MILANO

IL MITO CHE CROLLA

di Martina Orecchio e Vincenzo Piccolo 

“La città più città d’Italia”. Milano veniva descritta così nel 1881 da Giovanni Verga, in occasione dell’Esposizione Universale. Per lo scrittore, il potere attrattivo del capoluogo meneghino era dovuto al suo grande sviluppo industriale. Oggi, tra le vie milanesi, il richiamo della modernità si scontra con il muro della disuguaglianza e delle sfide quotidiane. I grattacieli, simboli di potenza economica, proiettano ombre sui vicoli stretti, in cui si nascondono le storie di chi cerca di sopravvivere in una Milano che si sta trasformando da terra delle opportunità a circolo per pochi ammessi. Le strade della città stanno diventando, giorno dopo giorno, il palcoscenico di un dramma urbano, di chi arriva qui da altre Regioni, ma che oggi deve fare i conti con un mito che sembra sgretolarsi. Milano, una volta vista come l’epicentro dell’urbanità, si svela ora come una città che ha smarrito la sua essenza in un labirinto di affitti inaccessibili, preoccupazioni economiche e incertezze sul futuro. «Zone come il quadrilatero di San Siro, Corvetto o Calvairate sono proprio come delle macchie che vengono accerchiate sempre di più da questa rigenerazione che sostanzialmente tende a uniformare tutto a spese di chi ci abita», dice la studiosa di politiche urbane Lucia Tozzi, che poi aggiunge: «I nostri governanti dicono esplicitamente: “Se non te lo puoi permettere, andrai fuori dal comune, che male c’è?”».

Attività dei principali politici italiani a marzo (fonte: FanPage Karma)

Piazzale Cuoco, quartiere Calvairate

È una città che vuole essere globale, perché capace di attrarre e aggregare varie fasce sociali e investitori privati, considerata il luogo ideale dove trovare lavoro e una propria dimensione, ma che oggi è sempre più inaccessibile non solo a giovani studenti, ma anche a professionisti. A pesare sono soprattutto il costo della vita e i prezzi delle case. Negli ultimi anni, il valore delle proprietà immobiliari a Milano ha continuato a salire costantemente, rispecchiando l’aumento della domanda. Anche per il 2024, le attese parlano di un mercato con aumenti sia per chi vuole comprare, sia per chi sceglie l’affitto. Milano manterrà il suo primato di città più cara d’Italia con un prezzo al metro quadro che si avvicinerà ai 5.000 euro al metro quadro, secondo lo studio di Idealista.it. A sperimentare i rincari maggiori, secondo il portale immobiliare, saranno le abitazioni nelle zone più periferiche, ovvero dove si sta spostando maggiormente la domanda.

La crisi del potere di acquisto

«È la perdita del potere d’acquisto il dato su cui bisogna maggiormente soffermarsi», spiega Vincenzo Albanese, presidente della Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari di Milano, Monza Brianza e Lodi. «L’erosione del potere d’acquisto sugli stipendi a tutti i livelli ha impattato nell’ordine del 25-30%. Se il mio potere d’acquisto si riduce così tanto, poi mi trovo in crisi un po’ su tutto, sia per pagare l’affitto, sia per pagare la rata del mutuo». Tutto questo si riflette sulle richieste abitative di chi arriva qui, come spiega Albanese: «La domanda ha subìto una decisa variazione rispetto a quella che era quella nell’immediato post Covid. Le persone prima erano alla ricerca di immobili con una metratura un po’ più generosa e con alcune caratteristiche come il giardino, piuttosto che il terrazzo, considerate priorità nella ricerca di una nuova casa. Questo perché si poteva usufruire di bassi tassi di interesse sui mutui e della riduzione delle locazioni, dovuta al fatto che specialmente gli studenti fuorisede erano, in parte, tornati a casa loro”. Negli ultimi anni, però, si è registrata un’inversione di tendenza: «Il tipo di domanda è cambiato perché si è diretto verso un mercato nuovo, quello che risponde alle esigenze del turismo. Questo ha saturato quel tipo di prodotto. Sull’affitto, ad esempio, c’è veramente un problema di scarsissimo prodotto».

Corso Como è una delle zone che, più di tutte le altre, ha visto salire il valore degli immobili negli ultimi anni

Tra il mito e la realtà dei Costi: la storia di Salvatore

Il mito di Milano, una volta luogo di promesse e prosperità, si frantuma di fronte alle testimonianze di chi cerca una vita più sostenibile lontano dal centro. Salvatore, 36enne originario di Potenza, in Basilicata, ha toccato con mano il contrasto tra il mito milanese e la realtà. Nel 2014, spinto dall’idea di una città dinamica e ricca di opportunità, maturò la decisione di spostarsi da Roma, dove aveva conseguito la laurea triennale, per completare gli studi in Management dell’Innovazione imprenditoriale proprio nel capoluogo lombardo.
Il diritto di spostarsi si scontrò, però, con le dure realtà dell’abitare. Il primo ostacolo significativo fu la ricerca di una casa. Salvatore, senza troppi giri di parole, descrive così la sua esperienza: «Le prime difficoltà che ho trovato qui a Milano sono state quelle di trovare una soluzione ad un prezzo che rientrasse nelle mie capacità». L’aumento esponenziale dei costi degli affitti è un problema comune a molti. «Nel 2014, in media, la spesa per una stanza singola era di circa 500 euro al mese. Dopo l’Expo, ho visto i prezzi salire fino a 700 euro, escluse le spese».

Il viaggio di Salvatore attraverso la città si è diramato in quartieri come Brenta, Corvetto, e Affori, ma gli ostacoli economici e la ricerca di maggiore privacy lo hanno portato a cercare diverse alternative. «Ho vissuto anche in una stanza doppia, ma poi ho cercato nuove soluzioni per migliorare la mia qualità di vita», aggiunge. La sua testimonianza offre uno sguardo nitido sullo stress abitativo che affligge chi cerca di vivere in questa metropoli frenetica, sempre in corsa. Chi è in difficoltà è visto solo come un peso che rallenta.

Il punto di svolta nel percorso di Salvatore arrivò quando, due anni fa, decise di acquistare casa a Lodi. Un passo che oggi, non solo per lui, va oltre le questioni economiche ed è mosso dalla volontà di ottenere uno spazio più ampio in cui vivere. «Ho speso circa 140 mila euro per una casa di circa 100 metri quadrati con giardino a Lodi. In periferia di Milano, lo stesso budget avrebbe coperto solo l’acquisto di un monolocale», dice Salvatore. La sua storia mette in luce una situazione che interessa sempre più persone che decidono di trasferirsi in periferia, dove il costo della vita resta ancora sostenibile. «La casa che ho acquistato a Lodi mi ha dato la possibilità di avere più spazi e coltivare le mie passioni. Con un giardino e una piccola palestra in casa, ora posso dedicarmi a interessi che a Milano erano più difficili da perseguire», afferma.

Il potere attrattivo del mito di Milano, nonostante tutto, è ancora forte su chi come Salvatore ha scelto questa città per concretizzare i suoi sogni. Per quel ragazzo che è partito dalla Basilicata, questa è una città «sempre all’avanguardia, smart, sempre più ecologica». La nota dolente, però, resta sempre la stessa: «Vivere qui sarà come pagare un servizio sempre più caro. Tutto quello che la città offre, dalle case alle opportunità, diventerà un servizio accessibile a pochi».

Molti, come Salvatore, decidono di allontanarsi dalla città che però resta la sede del proprio lavoro. Sono coloro che preferiscono la vita da pendolari, fatta di una dimensione abitativa più giusta e vantaggiosa, preferendola a quella frenetica e alienante dentro la cerchia dei Navigli.

La qualità della mia vita è migliorata nettamente da quando mi sono trasferito in periferia, a Lodi

Salvatore

Procurement Method Analyst

Il racconto di Agostino, tra complessità abitative e sogni di una casa propria

Agostino è testimone di questa scelta di vita: 37 anni, originario della provincia di Caserta, da Store Manager è ora docente di scuola superiore. Complesse peripezie abitative lo hanno portato tra le vie di De Angeli e Bisceglie, quartiere entro la “linea rossa” della metropolitana. Una cronologia di scelte e convivenze, infine, lo hanno convinto all’acquisto di casa nel 2021.

«Conoscere il proprietario mi ha dato l’opportunità di fargli un’offerta diretta, senza intermediari. Grazie al fatto di poter trattare direttamente con lui, e grazie all’aiuto della famiglia, sono riuscito ad acquistare casa», racconta Agostino. Ma anche lui, come Salvatore, deve confrontarsi con il costo della vita milanese che mette a dura prova le finanze di chiunque decida di chiamare Milano casa propria.

I prezzi degli affitti, secondo Agostino, si ergono come una montagna da scalare, un ostacolo che può influenzare le scelte quotidiane. «Le prime decisioni riguardano l’uscire o non uscire, mangiare fuori o a casa. Talvolta per il ritmo frenetico, decido se farmi aiutare da una collaboratrice domestica o fare tutto io. Sono scelte di vita quotidiana che ti portano a dover maturare un equilibrio maggiore, così da poter mettere quel poco da parte per un’eventuale emergenza».

Le parole di Agostino aprono nuovi scenari sulla quotidianità di chi vive nella metropoli lombarda. L’equilibrio tra desideri e necessità, tra inseguire opportunità e gestire i costi, diventa il filo conduttore di una Milano in costante metamorfosi. Eppure, le preoccupazioni di Agostino per il futuro della “città più città d’Italia” emergono chiare. La classe media rischia di sgretolarsi, il divario sociale si allarga, e la domanda cruciale di Agostino rimane sospesa nell’aria: «Sarà ancora possibile mantenere lo stesso stile di vita a Milano tra 10 anni, o dovrò fare un passo indietro

Corso Como, la fusione tra lo stile post-industriale e neourbano

Milano, con la sua rete sociale intricata e il fascino che continua a resistere nonostante tutto, continua a esercitare il suo richiamo su schiere di persone che vi arrivano da tutte le parti del mondo. Tuttavia, attraverso le parole di Agostino, emerge la consapevolezza di una città che, mentre offre opportunità, impone rinunce concrete a chiunque decida di abbracciarne il suo ritmo assillante.

Com’era arrivare a Milano cinquant’anni fa

Le pareti di casa del signor Antonio sono piene di fotografie. Alcune di queste ritraggono i figli, altre i nipoti, altre un passato trascorso nella sua città d’origine, Villa Literno, in provincia di Caserta, di cui ormai gli resta solo il ricordo.

Sono passati 50 anni da quando fece le valigie e partì alla volta di Milano, già allora vista come terra delle opportunità e speranze, città traino dell’intera economia nazionale, dispensatrice di nuove mode e abitudini.

«Ho fatto tutti i lavori: il muratore, l’imbianchino, il tapparellista, ho lavorato anche in una società di trasporto di giornali. Ho fatto tutto. Prima c’era tanto lavoro».
Il capoluogo meneghino da sempre è risultato caro per i suoi abitanti. Dalle parole di Antonio ben si comprende come, anche 50 anni fa, a Milano tutto era impegnativo ma con successo, come se si andasse a lavoro con la consapevolezza di essere finalmente liberi di scegliere cosa fare e soprattutto chi essere.

«La mia prima casa qui l’ho pagata 142 milioni di lire. Per comprarla ho chiesto un mutuo da 80 milioni, che ho ripagato in 10 anni. Per questo anche mia moglie andava a lavorare, perché con uno stipendio non si riusciva. Ma oggi qui non è più come una volta. Se non ti piaceva il lavoro che facevi o venivi pagato poco, potevi permetterti anche di dirlo al tuo principale e licenziarti. Adesso, invece, comandano i proprietari delle aziende».

Per decenni Milano è stata simbolo di accoglienza, generosità e attenzione all’altro. Una volta si diceva “Milan con il coeur in man”, proprio per questa capacità di fare rete. «Anche ai miei tempi la maggior parte dei lavoratori qui erano tutti meridionali, ce ne erano pochi di milanesi», dice il signor Antonio.

Milano capitale morale

All’ombra di affitti arrivati alle stelle e un costo della vita sostenibile per pochi, che fine ha fatto la Milano con il cuore in mano? La professoressa Giovanna Rosa, docente di letteratura italiana contemporanea all’Università Statale di Milano, membro del comitato scientifico della MOD (Società italiana per lo studio della modernità letteraria), si è occupata molto del paradosso della civiltà ambrosiana.

«A differenza di Roma, capitale politica, Milano è capitale morale d’Italia. La città da sempre ha potuto vantare un paradigma di valori in cui si riconosce l’intera collettività ambrosiana, intendendo per collettività ambrosiana non soltanto i cittadini i meneghini e cioè quelli nati nella cerchia dei Navigli e della circonvallazione, ma anche tutti coloro che venendo da regioni vicine o lontane hanno acquisito il senso di cittadinanza. Si sentono, potremmo dire, più milanesi dei meneghini».

La professoressa Rosa, di fronte a noi, sfoglia le pagine de Il Corriere della Sera, poi alza lo sguardo e chiarisce il concetto con un esempio: «Chi scrive uno dei più bei manifesti della cultura ambrosiana è un napoletano: Eugenio Torelli Viollier, il primo direttore del Corriere. Viollier sa che se vuole diventare un professionista e lavorare all’interno di una dimensione di modernità deve venire a lavorare a Milano. È questa la forza del mito di capitale morale».

È proprio il mito, almeno in parte rilanciato da Expo 2015, che oggi sembra essere entrato in crisi. La difficoltà, per quelli che vengono in questa città, non è solo trovare casa, ma sentirsi ancora accolti e cioè assumere quel senso di cittadinanza e di ospitalità di cui parlava la professoressa Rosa, che sembrava essere il connettivo del mito.

Eugenio Torelli Viollier
Giornalista, fondatore e primo direttore de Il Corriere della Sera

«Nel passaggio tra Ottocento e Novecento, uno scrittore lamentava già che Milano diventava un po’ meno accogliente e adottava un titolo che è rimasto nella storia: Milanin Milanon, l’opera postuma di Emilio De Marchi. Gli intellettuali, quindi, denunciavano le contraddizioni, la difficoltà della civiltà ambrosiana, ma nel contempo sapevano di non poter vivere e lavorare se non a Milano».

«Il capoluogo – continua ancora la professoressa – è riuscito a conciliare Milanin e Milanon perché il suo modello di civiltà ha sempre conciliato il tessuto economico produttivo manifatturiero, cioè le fabbriche, accompagnandolo però a un’attenzione al consumo e alla capacità di adeguare i servizi alla cittadinanza». Cosa è successo alla fine dello scorso secolo?

«Milano sembra aver dirottato la capacità attrattiva non accogliendo professionisti e capitali per incrementare il suo tessuto produttivo di consumi, ma contando tutto sul turismo, cioè su un settore che non esiste nella tradizione. Se fondi la ricchezza di questa città solo sulle persone che vengono da fuori, si snatura quello che era l’Ethos del lavoro produttivo e cioè anche la moda, piuttosto che il design, le aziende, la stampa». A ciò si aggiunge un altro aspetto che, secondo la professoressa, oggi è entrato in crisi: «Milano è sempre stata una città europea, più che genericamente globale. Oggi è come se Milano facesse fatica a mantenere la propria identità all’interno di un orizzonte globalizzato».

Gli effetti della gentrificazione sulla cittadinanza

Tra riqualificazione e politiche abitative

Il quartiere Isola ne è esempio, tra mura ricoperte di graffiti, boutique e locali alla moda, anche questa zona negli ultimi anni ha vissuto gli effetti della gentrificazione arrivata dopo i progetti di riqualificazione urbana che queste strade, prima considerate fuori dal centro, hanno dovuto subire. Qui vive Lucia Tozzi, studiosa di politiche urbane e giornalista. La casa è luminosa e piena di libri, come ti aspetti sia quella di chi passa le giornate a leggere e ragionare sugli avvenimenti più importanti che modificano il corso della storia delle città. «Questa casa l’ho ereditata da mia nonna» dice mentre ci accoglie di mattino presto, «se no anch’io avrei fatto fatica a vivere a Milano ormai». Dopo un caffè fatto con la moka, come ogni buona napoletana che si rispetti, subito passa a spiegarci come e quando secondo lei è nato il “mito di Milano”. «L’Expo del 2015 è stato l’evento chiave», dice Tozzi., «Un successo costruito tra scandali e fallimenti, ma anche attraverso una comunicazione di massa che ha ridefinito l’immagine di Milano come una metropoli di successo».

Dagli anni che hanno preceduto Expo, continua «Il centro storico è stato dilatato, e la rigenerazione urbana ha abbracciato le periferie, ma non nel senso di migliorare la vita degli abitanti residenti», sottolinea Tozzi, chiarendo i problemi strutturali emersi durante la realizzazione dell’evento. «Ormai stiamo assistendo a una metamorfosi della cittadinanza, la classe dirigente vuole sostituire i veri abitanti di Milano con una popolazione più aperta nei valori, che non si lamenta, ma meno legata al passato», riflette Tozzi. «Milano diventa una città di consumatori, con una popolazione mobile e cosmopolita, ma questo cambiamento solleva interrogativi sulle conseguenze sociali di questa transizione».

Il prezzo di questo cambiamento, secondo l’urbanista, è il rischio di un’omologazione sociale a spese di chi già abitava nella città: «la classe dirigente milanese non ha nessun motivo di criticare il cambiamento qualunque esso sia, perché a loro interessa un tipo di cittadinanza che vive secondo la logica “lavoro-guadagno-spendo”. Poi continua, «La logica è: “se non mi piace più, me ne vado” e questa diventa una forma di consumismo abitativo, un’idea di vivere un po’ qua e un po’ là, una forma di consumo delle città che può essere una visione neoliberale dell’abitare».

Tozzi poi ragiona sugli effetti che può portare questo sistema nell’economia abitativa di Milano, «L’eventuale disagio, o il fallimento, inteso nel senso di malessere che puoi avere vivendo in un posto, è in parte da attribuire di nuovo a sé stessi e alla propria capacità di adattarsi. Ma anche alla propria incapacità di scegliere adeguatamente la città in cui vivere». E alla fine si è costretti, appunto, ad andare via. «Se le cose vanno male non dipende sempre dalla politica, ma anche perché io cittadino non ho avuto la capacità di vincere la mia sfida, oppure perché ho sbagliato. Non dovevo scegliere Milano».

Ma questo non era vero all’inizio. Non era vero quando Milano era al centro di una campagna mediatica che la “vendeva” come terra delle opportunità. Secondo Tozzi, questo è stato il frutto anche di una sorta di censura su tutti coloro che, attraverso la stampa, cercavano di denunciare gli aspetti critici del capoluogo. «C’era un periodo in cui la critica era possibile, ma nel tempo è stata soffocata da una comunicazione che ha restituito un’immagine perfetta di Milano. La classe dirigente locale ha costruito un mito, alimentato dall’egemonia dei media», sostiene Tozzi. Oggi Milano da “città cool” è tornata a essere la città “da odiare”: «Forse di nuovo si inizia a parlare in modo critico di Milano sulle pagine dei giornali. La scintilla di questa trasformazione mediatica potrebbe essere stata alimentata da una serie di fattori: l’evento Expo del 2015, che in passato aveva svolto un ruolo chiave nella costruzione di un’immagine positiva di Milano, sembra ora aver perso parte della sua forza. La situazione mondiale, caratterizzata dalla pandemia e da tensioni geopolitiche, ha creato un contesto in cui la perfezione è stata sfidata. Il cambiamento del racconto di Milano apre ad una riflessione critica sulla realtà, soprattutto dal punto di vista della sicurezza, un problema che viene denunciato ogni giorno sui social».

Il periodico “controllo dei media”, come lo definisce Tozzi, ha permesso una rappresentazione distorta della realtà milanese. L’emergenza sanitaria globale, in particolare, ha portato alla luce nuove problematiche e ha sollevato domande critiche sulla gestione della città. «Sfogliando le pagine dei giornali, Milano non è più presentata come un’entità impeccabile, ma sembra essere oggetto di una critica più aperta e sfaccettata», sottolinea Tozzi. Il mito costruito attorno alla città sta iniziando a sgretolarsi: «Siamo di fronte a un cambiamento cruciale e la direzione che prenderà la città dipenderà da come saprà affrontare queste sfide».

Il diritto a spostarsi confligge in maniera enorme con il diritto a restare

Lucia Tozzi

Urbanista

Stipendio medio

Reddito pro capite

%

Quanto dello stipendio medio viene speso in affitto?

Le cifre parlano chiaro: il reddito medio lordo a Milano è di circa 37mila euro pro capite, poco più alto rispetto al 2014 quando era 30.156 euro pro capite, con differenze significative tra le diverse aree della città. Ma questa disparità non sembra scoraggiare chi vuole arrivare in città. A Milano, inoltre, continuano ad aumentare gli stipendi, con un incremento del 5,5% rispetto all’anno precedente, ma solo per alcune categorie di lavoratori.

Le proiezioni di Randstad, multinazionale olandese specializzata in ricerca, selezione e formazione delle risorse umane, insieme alle informazioni di B&G, rivista specializzata in business e impresa, delineano un panorama lavorativo che valorizza i settori dell’IT e dell’AI (information technology e intelligenza artificiale). Anche lo sviluppatore web, come quello di information security analyst, vedono una crescita del 33%.

Ciò nonostante, il peso degli affitti è un problema che continua ad aumentare. A Milano, l’affitto medio rappresenta oltre il 50% dello stipendio medio, una percentuale nettamente superiore rispetto ad altre città europee. Questo fa sì che molti cittadini, nonostante gli stipendi in crescita, trovino difficile gestire le spese quotidiane.

In cinque anni, 204.000 persone hanno lasciato Milano, favorendo le aree limitrofe, mentre altre 240.000 ne sono arrivate. Nonostante il saldo migratorio, il comune di Milano continua a crescere, attrarre nuovi residenti e mantenere la sua posizione come uno dei principali centri economici e culturali d’Italia.

LA POPOLAZIONE CONTINUA A CRESCERE

Milano cambia volto: dal declino post-industriale alla metropoli cosmopolita

Il volto della città di Milano è cambiato radicalmente negli ultimi decenni, trasformandosi da un deserto post-industriale a una metropoli cosmopolita. L’ex Sindaco Gabriele Albertini, primo cittadino milanese dal 1997 al 2006, ha lasciato un’impronta indelebile su questa trasformazione, anticipandola e promuovendola. «Il nuovo volto di Milano non solo l’avevo previsto, ma l’avevo voluto», spiega Albertini. «Riqualificazione urbana vuol dire questo: incrementare il valore del territorio sotto vari profili, che riguardano anche il valore degli immobili, il valore dei servizi, l’insieme. La città, nella fase post industriale, era un deserto. Per fare un confronto, le macerie della Seconda Guerra Mondiale erano 3 milioni di metri quadrati, quelli del post industriale 11 milioni. Chiaramente non parliamo di macerie fisiche, perché gli immobili erano ancora in piedi, ma non c’erano più le fabbriche, non c’era più la realtà del Miracolo economico. L’abbiamo trasformata completamente, sapendo che avremmo di fatto attratto capitali e aumentato il suo valore».

La sua amministrazione ha puntato a trasformare Milano da una città manifatturiera a una città dei servizi, attirando investimenti e rinnovando intere aree in disuso. I progetti più iconici, come la trasformazione di Porta Nuova e di piazza Gae Aulenti o il complesso intervento di City Life mostrano come la pianificazione urbanistica abbia avuto un impatto economico significativo sull’intero sistema: «City life, Porta Nuova sono 11 milioni di metri quadrati di aree post industriali dismesse che sono diventate la nuova città. Sono stati calcolati quasi 40 miliardi di investimento su un territorio che è un settimo di Roma. Tutto questo ha portato al modello di città attrattiva: nel 2019 Milano ha ricevuto quasi mezzo milione di visitatori in più rispetto ad Expo. È il corrispettivo degli abitanti di una città come Bologna. Questo è quello che abbiamo voluto produrre».

Camminando per le strade del capoluogo, però, la sensazione che si avverte oggi è quella di una grande contraddizione: la città che cresce, “la città che sale”, grazie ai suoi grattacieli e grazie alle grandi operazioni immobiliari lascia a terra e quasi dimentica il patrimonio umano che abita ai piedi di quegli edifici. Milano ha voluto rincorrere il modello di città europea, imitando l’immagine di alcune grandi metropoli, ma allo stesso tempo questa corsa rischia di cambiare la sua stessa identità, cioè quella di una città profondamente legata alla tradizione del passato.

Secondo l’ex Sindaco, è compito di chi viene dopo, di chi ora amministra la città, affrontare gli effetti indesiderati dello sviluppo del marketing urbano. «Le scelte che ora dovranno essere fatte dovranno tenere conto della necessità di creare una dimensione adeguata ad ospitare anche persone che non sono solo i grandi capitalisti, come gli studenti e ceto medio. Dimensioni, quindi, che escono dal mercato, aiutate dal sistema pubblico nei nuovi piani di investimento, che consentano questa correzione di tiro».

«Sotto il profilo sindacale occorrerà sfatare il mito di quello che erano le gabbie salariali che non sono un’ingiustizia. Se in un luogo il valore del sistema del territorio è più alto, è giusto che un lavoratore guadagni di più a parità di servizio offerto». Nella gestione del territorio, per Albertini l’attuale amministrazione e in particolare il Sindaco Sala dà troppo ascolto a una componente della sua maggioranza che definisce i “Verdi talebani”.

«Su certe scelte strategiche, come la rigenerazione urbana, ci vogliono degli atti di coraggio. Anch’io ho avuto i problemi: c’erano i centri sociali che bloccavano l’inizio dei lavori a Porta Nuova, poi quando è tutto finito, lì ci hanno fatto il congresso del PD: il paradosso è che volevano impedire quello che è avvenuto e che poi, quando è successo, se ne sono impossessati come se fossero stati loro a farlo».

Cosa ne sarà di Milano e del suo mito tra 10 anni?