BESTIA O POCHETTE?

Con l'Italia in quarantena, la politica si fa sui social Durante il lockdown si affermano due modelli di comunicazione: il bipolarismo Salvini - Conte detta la linea a tutti gli altri

di Riccardo Congiu Giacomo Salvini

Se è vero che le piazze più effervescenti, ormai, sono quelle virtuali, la quarantena forzata da Covid-19 le ha trasformate nell’unico spazio dove “assembrarsi” non è reato. Balconi digitali con vista sulle vicende degli altri, prima relegati solo alla leggerezza del tempo libero, sono diventati corridoi obbligati per le informazioni. Nei momenti più incerti della pandemia, Governo e istituzioni li hanno usati per dettare la linea al Paese. E la politica non è stata da meno, sostituendo i comizi con le dirette social. 

Attività dei principali politici italiani a marzo (fonte: FanPage Karma)

La quarantena ha visto il boomerang del sindaco di Milano Giuseppe Sala e del segretario del Pd Nicola Zingaretti, che prima del lockdown invitavano i cittadini a uscire con tanto di foto di aperitivi e birre sui Navigli milanesi. Ma anche le intemerate di Matteo Salvini per «riaprire tutto», poi per «chiudere tutto» e infine per «riaprire», sì, «ma solo un po’». E il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che prende la linea da Palazzo Chigi nelle notti di sabato sera, in ritardo sugli orari programmati, per annunciare a tutti che il Paese è chiuso, a doppia mandata. E ancora la Lega che per protesta occupa per una notte la Camera e il Senato documentando tutto con dirette Instagram: eccolo, l’Aventino del terzo millennio. Una cosa è certa: durante la quarantena obbligata, la piazza virtuale è diventata il mezzo ufficiale per dettare l’agenda politica.

GIUSEPPE CONTE E SERGIO MATTARELLA:
DECISIONISTI DALLO STILE ISTITUZIONALE

Su questo nuovo terreno la distanza con i cittadini si annulla, s’infrangono le barriere del politicamente corretto e sfumano persino i confini di un istituto giuridico come il silenzio elettorale. Ma non a tutti i politici conviene usare i social a proprio piacimento. Il politologo dell’Università di Firenze Marco Tarchi spiega come in quest’ultimo periodo sia stato vincente per i «decisionisti» l’utilizzo di uno stile «istituzionale». Soprattutto se nel bel mezzo della crisi sanitaria più grave dai tempi del Dopoguerra: la comunicazione rassicurante vince sull’allarmismo, sul complotto, sull’indurre a pensare che vada tutto male. Così è stato, in Italia. E a spiccare nella comunicazione politica sono stati soprattutto due: il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il primo fino a due anni fa era un professore universitario di diritto privato con nessuna esperienza politica alle spalle e dopo aver governato il Paese con la maggioranza gialloverde (Lega e M5S), ha formato un nuovo esecutivo M5S-Pd che dopo pochi mesi si è trovato ad affrontare il Covid-19. Conte è stato costretto a prendere misure drastiche – dalle prime “zone rosse” in Lombardia al lockdown totale di tutta Italia – ma lo ha fatto sempre con uno stile istituzionale e un modo di utilizzare i mezzi di comunicazione più tradizionale: dirette Facebook sì, ma sempre collegate a conferenze stampa e dirette televisive. 

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Persino durante l’emergenza il premier non ha fatto un uso massiccio dei social e, a differenza di altri leader come Matteo Salvini, non ha chiesto costantemente al pubblico di schierarsi da una parte o dall’altra. Intanto è passato da 1 a 3 milioni di followers su facebook in meno di un mese e mezzo, una crescita irripetibile dettata dalla reale necessità degli italiani di seguirne i movimenti e le indicazioni. Ma sembra che la sua strategia stia funzionando anche a livello di consenso: gli ultimi sondaggi lo vedono in testa alla classifica dei leader più amati dagli italiani, con il 68% dei consensi secondo l’ultimo “Barometro” dell’Istituto Piepoli dell’8 aprile, e superiore di un punto anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Non è affatto scontato, in una situazione che potrebbe provocargli parecchie inimicizie per la necessità di prendere decisioni impopolari (lockdown forzato, chiusura di tutte le imprese). Per conferme, chiedere a Mario Monti. Da qui a dire che il consenso si trasformerà in voti reali ce ne passa, visto che il fenomeno del rally round the flag (stringersi intorno al governo in momenti di crisi) è piuttosto comune nei Paesi occidentali.

Conte: post per giorno (facebook)

Fonte: FanPage Karma

Chi non cerca voti né consensi è il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ma anche a lui la quarantena ha richiesto di comunicare più del solito. A 78 anni, Facebook non l’ha mai avuto: non è nelle sue corde. Però su Twitter e Instagram esiste il profilo “Quirinale”, che è della Presidenza della Repubblica e non personale, perché se ne intenda chiaramente l’istituzionalità. Un’assenza-presenza che rispecchia il ruolo: quando c’è, vuol dire che è importante. E se non è importante, fa ancora più rumore. Lo scorso 27 marzo, per esempio, è diventato virale un contenuto che l’ufficio stampa del Quirinale aveva inviato per errore ai media, con alcuni fuori onda del Presidente della Repubblica durante un discorso ai cittadini sull’emergenza coronavirus.

Mentre parla, Mattarella s’interrompe per schiarirsi la gola e prima di ricominciare, si sente il portavoce Giovanni Grasso che gli fa notare un «ciuffetto» di capelli fuori posto, invitandolo a sistemarsi. Il Presidente sorride e si lascia scappare: «eh, Giovanni, non vado dal barbiere neanche io», con una cadenza che tradisce più del solito la provenienza palermitana. Non era concepito per Facebook o Twitter, ma ci è finito lo stesso, perché il pubblico ha apprezzato e ha cominciato a rilanciarlo. Morale: Mattarella funziona sui social anche se non c’è. Le sue regole sono diverse per via del ruolo che ricopre, ma se serve sa farsi sentire. Lo ha fatto il 12 marzo dopo la riunione dei governatori della Banca Centrale Europea, in cui la presidente Christine Lagarde aveva dichiarato: «Non siamo qui per ridurre gli spread, non è questo il compito della Bce». La frase aveva provocato una caduta decisa dei mercati azionari, in particolare quello italiano (-16,9%), e un significativo aumento dello spread (attestatosi a quota 260 alla fine di una giornata con picchi anche più preoccupanti). La reazione di Mattarella su Twitter fu quasi immediata. E necessaria:

Un messaggio netto ma non oltraggioso. Nei giorni successivi Lagarde aveva poi lanciato il quantitative easing da 750 miliardi, con tanto di precisazione: «Non ci sarà alcun limite per salvare l’euro». E lo spread si era abbassato. Salvini e Conte avevano entrambi valutato positivamente la misura della Bce, ognuno a modo suo: il primo trasformandola in un pretesto di scontro di politica interna, il secondo complimentandosi. Tutta la distanza della strategia comunicativa

LEADER POLITICI, TRA SOVRAESPOSIZIONE MEDIATICA
E QUALCHE AZZARDO DI TROPPO

Una cosa in comune però i leader politici e quelli istituzionali ce l’hanno: la sovraesposizione mediatica, imposta dalla quarantena (più potenziali follower) e dall’assenza di luoghi pubblici (le piazze, il Parlamento…) dove impostare l’agenda politica. Seppur con modalità diverse – uno stile più «istituzionale» per Conte e Mattarella, uno più da quivis de populo, da persona comune, per i leader di partito – tutte le figure politiche più note hanno utilizzato i social network per comunicare direttamente con gli elettori. E in un contesto che richiederebbe più cautela del solito come quello di una pandemia, ci sono stati casi in cui la voglia di esporsi al pubblico ha avuto effetti comunicativi controproducenti. Con i relativi passi indietro, ma non sempre. C’è stato il post su Facebook del segretario Pd, Nicola Zingaretti, che per ritrovare un po’ di “normalità” a fine febbraio aveva deciso di farsi un brindisi con i giovani democratici sui Navigli, per poi scoprire, due settimane dopo, di essere positivo al coronavirus e obbligato alla quarantena. Lo stesso concetto in quel periodo aveva ribadito a più riprese Matteo Salvini, che il 27 febbraio, dopo essersi fatto un giro in una Milano spettrale, azzardava: «Riaprire! Riaprire tutto quello che si può riaprire. Riaprire per rilanciare fabbriche, negozi, musei, gallerie, palestre, discoteche, bar, ristoranti, centri commerciali». Un mese dopo, il 26 marzo, il leader della Lega sarà costretto ad ammettere l’errore a Piazza Pulita.

Oppure Giorgia Meloni, che in un articolato impeto anti-europeista aveva risposto a caldo alla frase sugli spread della presidente Bce Christine Lagarde: Francia e Germania – diceva – stanno utilizzando la crisi del coronavirus «per spolpare l’Italia». Lo aveva chiamato «il mio j’accuse», era il 14 marzo. Poi Lagarde smentisce nei fatti la possibilità di un complotto anti-italiano col quantitative easing da 750 miliardi. Ritratta del tutto, lo spread cala, e la stessa Meloni commenta: «Ben svegliati». Ma il j’accuse è rimasto lì, fissato in alto nella sua bacheca facebook fino a metà aprile. Ed è il post che ha ricevuto più interazioni (risposte, condivisioni, ecc) tra tutti quelli dei principali politici italiani nel mese di marzo.

I 10 post con più interazioni del mese di marzo (fonte: FanPage Karma)

MATTEO & MATTEO:
DALLE POLEMICHE ALLA COLLABORAZIONE

La contrapposizione era già presente nella politica italiana ma la crisi legata al Covid-19 l’ha resa emblematica: se da una parte c’è l’opposizione dura e “gridata” di Salvini e Meloni via web, dall’altra abbiamo la sobrietà istituzionale di Giuseppe Conte richiesta dalle contingenze, una novità sui social. La prima mette sul piatto argomenti divisivi per creare una forte polarizzazione sui temi, in modo che il pubblico scelga sempre da che parte stare. Così si stringe intorno al suo leader politico, formando una comunità molto agguerrita. Sono in sintesi le regole della “comunicazione populista” (spiegate bene nel saggio di Roberta Bracciale e Antonio Martella “Define the populist communication style: the case of the Italian political leaders on Twitter”). La seconda invece potremmo definirla “istituzionale”, più pacata e resa emblematica anche dalla cornice della comunicazione: non il terrazzo del Viminale ma la scrivania di Palazzo Chigi, per intenderci. E’ stato lo stile utilizzato dall’inizio della crisi (ma anche da prima) dal premier Conte, seppur guidato da un teorico dei social à la Salvini come Rocco Casalino.  Ma in un momento di emergenza, di crisi sanitaria nazionale in cui il Paese avanza con una media 600 morti al giorno, è la seconda strategia comunicativa a pagare: «Analizzando la comunicazione di Matteo Salvini tra fine febbraio e inizio marzo dobbiamo individuare due momenti fondamentali – spiega Lorenzo Pregliasco, fondatore di Youtrend che nei mesi scorsi ha studiato la comunicazione del leader del Carroccio arrivando a scriverci un libro – la prima fase è stata quella dell’attacco costante nei confronti del premier Conte e del governo per la gestione della crisi (ricordatevi l’hashtag #Contedimettiti), poi quando si è accorto che non gli faceva gioco e serviva uno spirito collaborativo ha “tolto la felpa” e si è messo in giacca e cravatta, presentando proposte concrete per il Paese. Basti pensare che è andato più volte, insieme agli altri leader del centrodestra, a parlare con Conte ma anche con Mattarella. Di nuovo, da fine marzo in poi ha ripreso a criticare aspramente l’esecutivo, ma in questo caso c’è un obiettivo preciso: sente la pressione di Conte sulle regioni del Nord, tutte governate dalla Lega, e quindi non può fare altrimenti. Però intanto i sondaggi non sono positivi e questo dimostra che la strategia dell’urlo e dei selfie su facebook non funziona sempre: adesso la Lega è data sotto il 30%». 

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Ha dovuto cambiare approccio in corsa anche l’altro Matteo, Renzi, che è abituato a stare sugli schermi. E dopo un febbraio turbolento, in cui aveva minato le certezze della maggioranza, ha assunto un atteggiamento diverso: «Per buona parte di marzo Renzi ha comunicato pochissimo – racconta Filippo Sensi, oggi deputato Pd ma dal 2014 al 2016 suo portavoce a Palazzo Chigi – poi da fine marzo ha ricominciato a parlare, ma in chiave costruttiva: preferisce glissare sugli errori del governo e delle Regioni e si concentra sulle proposte concrete per far “ripartire il Paese”, come dice lui».

«Adesso la Lega è data sotto il 30%: la strategia dell’urlo e dei selfie su facebook non funziona sempre»

Lorenzo Pregliasco

Direttore di YouTrend

È stato proprio Renzi, con un’intervista al quotidiano Avvenire, a introdurre il tema della cosiddetta “fase due” nell’agenda politica, argomento caro anche all’altro “Matteo” da inizio aprile: «Ma c’è una netta differenza tra lui e Salvini – continua Sensi – È vero che Renzi è stato il primo a fare le dirette Facebook e Periscope (ricordate il #MatteoRisponde? ndr), ma non li paragonerei. Salvini dietro di sé ha una “Bestia”, un team di 20 persone che fanno il lavoro per lui e a lui frega solo di quello: di comunicare la cosa che in quel momento può portargli più voti. Indipendentemente da quale sia la coerenza con le sue idee passate» Sensi fa anche degli esempi concreti: «Le posizioni di Salvini sull’Europa cambiano di continuo a seconda degli umori, oppure sulla giustizia (una volta è garantista, una volta grida tutti dentro). Ma basta pensare all’essenza della Lega, che adesso non vede più i meridionali come “terroni” e vuole conquistare tutta Italia. Renzi è molto diverso: non gli importa di dire cose impopolari». Come il famoso “#BastaUnSì” che tanti “nemici” gli ha procurato: «Si è dimesso da premier per un referendum sulla Costituzione e ha commesso molti errori anche perché in realtà è molto più impulsivo di quanto si pensi. La sua strategia è: “purché se ne parli”».

Salvini: post per giorno (facebook)

Fonte: FanPage Karma

LUCA ZAIA E ATTILIO FONTANA: LE DUE LEGHE DEL NORD

In tempi di crisi, quindi, l’istituzionalità funziona meglio. Ma ci sono modi diversi di interpretarla, persino all’interno di uno stesso partito: la gestione dell’emergenza dei due governatori leghisti – Luca Zaia in Veneto e Attilio Fontana in Lombardia – ha fatto emergere due figure politiche più distanti di quanto si pensasse. «A parte la gaffe sui cinesi che mangiano i topi – conclude Pregliasco – è indubbio che Zaia stia infondendo molta più fiducia rispetto a Fontana, che in diretta Facebook rimane impigliato nella mascherina». Zaia ha sempre maneggiato meglio i social (prima dell’emergenza, per dire, sapeva anche postare su instagram foto di gattini, che sul web vanno sempre bene) e infatti è il governatore più seguito d’Italia sulle varie piattaforme (in relazione alla popolazione). Fontana invece, secondo lo stesso indice, è quello che ha meno followers, e conta circa un quarto dei seguaci del collega, nonostante governi una regione con il doppio degli abitanti. «Certo, il virus ha colpito molto di più la Lombardia che il Veneto – precisa Pregliasco – e non voglio entrare nel merito delle scelte politiche, ma di quello comunicativo, alla fine della crisi, lo si vedrà anche nei sondaggi: Fontana è stato onnipresente ma non ha mai dato l’impressione di avere in mano la situazione».

«UN NUOVO BIPOLARISMO COMUNICATIVO»

L’emergenza coronavirus ha creato uno spartiacque nella comunicazione politica, quello dell’annuncio istituzionale traslato sui social: «Il vero momento di passaggio è stata la conferenza di Conte del 22 marzo in cui annuncia il lockdown totale – spiega la professoressa Bracciale – eppure non l’ha fatto in una tradizionale conferenza stampa ma in diretta Facebook, poi ripresa da tutte le tv. E per questo è stato molto criticato dai media tradizionali. Ma dal punto di vista di uno studioso è uno spartiacque: qui non si sta parlando di fare le dirette con i follower per comunicare qualcosa, anche una legge o un provvedimento. Qui si sta comunicando la chiusura totale della settima potenza industriale al mondo, e il premier lo ha fatto prima annunciandolo con un post e poi aprendo una diretta Facebook. È una novità importante perché adesso qualsiasi comunicazione istituzionale potrà essere fatta tramite i social: sarà sempre meno grave di questa». Nuovi mezzi sono diventati “ufficiali”: i modi e le parole della politica devono cambiare per necessità. Ma con loro si è sviluppata anche la contrapposizione di due stili molto differenti. «Dovessi scegliere due immagini simbolo – rileva il politologo Marco Tarchi – direi da una parte Salvini vestito da medico con la mascherina, dall’altra Conte con il ciuffo sempre ben pettinato e la stessa pochette». Insomma, con i social si è instaurato quel che Tarchi definisce «un nuovo bipolarismo comunicativo». Non è nato con il Covid-19, ma secondo il professore di Scienze Politiche all’Università di Firenze si è manifestato come categoria della politica italiana intorno a Ferragosto del 2019: «Salvini, vicepremier e ministro dell’Interno, faceva opposizione al suo governo dal Papeete mentre Conte continuava a ripetere che se ne doveva discutere in Parlamento – spiega Tarchi – poi il Leader della Lega ha deciso di buttare giù il governo dalla spiaggia, mentre Conte il 20 agosto lo ha messo sotto in Senato. Tant’è che dopo è restato a Palazzo Chigi anche se con un’altra maggioranza».

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Adesso però, con l’emergenza coronavirus, questa contrapposizione si è acuita – soprattutto tra marzo e aprile – e si riprodurrà dopo: «La crisi potrebbe far capire a certi politici che non serve sempre correre dietro l’ultimo post o dietro l’ultima diretta Instagram – dice Tarchi – se sarà così, la contrapposizione potrebbe diventare anche partitica e istituzionale, chissà se ci sarà mai il partito di Conte». Eppure partirebbe in svantaggio, almeno nel mondo della comunicazione web: «Certo, in alcuni casi politici tradizionalisti o più datati provano a copiare, senza successo, quelli che hanno interi staff alle spalle e parlano direttamente con i propri follower. Ma tra l’originale e la copia, l’elettore sceglie sempre l’originale. Quando finirà questa crisi, invece, potremmo dire che questo tipo di comunicazione meno urlata potrebbe diventare il fattore distintivo di alcuni leader, penso a Conte ma anche a Di Maio o Zingaretti, da contrapporre a Salvini o Meloni. Come dire: noi siamo diversi. Non è detto che funzionerà, ma potrebbero provarci».

«Da una parte Salvini vestito da medico con la mascherina, dall’altra Conte con il ciuffo sempre ben pettinato e la stessa pochette: è un nuovo bipolarismo comunicativo»

Marco Tarchi

Professore all'Università di Firenze, politologo esperto di populismo

Stili comunicativi contrapposti che si sfiorano, si toccano e a volte si contaminano. In alcune fasi cruciali della crisi Salvini ha saputo “togliere la felpa” per aprire al dialogo nei luoghi della politica. Conte, nella conferenza stampa del 10 aprile, dopo aver illustrato la proroga del lockdown fino al 3 maggio, ha attaccato frontalmente i leader dell’opposizione – Salvini e Meloni – sul Mes (il Meccanismo Europeo di Stabilità, o “Fondo salva Stati”) votato dall’Eurogruppo la sera prima. Il Presidente del Consiglio, in prima serata e all’ora dei Tg, ha accusato Salvini e Meloni di dire «falsità» che rischiano di «indebolire l’Italia ai negoziati europei». Un’uscita poco istituzionale, un unicum nella comunicazione del premier degli ultimi due mesi e, per questo, particolarmente criticata, con l’accusa di aver utilizzato la Tv di Stato e i canali di Palazzo Chigi per attaccare politicamente le opposizioni.

Allora è stato Salvini ad assumere il tono istituzionale, telefonando al Presidente Mattarella per esprimere «rammarico e indignazione» sull’atteggiamento di Conte, ritenuto «roba da regime sudamericano» e chiedendo «risposte, non polemiche o insulti». Nei giorni successivi da Palazzo Chigi hanno sottolineato come questo fugace cambiamento di stile di Conte fosse dipeso soprattutto dalla tensione l’accerchiamento interno (i partiti di maggioranza) ed esterno (l’Ue) sul Mes, strumento su cui la politica italiana si è spaccata per settimane. Non tutto quello che dicono i politici passa da una strategia, dai portavoce o social media manager. A volte lo dicono e basta.

PIAZZA SOCIAL: LA CAMPAGNA ELETTORALE PERMANENTE

«In piazza vincono gli estremi», diceva nel 2000 Indro Montanelli commentando fatti del 1947 (la scissione di Palazzo Barberini del partito socialista). Un po’ come sui social. Montanelli però parlava di Pietro Nenni, secondo lui un socialista moderato, che si mostrava estremista perché «quando si trovava in una piazza, e prendeva la parola dal podio, non era lui che guidava la piazza. Era la piazza che guidava lui». La piazza lo voleva estremista, lui semplicemente ne «capiva gli umori e si adeguava».  Luca Morisi, il social media manager di Salvini, ha raccontato un aneddoto della sua strategia comunicativa nel libro di Pregliasco: «Abbiamo visto che la legittima difesa è un tema su cui c’è attenzione altissima ma non ce l’ha detto “la Bestia” – ha spiegato Morisi – l’abbiamo capito dal fatto che durante il livetweeting di una trasmissione su questo tema, l’engagement (cioè la risposta del pubblico in termini di like e condivisioni, ndr) dei tweet sulla legittima difesa era altissimo. Da lì capisci che è un tema che conviene utilizzare. E infatti, il giorno dopo, il post Facebook di Salvini era proprio su quello, e ha fatto quasi 100 mila like. Ma non c’è algoritmo, non c’è automatismo: c’è tanta scuola, tanta attenzione e tanta tenacia nell’immergerci in quello che dice la rete». È cambiato tutto un modo di fare politica? Forse nemmeno troppo.  In piazza però non si governa, al massimo si fa propaganda, ed è anche per questo che sui social la politica sembra una campagna elettorale permanente. Lo svantaggio di cui parla Tarchi, allora, pesa sui partiti di vecchia guardia come Forza Italia o il Pd. Come colmano il vuoto lasciato dietro di sé dai social media manager più in gamba? Per il Partito Democratico in parte ci pensano alcune pagine di satira: Hipster Democratici, Socialisti gaudenti e altre. Prendono volentieri in giro anche un certo “immobilismo” del Pd, ma intanto creano una comunità piuttosto compatta di elettori, che si nutre soprattutto del contrasto con i leader populisti più forti sul web.

«In piazza vincono gli estremi»

Indro Montanelli

Giornalista

«Abbiamo visto che la legittima difesa è un tema su cui c’è attenzione altissima, ma non ce l’ha detto “la Bestia”»

Luca Morisi

Social media manager di Matteo Salvini, (intervistato da Pregliasco)

SE LA SATIRA DIVENTA PROPAGANDA: “LE BIMBE DI GIUSEPPE CONTE”

Per Giuseppe Conte, un uomo che ha iniziato a fare politica da presidente del Consiglio e che quindi non ha mai fatto campagna elettorale, una comunità si sta invece popolando anche grazie a un gruppo nato durante la quarantena da coronavirus: “Le bimbe di Giuseppe Conte”. In poche settimane è diventata molto seguita: oltre 350mila followers su instagram e 100mila su facebook, in costante crescita. La pagina facebook è gestita da Marta, 30 anni «compiuti in quarantena» e una laurea in Scienze Politiche e relazioni internazionali. L’ha creata il 12 marzo per contrastare la noia della solitudine casalinga, rispondendo a una necessità che il web aveva mostrato con sempre più frequenti meme, foto e video che incensavano il premier come un eroe, il salvatore nel momento di crisi. «Anche con sfumature vagamente erotiche – aggiunge Marta – da parte di un pubblico prevalentemente femminile, l’80% della pagina».
«Più che altro faccio da filtro per cose che trovo sul web o che mi mandano i fan, non seguo nessuno schema», spiega. La situazione di emergenza, la chiusura delle scuole che ha acceso l’entusiasmo dei più giovani, la necessità di appigli e distrazioni, hanno concorso a formare una fan base molto agguerrita e poco consapevole: «Sono proprio delle groupie di Conte, tredicenni come ultra settantenni, a cui non interessa nemmeno dell’ironia: più il messaggio è becero, più mettono like, più la didascalia è borderline, tipo “daddy decretaci tutte”, e più il gradimento è assicurato». 

Insomma, non esattamente un esempio di elettorato coscienzioso, e ancor meno c’è la certezza che questo gradimento sia traducibile in voti. Ma questi profili fanno sui social ciò che Conte non fa: pubblicano di continuo, colmando almeno per frequenza e reazioni ottenute dal pubblico il divario con i politici più attivi. Commenti, like, condivisioni. 

Più di ogni altra, c’è una frase di Conte che è stata ripostata ovunque: «Tutti insieme ce la faremo», nel primo annuncio sul lockdown a inizio marzo. Salvini l’ha ripresa in forma di hashtag (#celafaremo) solo perché ha visto che sui social stava andando forte. E poco importa che il primo a pronunciarla fosse stato il suo avversario politico. Il bipolarismo delle ideologie è scomparso, quello della comunicazione, ora, è nato ufficialmente.