#MasterMiTo

Cinquanta riflessioni sul giornalismo di domani

Carta, web e sostenibilità economica: le future strade (obbligate) della professione

di | Mag 11, 2017

Come saranno i giornali tra 10 o 15 anni? Premessa fondamentale: dovranno essere sostenibili economicamente. Certo. Ma poi? Solo web, carta e web, addirittura solo carta? Dopo l’incontro ribattezzato #MasterMiTo, i trenta studenti della “Walter Tobagi” di Milano e i venti della “Giorgio Bocca” di Torino hanno immaginato in 15 righe il futuro del loro lavoro. Il risultato sono 50 brevi articoli che usciranno, a gruppi di cinque (in rigoroso ordine di consegna), ogni giorno per i prossimi dieci giorni. Buona lettura.

Fare meglio paga
di Andrea Fioravanti

Diversi, esclusivi e capaci di creare una comunità. Saranno così i giornali del futuro, quando avranno capito che ieri è già tardi. I lettori sanno (e sapranno) già cos’è successo. Non pagheranno chi li informa prima, ma meglio. Sopravviveranno i media capaci di approfondire, contestualizzare le storie, e prevedere cosa succederà. Il giornalismo del futuro non sarà carta o digitale ma carta e digitale. Tante piattaforme per un unico abbonamento a misura del portafoglio di lettore. Non solo articoli, webdoc, infografiche e video ma anche bot, dirette live nei profili social ed eventi speciali. Diversificare l’offerta e offrire al lettore un prodotto unico, di nicchia, adatto ai suoi bisogni.

Un paywall geolocalizzato
di Massimiliano Mattiello

Viviamo in una società egotica. Questa è la prima considerazione da fare analizzando il successo dei social network. Come si può conquistare l’ego degli utenti per aumentare i ricavi economici? Sfruttando il criterio di vicinanza, uno dei fattori di notiziabilità. Il modo migliore è restringere il campo d’azione dei quotidiani in vendita, incrementando il prezzo delle edizioni locali e lasciando gratuite le informazioni nazionali e generaliste. In questo modo si creerebbe un paywall geolocalizzato tramite il quale far pagare la notizia che riguarda una determinata città. L’idea inoltre non stravolgerebbe il sistema editoriale contemporaneo, cambierebbe soltanto il modello di ricavo. Aumentando anche la pubblicità che sarebbe targettizzata in modo da attrarre un pubblico suddiviso per località.  

Il futuro è lo storytelling
di Marta Facchini

Innovazione e sperimentazione. Il giornalismo è stato costretto a reinventarsi da sempre, molto prima dei numeri sulla crisi che oggi lo attraversa e che inizia da lontano. Reinvenzione e innovazione che continueranno a essere i suoi tratti distintivi. Perché, come ha scritto nel libro Out of print George Brock, professore di giornalismo presso la Scuola di Giornalismo della City University of London, la domanda di informazione non crolla. Fine dei quotidiani generalisti e di grandi dimensioni. Nel giornalismo che deve venire, la chiave di volta sarà l’approfondimento: storie, accurato lavoro di ricerca e longform. Un futuro fatto di storytelling. E questo nella forma di una narrazione multimediale. Audio, video, foto e parole. Tutto per i dispositivi mobili e pensato per offrire informazioni in modo chiaro, divulgativo e aperto. Al centro un’idea, sempre la stessa: essere indipendente e utile per i lettori.

Il giornale come missione, gli editori come mecenati
di Marco Gritti

Credo che l’unico modo per immaginarsi un giornale economicamente sostenibile, in grado di attrarre investimenti e lettori, capace di rispondere alle sfide aperte dai cambiamenti in corso in ambito sociale e tecnologico, sia quello di prendere come esempio le rivoluzioni che hanno riguardato negli ultimi anni altri settori. Ad esempio, quello del mercato dell’arte, che ha ripreso quota grazie al cambio di modello economico, oggi sostenuto anche da finanziamenti di mecenati, ovvero di personaggi miliardari che vedono nell’arte quasi una missione. Credo quindi che il giornale del futuro abbia la necessità di coniugare la propria vocazione sociale alla capacità di creare connessioni con persone che ne sostengano la causa. In questo modello è difficile scorgere negli editori tradizionali l’interlocutore in grado di offrire sostegno, perché espressione di interessi privati, economici e spesso politici. La necessità è dunque quella di intercettare altri soggetti, come ad esempio fondazioni o enti no profit, che perorino la causa del giornalismo. Per farlo, il giornale ha la necessità di rendersi interessante, slegato da interessi di parte, simbolo di servizio pubblico.

Il futuro del giornalismo? Sarà un’impresa
di Simone Disegni

Che cosa succederebbe se per una settimana i quotidiani di tutta Europa non uscissero in edicola, i loro siti web inaccessibili? Forse nelle piazze non ci sarebbero gare pubbliche di harakiri. Ma come liceali abbandonati dalla propria fiamma, i cittadini sentirebbero tutta la mancanza di un servizio tanto rilevante. La ragione è una soltanto, ed è che il giornalismo serve nella misura in cui informa, fa riflettere, fa conoscere. Persino nell’era dell’iper-comunicazione, insomma, la cronaca e l’approfondimento, se sono autorevoli, pagano. Eccola, la parola chiave. Nelle nostre società continuano ad esserci vaste fette di pubblico disposte a spendere, seppur una cifra contenuta, per avere un’informazione di qualità. Muteranno le piattaforme, dunque, si evolveranno i linguaggi e le forme della comunicazione. Ma la strada da seguire è una sola: da un lato mantenere alto, ed anzi elevare, il livello di qualità dell’informazione; dall’altro pretendere un pagamento, per quanto limitato, dei contenuti proposti: per rendere le aziende editoriali sostenibili, e per dare valore ad un lavoro tanto prezioso. Non c’è scampo: il giornalismo del futuro sarà un’impresa. In tutti i sensi.

In metro, in auto o in cuffia: il giornalismo del domani sarà ovunque
di Giovanna Pavesi

Avrà sempre addosso uno zaino. Investirà un po’ dei suoi soldi per gli attrezzi de mestiere: una telecamera professionale non troppo grande, un paio di cuffie per non perdere nessun dettaglio, un cavalletto e un microfono comprato da qualche parte, su internet, a poco prezzo. Tutto sarà la sua voce. I contenuti finiranno, quasi sicuramente, in un unico network. Probabilmente ci sarà chi ascolterà le sue parole prima di andare al lavoro. Perché domani il giornalismo vivrà così. Sarà scritto da freelance, sparsi ovunque sulla Terra. E sarà letto, osservato e ascoltato prima di andare all’università, magari in metropolitana, in auto o in cucina, mentre si prepara la cena. I giornali saranno bussole in grado di raccontare il mondo. Unirà più linguaggi, attraverso immagini, suoni e video. Servirà ad approfondire e le persone lo cercheranno ancora. Per comprendere, davvero, cosa sta accadendo fuori.

Il futuro del giornalismo è collaborazione con i lettori
di David Trangoni

Con il passare del tempo il nostro mestiere diventa sempre più semplice, ma anche sempre più difficile. Più semplice sia perché il pubblico ha sempre maggiore accesso ai dati della realtà e mezzi per essere sempre aggiornato su tutto, sia perché le nuove tecnologie permettono di sorpassare limiti di tempo e spazio. Questo, paradossalmente, è anche il problema di noi giornalisti, perché la nostra passione, unita al senso di responsabilità, ci obbliga ad alzare il livello qualitativo e quantitativo della professione: produrre di più e meglio. Quale futuro ha dunque il giornalismo? È passato da essere un mestiere per pochi, alle soglie con l’arte, a strumento potenzialmente manipolabile da ciascuno. Si devono necessariamente trovare nuove forma di collaborazione tra lettori e giornalisti, nuovi spazi di coinvolgimento per fare informazione accessibile e corretta. La parola d’ordine è condivisione.

Un setaccio per le bugie
di Francesco Bertolino

Sempre più notizie, sempre meno tempo. L’informazione ormai è dappertutto e in ogni momento. Ma nel flusso ininterrotto di news è diventato sempre più difficile distinguere il falso dal vero. In rete si trovano le tesi più strampalate: a volte fanno sorridere, a volte preoccupano. Ma chi rimprovera il popolo credulone dimentica che la disinformazione è vecchia (almeno) quanto il giornalismo. Ha solo cambiato vestito. Un tempo le notizie sgradite al potere si censuravano. Oggi si avvelenano le fonti a cui il lettore si abbevera: le gocce di verità vengono annacquate in un mare di bugie. Allora, il giornalista deve usare meno la penna e impugnare il setaccio. Inseguire le ultime notizie è inutile, anzi aumenta il rischio di farsi ingannare. Meglio prendersi più tempo per verificare i fatti, vagliare le fonti e studiare. Questo è il miglior servizio che il giornalismo può rendere al pubblico, e alla democrazia.

Il futuro del giornalismo sugli schermi
di Giorgia Gariboldi

Il giornale del futuro è sfogliato velocemente e poi accartocciato. È letto, sempre meno, da chi ha tempo e voglia. È impilato nelle edicole, invenduto. Il giornalismo del futuro è sugli schermi. In televisione, dove la cronaca diventa intrattenimento e la politica chiacchiera, dove l’analisi si trasforma in retroscena e il parere conta più della notizia. Dove, però, esiste anche il telegiornale: la gente lo guarda, lo ascolta e continuerà a farlo. Il giornalista del futuro, o chi per lui, arriva dove gli altri non arrivano, fa quello che gli altri non fanno. Le notizie sono, e sempre più saranno, alla portata di tutti. Dati, mappe e infografiche no. Di questo si occuperà il giornalista, meno parole e più immagini. Le notizie si leggeranno meno e si guarderanno di più, soprattutto si cliccheranno e si navigheranno. Arriveranno a noi, sugli smartphone, con i bot, gli alert e le App di messaggistica. Forse il giornalismo del futuro non sarà fatto da giornalisti ma nasce, oggi, nelle redazioni.

Fast Food a tre stelle
di Valerio Berra

Il flusso veloce di notizie sul web e quello lento sulle pagine di carta. Due stili diversi, un solo mestiere: giornalismo. Velocità e lentezza attraggono questa professione verso due poli opposti. Da una parte c’è il fast food dell’informazione: il flusso di notizie a cui ci ha abituati il web, le notifiche sempre pronte sullo smartphone e la pioggia di tweet che copre ogni evento. Arrivi, prendi un panino e vai. Dall’altra parte c’è l’osannata longform. Il giornalismo da tre stelle Michelin. Quello dei reportage e dei webdoc. Quello in cui lettore può fermarsi e sedersi a una tavola ben apparecchiata mentre il giornalista cucina le notizie con cura. Fast food e ristorante. Velocità e lentezza. Il dubbio per chi vuole mettersi ai fornelli è cosa scegliere. Se battere notizie sempre fresche per la folla o imparare ricette sofisticate per una élite di clienti. O forse tutte e due. MillenniuM, L’Espresso e Sette. Il ritorno alle riviste che stiamo vedendo fa pensare che possano nascere nuovi ristoranti. Giornali che lavorano sia sul flusso dei notizie che per prodotti di ampio respiro. Fast food di giorno, gourmet di sera.

Horror vacui
di Marco Procopio

«La maggior parte delle persone non crede nella verità, ma in ciò che desidera sia la verità. Per quanto questa gente possa tenere gli occhi bene aperti, in realtà non vede niente», scrive Haruki Murakami in 1Q84. Nell’epoca dei populismi e delle fake news, è di fronte alla cecità del mondo che il giornalista deve nuovamente rendersi indispensabile. Come? Rivendicando la necessità dei suoi strumenti, della sua professionalità, di un filtro alle ondate di informazioni che ci travolgono ogni giorno. Il medium non ha importanza: anche se il futuro non è di carta, soltanto il buon giornalismo possiede la giusta lente di ingrandimento capace di trovare, comprendere e avvicinarsi alla verità dei fatti. Serve però un rinnovamento radicale, di linguaggi, piattaforme, schemi comunicativi, che possano far avvicinare le nuove generazioni ad un’informazione di qualità. Il primo passo spetta agli editori. Ad oggi, quello che manca, è soltanto il coraggio.

Il futuro comincia dal presente: la fiducia dei lettori prima dei nuovi business models
di Valerio Barretta

Immaginarsi il futuro del giornalismo tra 15 anni è inutile. Le opzioni sono due: continuare a far finta di niente sulla crisi del quotidiano cartaceo, e allora i modelli di business rimarranno i soliti; oppure aprirsi totalmente al web, ma allora sarà impossibile prevedere gli sviluppi, perché la tecnologia e la nostra immaginazione corrono su due piste diverse. Prima di immaginarsi come sarà il futuro, o comunque contestualmente a questa domanda, bisogna chiedersi come migliorare il presente. È evidente che il lettore si fida sempre meno dell’informazione. Alla base di ogni modello di business, dunque, ci deve essere la quotidiana ricerca di ristabilire un rapporto di fiducia tra giornalista e lettore, come un innamorato che vuole riconquistare la sua ex ragazza dopo che lo ha lasciato. Solo quando il lettore tornerà a fidarsi del ruolo del giornalista, si potrà pensare di adottare con successo i modelli del futuro. Tra questi, il più affascinante e immaginabile è un giornale che si ispiri ai social network. Dialogico, interattivo, multimediale, con spazi di approfondimento (che – non si sa perché – paiono essere prerogativa della sola carta). La strada è stata già tracciata con i siti web dei quotidiani, che accolgono sempre più video, fotogallery e opinioni dei lettori. Resta l’ultimo passo: avere il coraggio di essere dichiaratamente social. E allora ben vengano Facebook Live, Instagram stories, Snapchat, senza perdere d’occhio il contenuto informativo. Perché il giornalismo non è morto, né morirà: ci saranno sempre storie da raccontare e un pubblico che le vorrà sentire. Cambia solo il modo di lavorare.

L’unico algoritmo affidabile? Il lettore
di Jacopo Bernardini

Il giornale del futuro non potrà essere, semplicemente, un giornale. Dovrà essere una testata che si fa brand, diversificando la propria offerta. Rimarrà la carta, fondamentale per selezionare, gerarchizzare e dare un orientamento ai lettori. Resisterà il desktop, per chi il pc continuerà ad usarlo, soprattutto dagli uffici. Ma sarà soprattutto mobile, perché ormai le notizie viaggiano sugli smartphone. Bisognerà utilizzare bene i social, senza però esserne dipendenti. Ma al di là dei canali di distribuzione, la testata del futuro dovrà la sua popolarità al coinvolgimento e alla fiducia che otterrà dai lettori. La cronaca, indispensabile, rimarrà al centro della narrazione quotidiana, ma sarà offrendo giornalismo di qualità ed esperienze esclusive alla propria comunità che le testate costruiranno la loro reputazione. E la loro fortuna economica. Perché se nell’era dell’informazione sarà sempre più facile sapere cosa succede ovunque-e-in-ogni-momento, continuerà a rimanere ben chiara una differenza: quella tra conoscere, e capire.

Non ho la sfera di cristallo, ma posso avere la professionalità
di Martina Pagani

Non lo so, qual è il futuro del giornalismo. Mi ci sono appena affacciata davvero, se non consideriamo qualche articolo su un settimanale di paese. Mi ci sono appena affacciata e ho già incontrato più persone che mi dicono che il giornalismo come lo conosco io è morto o sta morendo, rispetto a quelle che mi dicono che c’è speranza. Imparo a condurre un gr, a scrivere un pezzo di costume e uno di cronaca e a montare un video per il telegiornale. Ho imparato a fare mappe di dati, un tweet nel modo giusto e il SEO di un articolo su WordPress. Ho acquisito queste competenze, ma ancora non le ho per poter dire cosa ne sarà del giornalismo, per cui fate come me: credete a chi vi dice che il giornalismo sarà fatto di inchieste, dati dati dati e social. Armatevi se le cose sopra elencate non sono nelle vostre corde o saltate di gioia se sono il vostro pane quotidiano. Ma non chiedete a me cosa sarà il giornalismo del futuro, io sto ancora imparando.

Il futuro è ignoto e per questo bello, ma il giornalismo sia sempre “fact-based”
di Andrea Boeris

Addio carta. Giornali solo in versione digitale, fruibili attraverso il web su dispositivi mobili o su ciò che l’uomo ancora si inventerà. Andrà così? Possibile. Che poi, la realtà virtuale, e il suo sviluppo, dove ci porterà? Chi lo sa. Magari un giorno giornali, telegiornali e radiogiornali non esisteranno più come li conosciamo oggi e saranno fusi in un tutt’uno. Una piattaforma che ci porterà direttamente dentro ai fatti, come se li stessimo vivendo. E magari sarà un prodotto che un algoritmo costruirà su misura per noi, in base agli interessi di ciascuno. Prospettive pericolose forse, ma certamente anche affascinanti. Immaginare il giornale del futuro non è semplice. Se sapessimo ora come potrà essere tra decenni, faremmo gli indovini e non i giornalisti praticanti. Ma una cosa è certa: la funzione che ha il giornale, o meglio ancora il giornalismo, è insostituibile. La società non può fare a meno di chi riporta i fatti e lo fa per professione.

Fact checking e notizie sempre in tasca. A pagamento
di Manuela Gatti

Affidabile, disponibile ovunque e a pagamento. Così mi immagino il giornalismo del futuro. Affidabile perché il web ha stravolto e velocizzato all’inverosimile i ritmi della professione. La fretta di pubblicare per primi la notizia – non di arrivarci, ma di pubblicarla per primi – fa spesso perdere di vista l’importanza del fact checking. La necessità di far fare clic può portare a forzare i fatti, ingigantirli o raccontarli solo parzialmente, in modo da renderli più d’impatto. Tutte cose che, più o meno pericolosamente, stravolgono quella realtà che il giornalista è tenuto a raccontare. Disponibile ovunque perché il giornalismo è un servizio e, in quanto tale, deve essere fruibile nel modo più immediato possibile per il lettore. È importante che il linguaggio e il format delle notizie si adattino al supporto – carta, app, web – ma non bisogna lasciarsi andare alla psicosi da il-futuro-è-solo-online. Infine sì, a pagamento. Il lavoro – soprattutto se di qualità – deve essere pagato, e il giornalismo non fa eccezione. Paywall, abbonamenti, on demand: le strade sono tante. Bisogna solo cominciare a percorrerle. 

Il futuro dei giornali è in mano ai lettori
di Lucrezia Clemente

Il futuro dei giornali è legato a doppio filo con quello dei lettori. Per fare del buon giornalismo servono i fondi. Per avere un’informazione obiettiva è necessario anche che i fondi vengano da chi ha maggior interesse ad una stampa libera, i lettori. Oggi, la fiducia nei giornali è in crisi, ed è questo il nodo da sciogliere. Recuperare il rapporto con i lettori è precedente a qualunque soluzione di marketing che si possa trovare per rilanciare il giornale. Puntare sulla carta stampata o sul digitale può essere una strategia valida a risolvere il problema solo in superficie. Un’informazione di qualità che dia risalto ai fatti spiegandone il senso complessivo, è la chiave per ottenere credibilità agli occhi dei lettori, parallelamente ad un percorso educativo e scolastico che valorizzi i temi dell’attualità e della politica. Solo così sarà possibile restituire al giornale quel ruolo di preghiera laica del mattino, necessario non solo alla sopravvivenza di una stampa libera, ma anche di una democrazia libera.

Metti un “like” e condividi: la notizia si fa social
di Felice Florio

Prima dell’avvento di radio e tv, le notizie si leggevano sui quotidiani, una volta al giorno. Prima dell’avvento di internet, i canali h24 e i gr hanno esteso l’approvvigionamento di news nell’arco dell’intera giornata. Poi il cortocircuito: internet raggiungibile sempre e ovunque. Da quel momento lettori, ascoltatori e spettatori sono diventati tutt’uno con la notizia e i suoi fabbricatori: l’informazione diventa rete globale. Online. Così gli editori hanno cominciato a creare sempre più contenitori e meno contenuti. Sono gli utenti, sul web, a fare le notizie. Su questo principio si basa la fortuna dei social network. Ai costi di carta, radio e tv, oggi si preferisce puntare sull’interazione con l’utente online, gratis e “world wide”. L’informazione sta diventando sempre più dibattito. Un forum. Non si tratta solo di commentare un post. Si tratta di accettare la fine della completezza, della chiusura di un giornale. È l’era della notizia plastica, costantemente aggiornata, mossa, condivisa, commentata e arricchita dalla multimedialità.

Il giornalismo dovrà “dipendere” dai lettori
di Armando Torro

“Chi di voi vorrà fare il giornalista, si ricordi di scegliere il proprio padrone: il lettore”, è quello che raccomandò Indro Montanelli agli studenti dell’Università di Torino 20 anni fa. Un insegnamento che resterà sempre valido perché il pubblico esige e merita la correttezza e la qualità dell’informazione. Negli anni ’70 Montanelli era fiero che i finanziamenti su cui si reggeva il suo Giornale venissero dai lettori stessi, specie in un periodo in cui era fondamentale stampare per poter essere conosciuti. Oggi si sono moltiplicati i supporti a disposizione e probabilmente tra 15 anni si completerà la transizione verso il web in un sistema di concorrenza sempre più grande, in cui sarà fondamentale riconoscere una fonte non influenzata dagli interessi di editori e partiti politici, ma che guardi solo agli interessi dei lettori/cittadini. Che potranno dimostrare la loro fiducia sottoscrivendo gli abbonamenti in base alla loro frequenza di utilizzo.

Autorevolezza, ancora di salvezza del giornalismo liquido
di Giacomo Detomaso

È impossibile conoscere con precisione la ricetta vincente del giornalismo del futuro. Ci sono pochi dubbi, tuttavia, su quale sarà l’ingrediente fondamentale: l’autorevolezza. Un ingrediente antico, imprescindibile in ogni epoca del giornalismo, che sarà ancora più importante negli anni a venire. Anni in cui quello di giornale sarà un concetto sempre più “liquido”: assumerà forme diverse a seconda del mezzo, ma in ogni forma dovrà essere coerente ai valori della testata. Il cartaceo resisterà e sarà ancor più votato all’approfondimento dei fatti, con un’impaginazione accattivante e articoli più lunghi che sappiano risvegliare il piacere della lettura. Il sito internet avrà un ruolo centrale e dovrà riuscire meglio di oggi nella sfida di informare in rapidità senza cedere alle semplificazioni e al click facile. Dopo i visori per la realtà virtuale, la tecnologia partorirà nuovi mezzi di diffusione di contenuti: capire, e capire per primi, come utilizzarli nel giornalismo garantirà un discreto vantaggio competitivo. Al centro di questo sistema solare ci sarà il brand della testata. E a dargli forza, la sua autorevolezza.

Un webdoc per tutto
di Sara Del Dot

Quando si tratta di riflettere sul “giornalismo del futuro” non è possibile prescindere dal concetto di velocità e, dall’altra parte, di approfondimento. Ora che web e social hanno modificato completamente il modo di scrivere e soprattutto di fruire le notizie, il passo successivo potrebbe riguardare proprio un ritorno del lettore alla lentezza e, da parte del giornalista, una maggiore insistenza sull’approfondimento e sulla contestualizzazione, in circostanze che non necessitino dell’istantaneità delle breaking news. In questo sicuramente saranno fondamentali le nuove piattaforme web, o comunque la possibilità di redigere articoli in cui di mescolare varie forme espositive come la fotografia, il video, l’audio, pratica che già adesso si sta diffondendo a macchia d’olio. Forse in un futuro si troverà utile la possibilità di creare piccoli webdoc su ogni caso di cronaca, giudiziario, economico, seguito per diverso tempo, in modo tale da aiutare l’utente a ricomporre i pezzi, a ricordare e mantenerlo impresso, fornendogli gli strumenti per affrontare la lettura di casi simili in futuro. Sicuramente sarà dispendioso, in termini di costi e di tempo, ma magari si genereranno categorie professionali apposite.

Un brand oltre l’informazione
di Cristina Palazzo

La sfida più grande sarà uscire dal ruolo classico e divenire venditori di servizi approfittando della rivoluzione tecnologica in corso nel settore. Oltre a newsletter, puntare sulla nuova frontiera dei Bot per raggiungere immediatamente il pubblico e stupirlo, fornendo contenuti di qualità e ipertargetizzati: a livello economico, bisogna sperimentare nuove forme di monetizzazione (contenuti premium, vendita di singoli articoli o edizioni limitate) e di finanziamento come il crowdfunding, per legare il lettore alla missione editoriale. Il giornale deve essere identitario, rappresentare un territorio: andare oltre l’informazione significa radicarsi, offrire uno stile, una storia, un brand. Deve rendersi indispensabile. La redazione deve raccontare ma anche aprire le porte e accogliere il lettore, stimolando la partecipazione con spazi letterari e comunità di condivisione. Un approccio aperto e partecipato che deve essere messo in pratica anche nel dialogo continuo tra l’autore e il destinatario, da instaurare e coltivare oltre il prodotto editoriale.

Il giornalismo del futuro: Mediapart ci indica la strada
di Valentina Iorio

In un’epoca in cui le notizie arrivano ovunque i giornalisti servono ancora? Sì, perchè quelle notizie vanno verificate, integrate, approfondite e per fare questo non basterà l’algoritmo di Facebook. Saranno quindi la qualità e l’approfondimento a far sopravvivere il giornalismo, anche on-line. Perché ciò avvenga è necessario che i contenuti siano pagati. La formula migliore a mio parere è quella trovata dalla francese Mediapart che, puntando sulle grandi inchieste, è riuscita a ottenere un tale successo di abbonamenti da poter rinunciare alla pubblicità. La testata inoltre ha creato una vera comunità con gli utenti, che hanno uno spazio in cui possono intervenire. Questo è un altro elemento che bisognerà incrementare: la partecipazione del lettore, il che non significa scrivere solo ciò che il pubblico si aspetta, ma favorire il dibattito.

A ciascun lettore il suo giornale
di Lisa Di Giuseppe

Non è facile prevedere come scriveremo tra quindici anni. Le previsioni, in molte parti del mondo, non sono buone. Il punto debole, su questo sono tutti d’accordo, è la sostenibilità del modello del giornalismo che esiste ora: sono pochi gli introiti pubblicitari che si raccolgono sul web, dove circolano tanti utenti, mentre rimangono stabili quelli provenienti dalla carta, i cui acquirenti continuano a diminuire. Un prodotto sostenibile non può che adeguarsi a questa tendenza, come d’altra parte alcuni giornali stanno proponendo di fare già ora. Il futuro potrebbe vedere l’informazione generalista e le notizie più popolari a disposizione gratuitamente sul web, approfondimenti ed editoriali nell’edizione cartacea o digitale a pagamento. L’unica possibilità che il giornalismo con tutta la varietà di prodotti che copre oggi continui a esistere è una diversificazione di prodotti e di pubblico. Non tutti leggono le stesse cose. In questa maniera, sarebbe facile sfruttare da un lato la velocità tipica del consumo delle notizie online e dall’altro la profondità del long form, che può essere apprezzata appieno da un altro tipo di lettore.

Basta essere schiavi di Google! Il giornale di domani? Libero dai monopoli dell’hi-tech
di Mattia Guastafierro

Il giornale del futuro? Sarà libero dai monopoli di internet. Più che una previsione, un’utopia. L’informazione non sarà schiava degli algoritmi della Silicon Valley. Al contrario di quanto accade oggi. Se non sei indicizzato da Google, è come se non esistessi. Se non condividi i tuoi articoli su Facebook, nessuno li leggerà mai. Ma perchè il giornalismo deve dipendere dagli oligopoli tecnologici? La politica presto si accorgerà dell’accentramento di potere dell’aziende dell’hi-tech e della quasi totale assenza di contraddittorio. Google detiene l’88 % del traffico dei motori di ricerca, Facebook il 77 % del traffico delle reti social. La concorrenza sarà regolata: nuove aziende rosicchieranno le quote di mercato dei grandi colossi, sfidandoli apertamente. Le testate online potranno così “vendersi” e non darsi gratis ai motori di ricerca. «Google, vuoi il mio giornale tra le tue voci perché pensi sia autorevole? Offrimi più del tuo rivale». Ne beneficerà l’informazione. E la democrazia.

Cambieranno gli strumenti, ma non il giornalismo
di Giulia Dallagiovanna

Notizie diffuse sempre più velocemente e a costi ridotti. Sarà questo il giornalismo del futuro, che dovrà saper sfruttare appieno le possibilità offerte dai nuovi dispositivi e dal progresso tecnologico. Protagoniste le immagini, che riusciranno a trasmettere all’annoiato lettore in metropolitana un numero maggiore di informazioni rispetto a un pezzo scritto. Già adesso sono fotografie e filmati a raccontare gli sguardi persi nel vuoto dei bambini di Idlib colpiti dai gas tossici, o le devastazioni della serie di terremoti avvertiti in Centro Italia da agosto 2016 a gennaio 2017. Per i quotidiani, sarà l’online ad avere il sopravvento. Cresce infatti, soprattutto fra i più giovani, il numero dei lettori che s’informa direttamente attraverso i social network. Le testate dovranno quindi garantire siti costantemente aggiornati e articoli condivisi non appena pubblicati. Un aiuto al giornalista del presente che si trova di fronte a queste sfide è lo smartphone. Per il reporter del futuro verranno probabilmente progettati nuovi device. Ma se gli strumenti cambiano, il contenuto resterà invariato: correttezza delle informazioni, controllo delle fonti e approfondimento della notizia.

Contenuti e finanziamenti, le sfide dei “due giornali”
di Emanuele Granelli

Un giornale non può rimanere fermo mentre intorno il mondo cambia. Tra quindici anni, la carta e il digitale avranno necessariamente più chiare le strategie per sopravvivere di quanto non le abbiano ora. Da una parte, il giornale cartaceo prenderà sempre più le distanze da quello online, con contenuti d’approfondimento esclusivi, non rintracciabili nel mare magnum del web. Dall’altra, serviranno finanziamenti pubblici e fondi privati per compensare una raccolta pubblicitaria online non in grado di sostenere la crescita delle vendite di copie digitali (identiche al cartaceo) su smartphone o tablet. Infine, un auspicio: nel 2032 sarebbe bello non ritrovare più la cosiddetta “nota politica”, quel minestrone di dichiarazioni di leader e partiti e di interpretazioni della giornata che, oltre a trasmettere poco o nulla, quasi mai si traduce in immagini concrete. Sperando sia anche un modo per spingere la politica a cercare nuove forme di espressione. Il lettore/cittadino merita di più.

A.A.A. Cercasi interprete (giornalista)
di Giulia Riva

«Non esistono fatti, ma solo interpretazioni» scriveva Nietzsche nel 1887. Oggi il web pullula di fatti. Ci sono fatti e “fatti alternativi”, come Kellyanne Conway (consigliera di Trump) ha definito le bugie del Presidente americano sui partecipanti alla cerimonia d’insediamento. Quello che manca al lettore, forse, è un metodo per interpretarli. Qui entra in gioco il giornalismo: nel 2037 sarà ancora una professione se chi lo esercita – oltre a proporre notizie – si preoccuperà di spiegare come queste siano verificate e come potrebbero essere interpretate. Al giornalista si chiedono fatti, ma anche chiavi di lettura per orientarsi tra essi. Il professionista verifica e riporta la notizia, poi la interpreta in un contesto più ampio.  Ecco la forza delle newsletter: mettono ordine tra le tante notizie del giorno e le spiegano in poche righe, ma suggeriscono per ognuna anche un possibile approfondimento.

L’evoluzione nel giornalismo
di Raffaele Angius

Il giornalismo si muove e si replica su piattaforme che hanno caratteristiche tali da poterlo diffondere. Dalla carta ai blog, passando per i siti internet, i social network, i droni e gli smartphone. «Il problema è che ci sono “news” e ci sono “papers”, e sono due cose separate» come ha detto il padre di internet Vint Cerf. Noi lo stiamo imparando ora. Ciò che si muove e si moltiplica deve anche adattarsi, per preservare la sua funzione originale di informazione. Il giornalismo, nel futuro, dovrà sfidare l’indifferenza di un pubblico sempre più rivolto verso le notizie che non condizionano realmente la nostra vita e rimanere tuttavia sostenibile. Serviranno fondi privati e finanziamenti pubblici, ma anche la capacità di trovare nuovi metodi di raccontare informazioni che abbiano un impatto sulla salute della democrazia.

Il giornalismo del futuro deve sopravvalutare i propri lettori
di Nicola Baroni

Ci sono dei colleghi lusingati dal loro ruolo di osservatori in prima linea, col tempo introiettano l’idea di far parte di un gruppo di eletti, di essere dove tutti vorrebbero ma non possono. Non capiscono di avere invece ricevuto una delega dalla società per prestare un servizio che gli altri non vogliono fare, aspettando di trovarsi il prodotto finito (evitandosi il complesso percorso di apprendimento delle competenze tecniche per comunicarlo, contatto con le fonti, sgrezzatura della notizia, riassunto, ecc). Solo rendendoci conto di questo e depurandoci da snobberie e complessi di superiorità legati al nostro ruolo, noi giornalisti avremo un futuro. Non siamo gli unici legittimati a farlo, siamo gli unici che lo vogliono fare (questo perché gli altri, nessuno glielo dica, non sanno che fare il giornalista è sempre meglio che lavorare). Quindi, i giornalisti del futuro capiranno che non scrivono per dei decerebrati ma per lettori spesso più competenti di loro sui temi di cui si stanno occupando, che non hanno il compito di avvicinare alla lettura dei giornali quelli su cui il sistema educativo ha già fallito e che non possono quindi permettersi di dare al lettore il Buongiorno.

Digitali e iperconnessi, l’importante è arrivare (al cuore)
di Elena Zunino

Il giornalismo del futuro lo immagino soprattutto digitale (anche se una nicchia di carta, di certo, rimarrà). Un giornalismo fatto di contenuti intuitivi, interattivi, crossmediali: (s)nodi di una rete di contenuti connessi tra loro. Prodotti pronti al consumo, ad alta digeribilità. Ma non per questo di scarsa qualità. Anzi, è proprio nel mezzo della grande abbuffata dell’infotainement ad alto tasso di marketing che emergerà il bravo giornalista di domani: chi dall’overflow informativo saprà farci alzare la testa e portarci al cuore delle cose. Come riuscirci? Questo è il problema. Certamente sarà cruciale rimanere al passo con l’avanzata della frontiera tecnologica. Che sarà rapida e cambierà il paesaggio della comunicazione in modo radicale. Realismo, senza perdere di vista quello che, comunque, ci spinge a fare questo mestiere: il dovere – e il piacere – di raccontare il presente.

Disseppellite il cadavere
di Pasquale Massimo

Il giornalismo è morto. Siamo forse la generazione più sfortunata che si sia mai apprestata a svolgere questa professione. I giornali di carta non si vendono più, le notizia circolano liquide in rete e ciò che era uno dei ruoli più affascinanti del mondo – il corrispondente – è oramai superato. Detto ciò, la domanda sorge spontanea: perché, nonostante il tragico scenario, ci ostiniamo a voler diventare giornalisti? Difficile dare una risposta. Ognuno di noi ne avrebbe una diversa. Sta di fatto che, ciò che ci accomuna, è la sconsiderata idea di essere utili al prossimo raccontando il mondo che ci circonda. Per farlo, abbiamo bisogno di nuovi strumenti e competenze diverse rispetto ai nostri predecessori. Ci stiamo formando. Stiamo crescendo. Pronti a metterci al servizio di chiunque abbia voglia di raccontare una storia. Da parte vostra, invece, non resta che fare una cosa: darci una possibilità.

Giornalismo su commissione: se lo Stato e i lettori diventano i mecenati di domani
di Giulia Giacobini

Dimenticate le gerarchie, la carta, i click e soprattutto il quotidiano che dà le notizie in anteprima. A quello, penseranno i social network. Il giornalismo del futuro sarà lento e multimediale. I reporter si concentreranno sull’approfondimento dei fatti corredato da immagini, suoni ed esperienze a 360. A commissionarle e finanziarle sarà il lettore stesso. Ciò non significa che i giornalisti non potranno più prendere iniziativa. Se avranno delle idee interessanti, potranno sempre presentarle in un forum. Essendo pubblico, tutti potranno accedervi, leggere le discussioni e decidere di contribuire allo sviluppo di un potenziale articolo tramite il crowdfunding. Spariranno molte figure, comprese quelle dell’editore e del direttore. Alcuni le rimpiangeranno ma la nostalgia durerà poco. Giusto il tempo di capire che, eliminato il conflitto d’interessi, il giornalismo non risponderà che alla coscienza di chi lo fa e alle esigenze di chi lo fruisce.

Tornare a studiare: il giornalismo del futuro è nella credibilità
di Camilla Cupelli

“Il giornale di carta sta morendo”. “I giornalisti non servono più”. “I social network sono il futuro”. Chiunque frequenti il mondo del giornalismo si sarà sentito ripetere queste frasi più e più volte, in un mix di pessimismo e fiducia nei confronti delle nuove tecnologie. Il ragionamento sulle piattaforme come Facebook e Google è d’obbligo, ma il destino della carta non è affatto già scritto. Il nodo, forse, andrebbe cercato all’interno delle redazioni e non all’esterno. I budget sempre più ridotti e gli organici tagliati sono causa di un giornalismo sempre meno approfondito, sempre meno sul campo, sempre meno attento. I lettori, allora, si spostano dove le notizie sono ancora più veloci, e non si preoccupano del lavoro che c’è dietro, perché il mestiere ha perso di credibilità. Dedicare qualche energia in più a formare nuovi giornalisti, assumerli e pagarli per studiare le notizie prima di scriverle potrebbe forse essere la soluzione per salvare non solo la carta stampata, ma il giornalismo in generale.

Un giornalismo di livello e a più livelli
di Giovanni Marrucci

Un giornalismo a più livelli. O a più velocità, se vogliamo. Il quotidiano del futuro me lo immagino così, composto da più strati. Almeno tre: storie e notizie da conoscere a tutti i costi, approfondimenti e inchieste. Con la possibilità per ogni lettore di fermarsi al livello che preferisce, a seconda delle proprie esigenze e del tempo a disposizione. Anziché uno solo, il giornale di domani potrebbe avere costi diversi. Proviamo a dare i numeri: cinquanta centesimi per il prodotto base, un euro e mezzo per avere anche gli approfondimenti e tre per il pacchetto completo. Per sopravvivere il giornalismo non deve specchiarsi su se stesso, ma focalizzarsi sui lettori. Che alla lettura dedicano sempre meno tempo e alla carta preferiscono lo schermo dello smartphone. Per questo serve un prodotto su misura, dove il lettore possa trovare esattamente quello che cerca. Né di più, né di meno.

Il segreto è non cambiare
di Massimo Ferraro

Cambieranno ancora. Il supporto sul quale verrà diffuso. La pubblicità con la quale si finanzierà. I mezzi con i quali potrà produrre un’inchiesta. Ma il giornalismo continuerà a svolgere la sua funzione di controllo sul potere e divulgazione delle notizie. È da vent’anni che ci chiediamo come la tecnologia cambierà la professione del giornalista, ma dovremmo smettere di farlo. Oggi ci sono programmi con intelligenza artificiale in grado di scrivere buoni articoli, algoritmi che li selezionano e raggiungono lettori interessati, pubblicità targetizzata che li rende economicamente sostenibili. Non c’è un giornalismo del futuro, c’è il giornalismo di sempre. Fatto da giornalisti che scovano le notizie e svolgono un servizio per il cittadino, informandolo. La sfida, per i giornalisti, è saper utilizzare le innovazioni della tecnologia per fare il loro vecchio lavoro: verificare e divulgare.

Per sopravvivere i giornali dovranno imparare nuovi linguaggi
di Giuseppe Giordano

I quotidiani hanno un evidente problema di sintonia con il pubblico di giovani e giovanissimi. I giornalisti ospiti al master di Torino hanno detto agli studenti che una delle ragioni è l’età media delle redazioni, che non sono riuscite a rinnovarsi in un periodo di crisi. Non è soltanto un problema di forma della comunicazione: insomma non basta digitalizzarsi e usare i social network.  Il problema è, anche, di linguaggio e contenuti. Senza rinunciare alla qualità dei contenuti i giornali dovrebbero ragionare per target, ridistribuendo le risorse e articolando le proprie piattaforme online in una serie di siti satelliti, ognuno dei quali dedicato a un pubblico e a una o più tematiche. Ci sarebbe quindi la possibilità di sperimentare linguaggi e stili che in un contenitore generalista non potrebbero convivere. Immaginate, ad esempio, quanto stonerebbe un articolo scritto con il linguaggio di Vice in bella vista sul sito di Repubblica. Inoltre i giornali dovrebbero confrontarsi con un fenomeno molto diffuso tra i giovanissimi e quasi sconosciuto a tutti gli altri: gli youtuber collezionano milioni di visualizzazioni facendo informazione su videogiochi, film, fumetti. Cosa potrebbe imparare la stampa potrebbe da quel linguaggio?

Quattro parole d’ordine
di Gioele Anni

Comprensibile, approfondito, multimediale, interattivo. Il giornale del futuro avrà queste caratteristiche. Oggi tutti possono fare servizio informativo, grazie agli smartphone. I giornalisti, però, continueranno ad avere le capacità e il dovere di raccontare i fatti non solo per come accadono, ma offrendo al pubblico le chiavi corrette per interpretarli. Per fare questo, servono alcuni requisiti. Comprensibilità: sempre più dovremo fare lo sforzo di usare un linguaggio che arrivi a tutti. Approfondimento: i contenuti extra, le interviste, le analisi fattuali dovranno aiutare il lettore a ricostruire il quadro che sta dietro ogni singola notizia. Multimedialità: ogni testata dovrà integrare sempre più i vari linguaggi. E interattività: nell’epoca dei social network, gli utenti dovranno avere sempre più strumenti e stimoli per diventare protagonisti attivi del processo informativo.

Il futuro è dei giornali
di Giorgia Mecca

I giornali dovranno essere in grado di farsi comprare dai lettori del futuro, i giovani. Bisogna instaurare un dialogo con loro. Scrittori e cantanti morti nello scorso millennio sono lontani e il mondo è andato avanti. I ragazzi ascoltano Motta, TheGiornalisti, seguono gli youtuber. Occorre raccontare questo mondo. I giornali devono entrare in scuole medie e licei, con articoli chiari e snelli di servizio (spiegare argomenti poco comprensibili attraverso box esemplicativi e infografiche. Un esempio? I voucher lavoro), ma anche con long form curati in ogni dettaglio, per approfondire storie a livello globale. Scegliere un tema e raccontarlo sul sito attraverso mappe, numeri, leggi… Il design avrà un ruolo importante. Anche nel web gli articoli e le pagine devono essere disegnate per essere belle da vedere. E poi la multimedialità: dalle app radio con rassegna stampa (mattutina o serale) alle dirette Facebook, fino alle Instagram story in cui fare tutorial divertenti ma autorevoli per rendere comprensibili temi importanti e complessi, a partire da quelli economici e politici.

Il futuro del giornalismo? “Filtrato” dal passato
di Valentina Danesi

Il giornalista deve consumare la suola delle scarpe. Frase vecchia. Demodè. Spesso, o troppo spesso (chi lo sa?!), basta qualche telefonata per avere in poco tempo le informazioni che servono.  Verificarle è ancora più facile. Ma quindi le scarpe da consumare si possono buttare? Il giornalismo del futuro si farà a piedi nudi? Sì. No. Forse. La risposta va ben oltre la sfera di cristallo. Anche se il ruolo del giornalista è per certi versi simile a quello del veggente. E Internet ne ha accentuato i punti in comune. Si deve viaggiare in avanti nel tempo, a ritmi sempre più sostenuti, per anticipare il concorrente e offrire al lettore non solo certezze ma anche sviluppi futuri e inediti. Talvolta con il rischio di proporre pezzi vuoti purché nuovi. Certo non mancheranno tablet, pc e i social, ormai sovrani del web. Forse la rassegna stampa sarà postata sulle Instagram stories, Facebook migliorerà la qualità delle dirette e Twitter aprirà canali professionali sui cui seguire le notizie, sempre più stringate. Ma che ci siano più o meno caratteri, spazi o filtri uno non potrà mancare: anche il giornalismo del futuro sarà filtrato da chi consuma pensieri e idee. Scarpe comprese.

Ritorno al futuro
di Daniele Polidoro

Qual è il futuro del giornalismo? Ce lo chiediamo tutti i giorni, in tutte le redazioni, ne discutiamo in convegni e incontri, cerchiamo di trovarlo un po’ ovunque con sperimentazioni e nuove idee. Tutto ciò però non basta: per far sì che il giornalismo abbia un futuro, bisogna continuare a fare giornalismo. Più che farsi delle domande, bisogna tornare a farle, le domande. Il giornalismo deve tornare in mezzo alla gente, capire le sensibilità, percepire gli umori, ma non può sempre farlo affidandosi alla matematica e alla statistica dei sondaggi. Come si è visto, non funziona. Riavvicinare il lettore è la priorità, certo, ma tenendo fede ai valori di lealtà e buona fede che sono le colonne portanti della professione. D’altronde fare giornalismo significa fare un servizio. Ecco, bisognerà tornare a servire il lettore con semplicità e chiarezza. Senza prendere (e prendersi) in giro nessuno: non è certo con gattini e micetti che si può fare un servizio utile.

Il giornale non si scrive dal desk
di Romolo Tosiani

Le transizioni spaventano, il giornalismo cartaceo e digitale si trova incagliato in un punto di svolta. Senza la stampa quotidiana dei giornali che avviene ogni notte, la professione sarebbe già sepolta da tempo. Rendere sostenibile il comparto online è una sfida complicata e tuttora irrisolta. Come reagire in un mondo stravolto dalle innovazioni digitali? Gli esperimenti di alcuni grandi giornali con il modello freemium non hanno cambiato la situazione, il giornale cartaceo deve approfondire la realtà e invogliare il lettore all’acquisto. Per competere in un mondo globale, un lancio di agenzia non può sostituire un inviato sul posto. Nella nuova era del giornalismo digitale, la figura del corrispondente deve essere protagonista delle redazioni. Il lavoro sul campo è una delle poche risposte allo sgretolamento della professione, non basta un tweet annoiato dalla conferenza stampa di turno.

L’informazione che voglio, sempre con me
di Federico Turrisi

Il successo di piattaforme in grado di offrire contenuti on demand – come Netflix per intenderci – dovrebbe fare riflettere. La possibilità di fruire di un determinato prodotto dove e quando ci pare sta rivoluzionando la televisione. E se si provasse a estendere questo discorso al giornalismo? Offrire all’utente la possibilità di scegliere quali contenuti leggere, mantenerli sempre a sua disposizione (anche offline), confezionare elaborati di qualità, segnalare novità e aggiornamenti in base alle preferenze che ha espresso, il tutto possibilmente a portata di app: per vendere il prodotto giornalistico bisogna partire dalla user experience e individuare un target fidelizzato, disposto a pagare per tale servizio. È in parte il ruolo che già svolgono le newsletter; si tratta di sviluppare e rendere ancora più efficiente questo modello.

Quel mestiere chiamato giornalismo
di Martina Meoli

“Questo è un mestiere difficile, e ogni giorno impone una scelta: credo di aver fatto un giornale pulito, un giornale onesto e qualche volta, forse, sono riuscito a realizzare un buon giornale. In fondo, questa è la mia più viva aspirazione”. Era il 1960 quando Enzo Biagi scriveva l’ultimo editoriale sul settimanale “Epoca”. A distanza di quasi sessant’anni il futuro del giornalismo sembra incerto. Ci affidiamo all’online, approfondiamo sulla carta stampata, abbiamo bisogno dei social. L’informazione passa attraverso contenitori diversi, cambia forma, si differenzia per completarsi. Il lettore è l’utente da colpire e attirare sul proprio sito, prima che sia catturato dal web; è il cliente da invogliare nell’acquisto di un prodotto come il giornale, scelto per affezione: è il destinatario di notizie consumate rapidamente su Facebook e suggerite in base a preferenze personalizzate. Il giornalista è spesso il ritaglio di tempo di chi legge, non sempre la sua scelta consapevole. Qual è la prospettiva plausibile? La ricerca di un contenuto credibile, non di un nuovo mezzo. L’onestà intellettuale, il metodo, il rigore dell’indagine giornalistica rimangono ancora le novità più convincenti del mestiere. Quando il lettore tornerà ad affidarsi alle nostre parole, allora saremo i giornalisti del futuro.

Giornali 2.0: corsa digitale e collezionismo cartaceo
di Lorenzo Nicolao

La tecnologia ha permesso al giornalismo di stare al passo con le notizie, l’economia non ancora. Nella crisi dell’informazione, il passaggio dalla carta al digitale è netto. Il giornale del futuro si arricchirà ogni minuto di video, foto e ultim’ora esattamente come le homepage dei social network. Le news saranno sulle app delle testate, fruibili con abbonamenti digitali. Tablet e smartphone sono strumenti di monopolio, ma la carta non morirà: sport o politica che sia, alcune notizie certi giorni “pesano” più di altre. Un cartaceo da affiancare al quotidiano digitale sarà apprezzato da collezionisti affezionati ai loro temi di interesse. Il modello “social media” caratterizzerà il giornalismo post crisi. Aggiornamenti e partecipazione, questo il business di professionisti dell’informazione armonizzatori del flusso digitale e creatori di un cartaceo elitario per gli appassionati.

La qualità è il salvagente del giornalismo
di Ambra Orengo

Una speranza forse più che una previsione, è l’idea che la vera rivoluzione nel mondo del giornalismo si avrà con un trasferimento della qualità oggi riservata alla carta a tutti i mezzi di cui la professione dispone. Oggi prevale l’idea che, mentre su un supporto cartaceo, fisico, materiale il contenuto debba essere curato nei particolari e di qualità, sul web e su tutti i suoi supporti digitali, l’informazione sia talmente rapida, mutevole, instabile da non meritare un eccesso di attenzione. I giornalisti del futuro, nativi digitali (o quasi), capiranno la necessità di riservare la stessa cura data oggi alla carta al contenuto web. Informazioni, fonti, ortografia, chiarezza, completezza. Farlo sarà fondamentale perché il giornalismo non rimanga indietro, schiacciato da un’evoluzione tecnologica inarrestabile. Si tornerà a pagare l’informazione (digitale e non, sopravvissute entrambe a questi anni di limbo) perché considerata, di nuovo, all’altezza.

Qualità – Carta + Internet = Soldi
di Corinna Mori

A fine giornata il quotidiano di carta è stato sfogliato appena e la sensazione è di aver sprecato i soldi; ma sono quelli che mantengono un online gratuito. Perché non mettere allora le due versioni, cartacea e digitale (giornaliera/mensile/annuale), allo stesso prezzo. Ci vorrebbe un accordo fra le principali testate, un’ipotesi difficile ma non impossibile: un lavoro di qualità può chiedere di esser pagato. “La gente non ha voglia di leggere”: forse, che non abbia tempo per quasi 50 pagine, però, è comprensibile. Si pensi a una versione ridotta di formato e fogli. Online lo spazio non manca e i professionisti possono aggiungere video, mappe, grafici interattivi. Tornino correttori di bozze e inviati all’estero (in parte potrebbero essere assunti direttamente nei Paesi di interesse: visione interna e stipendi contenuti). Per acquistare l’online? Basta un sms, come per il bus a Firenze.

Maiuscolo e minuscolo
di Giulia Virzì

E se ci fossero due tipi di giornalismo nel futuro, nei prossimi dieci, quindici anni? Voglio dire un giornalismo con la G maiuscola e un con la g minuscola. Che non vuol dire per forza che il primo sia meglio del secondo. Sarebbero semplicemente diversi. Il giornalismo con la G maiuscola sarebbe quello delle inchieste, il nobile cane da guardia che è sempre (o quasi sempre) stata la professione. Watergate e Spotlight, per intenderci. Sarebbe poi il giornalismo della cronaca e delle analisi tecniche per capirci qualcosa di come gira il mondo. Il giornalismo con la g minuscola sarebbe invece il giornalismo dei programmi di infotainment, delle serie tv true-crime, dei podcast e della gamification. Un giornalismo narrativo, davvero multimediale e di massa. Meno rigoroso forse, ma coinvolgente, divertente, appassionante. Un giornalismo che in effetti già esiste, che aspetta solo di essere riconosciuto come tale.

Un codice come lente d’ingrandimento per le news: ecco il giornale multimediale
di Federico Parodi

Niente carta nel giornalismo del futuro: l’informazione si sta avvicinando a piccoli passi verso il definitivo salto nel mondo del digitale. Ma come potranno sopravvivere in questo modo i giornali? Sul web ci saranno solo notizie brevi ed essenziali. Per gli approfondimenti si dovrà acquistare un codice cliente, utilizzabile da un singolo individuo e su un unico dispositivo – non come oggi, che user e password sono riciclati da mamme, papà, fratelli, sorelle e cugini -. Con questa chiave d’accesso si potrà “sfogliare” su tutte le nuove piattaforme il proprio giornale multimediale, con fotogallery, video, interviste e articoli di commento per ogni news. Il lettore si farà così una domanda fondamentale: saranno sufficienti quattro o cinque righe per conoscere un fatto o converrà sottoscrivere la versione Premium?

Un futuro presente
di Francesco Caligaris

Il giornale del futuro è un quotidiano con commenti sulla politica, “spiegoni” di economia e retroscena di cronaca che in un mese vende oltre 280 mila copie tra carta e digitale: esiste già e si chiama Corriere della Sera. Il giornale del futuro è anche un settimanale che raccoglie il meglio degli articoli usciti sulla stampa del resto del mondo e ha un abbonato ogni due lettori e mezzo: pure questo esiste già e si chiama Internazionale. Il giornale del futuro, poi, ogni due mesi mescola saggiamente calcio e cultura e nel suo primo anno di vita chiude il bilancio in «sostanziale pareggio»: esatto, è Rivista Undici, avete indovinato. Il giornale del futuro sarà come il mondo del futuro: in perenne rincorsa dietro i bisogni delle persone. Ma i lettori del 2032 non saranno così diversi da quelli del 2017, perché quelli del 2017 hanno seguito a ruota quelli del 2002. E se il futuro fosse adesso?