precedente. «Non è un’area con una dimensione rilevante rispetto allo streaming o alla produzione digitale, però continua a crescere», sottolinea il CEO di Fimi, Enzo Mazza. «I margini sul vinile sono bassi anche perché è un prodotto costoso. Dipenderà molto dalla capacità produttiva delle fabbriche e dalle disponibilità che ci sono a livello mondiale. Benché sia tornata a un certo regime, la produzione di vinile resta sempre sotto il livello necessario».

5. Come nasce un vinile

Con il suo particolare profumo, con dimensioni e colori diversi, copertine più o meno rare e i suoi iconici microsolchi, il vinile è un oggetto capace di andare oltre al suo scopo, coinvolgendo quasi tutti i sensi. Ma la sensazione di completezza che restituisce al momento dell’ascolto è solo l’ultimo tassello di un puzzle molto più complesso, a partire dalla sua produzione. Si tratta del supporto fisico per l’ascolto musicale più strutturato e difficile da creare, frutto di un processo articolato che coinvolge diverse figure professionali. A Settala, in provincia di Milano, resiste ancora la Phono Press, una tra le poche fabbriche in grado di svolgere tutti i processi di produzione in completa autonomia, che ad oggi arriva a dar vita a circa 6000 dischi al giorno. «Alcuni macchinari sono degli anni ‘70», spiega Arturo Fresolone, consulente e creatore di vinili per Phono Press. Dal processo chimico iniziale all’incisione della musica sulla lacca, quella di Settala è forse l’unica azienda italiana del settore rimasta in vita anche quando lo stesso supporto era in crisi.

«Col digitale non si ha la percezione del valore dell’oggetto in sé. La riscoperta del supporto fisico è una cosa bellissima, perché rende finalmente giustizia alla musica». Incidere il suono su un vinile non è un lavoro così semplice e comune. Serve una figura specializzata, quella dell’ingegnere del Mastering. Nel suo studio alle porte di Monza, Alessandro Di Guglielmo è uno dei pochissimi in Italia a fare il Mastering Engineer, ovvero che si occupa «della fase finale della produzione di un disco», spiega Di Guglielmo. «Il mastering è la realizzazione della matrice che poi servirà per realizzare il disco in larga scala». La sua è stata una scelta dettata dalla passione: «Ho iniziato prima del 2000, quando il settore era in piena crisi. La mia fortuna è stata la voglia di voler approfondire l’uso di queste macchine spettacolari, anche perché ormai sono datate e non c’è una grande conoscenza di come funzionino». Tra un momento di vitalità e l’altro, il vinile ha dovuto affrontare decenni di crisi e disinteresse di tutti, dal pubblico ai produttori. Per questo è mancato, anche nel lavoro di Di Guglielmo, un vero e proprio passaggio di testimone tra generazioni. «Non ho i numeri esatti, ma credo che siamo 4 o 5 in tutta Italia, forse sui 200 in tutto il mondo a fare questo lavoro. Ma proprio perché l’ambiente è molto piccolo, lo scambio di conoscenze è molto limitato: è tutto nelle proprie mani». Da più di vent’anni sul microsolco, Di Guglielmo ha inciso musica di tantissimi artisti: Mina, Celentano, ma anche più giovani e moderni, come Alfa. «Nell’ultimo periodo c’è stata un’enorme accelerata dal punto di vista della produzione dei vinili soprattutto grazie al mercato indipendente». Aspetto che si spiega anche da un punto di vista psicologico: «Quello del vinile è un ascolto quasi rituale. Ti obbliga a dedicargli del tempo, ad acculturarti anche a livello tecnico sulla musica e sul suono, seppur inconsciamente». 

6.  Il più grande collezionista di vinili d’Italia

Tra il periodo di crisi del vinile e la sua rinascita, c’è chi ha sempre mantenuto un amore incondizionato per questo oggetto. Parliamo di Massimo Giannini, 55 anni, un giardiniere di Pesaro Urbino che è il più grande collezionista di vinili d’Italia. «Ne possiedo oltre 45mila, se consideriamo anche i cd arriviamo a 59mila in totale». Una passione che è nata da quando aveva circa 15 anni e  suo padre gli regalò un giradischi. Il primo disco che ha acquistato è stato Tregua (1980) di Renato Zero, il suo artista preferito in assoluto. Da quel momento non ha mai smesso di acquistarne. Secondo Giannini, il ritorno del vinile è dovuto in parte anche al packaging e alle copertine: «Oggi stampano delle confezioni molto belle, molto particolari. Spesso sono edizioni numerate e limitate e questo invoglia ancora di più i collezionisti come me». La sua immensa raccolta, che spazia per quasi tutta la storia della musica italiana e non solo, viene tenuta dentro un garage di oltre 130 metri quadrati: «È un luogo dove si respira musica. Alcune volte sono venuti anche degli artisti a visitarlo e a farmi l’autografo sui loro album» spiega Giannini. Tra i dischi più rari e a cui è più affezionato ce n’è uno di Mango: «Si tratta del suo album d’esordio La mia ragazza è un gran caldo. È molto raro, ne circolavano poche copie. Durante un festival di Sanremo sono riuscito a farmelo autografare: a un certo punto ho visto l’artista da lontano, accerchiato dai fan. Quando ho sventolato il disco in alto Mango l’ha riconosciuto subito e mi ha fatto passare davanti a tutti, mi ha fatto anche assistere alla conferenza stampa. Era davvero un uomo e un artista strepitoso». Dopo quasi 40 anni dal primo acquisto, il vinile non ha mai smesso di affascinare il collezionista: «Tuttora, quando ne compro uno, apro soltanto il lato da cui esce il vinile per non rovinare la pellicola. Oggi li stampano in maniera diversa, ne escono in tutti i colori. È bello anche soltanto a vedersi».