Sull'Ali Dorate

La Storia e gli Ospiti di Casa Verdi

«Delle mie opere, quella che mi piace di più è la Casa che ho fatto costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio. Poveri e cari compagni della mia vita! Credimi, amico, quella Casa è veramente l’opera mia più bella»

                                                                                                                          

Si chiama Casa Verdi. Dal grande maestro che prima la desiderò e poi nel 1898 la fece costruire. Non è una casa di riposo, né una casa per anziani, qui gli Ospiti vengono scritti con la “O” maiuscola e le rughe sono il simbolo di una vita spesa per la musica. Cantanti lirici, compositori, musicisti e ballerini. Da 130 anni, artisti ultra sessantenni, da tutto il mondo, trovano il loro rifugio qui, in Piazza Buonarroti a Milano. Un luogo unico per origine e caratteristiche, nato dal sentimento di solidarietà di Giuseppe Verdi e che tuttora, attraverso i diritti del compositore e i donatori, garantisce un’oasi di gioia artistica. Un posto dove la vecchiaia si trascorrere con dignità. Ma soprattutto facendo quello che si è sempre stati. La Casa accoglie “ tutti coloro che hanno esercitato l’arte musicale per professione”. È così che il tenore Beniamino convive con la compositrice Marisa, e che la vedova del maestro di musica Mario si scambia ricordi con la ballerina francese Michelina. Si sono trasferiti portando con sé piccoli e significativi oggetti di una carriera ancora viva nei ricordi e nelle capacità artistiche, rimaste spesso intatte. Una foto ben conservata, un articolo di giornale, un premio, uno strumento Ognuno a Casa Verdi ha il suo posto. Come in scena. Senza nessuna intenzione di scendere dal proprio palco interiore, gli artisti sfidano l’età, la nostalgia, spesso la solitudine. E come il maestro Verdi avrebbe voluto, continuano a volare “sull’ali dorate” della musica. 

Michelina Barrey, Passi Senza Tempo

A Casa Verdi c’è spazio per l’arte. Per quel lusso, concesso ai creativi, di vivere in un folle alternarsi di euforia e malinconia. Michelina Barrey, in passato si faceva riconoscere sui palchi di Parigi per i passi di danza, i giochi con la sedia e le piume dei costumi. Oggi si riconosce prima di tutto per la risata contagiosa  e la erre che non tradisce le sue origini. Nella stanza, singola, dopo la morte del marito, ha qualche foto e molti soprammobili. Nei racconti invece, risuona tutta la malinconia del palcoscenico. Fin da piccola appassionata di danza, ballava ovunque. E anche a Casa Verdi tra i saloni e i corridoi non mancano gli spazi per appoggiarsi ad una sbarra e fare un pliè o un tendù.
“Una volta ero più magra, più snella” dice Michelina accennando una spaccata con le gambe. Nonostante le ginocchia facciano male e le caviglie non reggano più come una volta gli sforzi dei movimenti, alla propria passione, alla danza non sa dire di no. Come agli esercizi di riscaldamento alla sbarra. Al piccolo Teatro de Chatelet, Michelina ha iniziato a ballare sul serio: “Ho fatto anche la televisione. Ma niente è come il teatro” dice tra un sorriso e una mossa abbozzata dalla poltrona. Poi, a soli 23 anni l’incontro con il suo compagno di vita Mario, batterista anche lui poco più che ventenne. Un matrimonio e due figli hanno allontanato Michelina dalla pece delle scarpette e dal can-can più sfrenato.

Bastoni, Cappelli e Passi Lenti

In Sala Toscanini c’è profumo di cedro candito e anice. È la “torta di Verdi”, la dolce presenza delle merende quotidiane. Tutto è pronto per il gioco musicale, Wagner e Bizet tra i brani da indovinare. Il pomeriggio trascorre così tra l’orgoglio per una memoria che ancora funziona e l’attesa dei parenti che verranno in visita. Nella stanza accanto il pianoforte autentico che fu del grande Maestro, osserva silenzioso, mentre a far baccano ci pensano loro. “Gli artisti non li contieni” dice qualcuno giustificando la gran confusione. Dina intona un’aria lirica, Romolo si mette al pianoforte e l’ accompagna. Poi si stanca. Cambia musica.

“Lì, in quel bell’ambientone ottocentesco, con le finestre grandi e gli spazi ampi, con i mobili che ci ricordano a volte quelli che abbiamo sempre visto nelle nostre case da generazioni, ma con qualcosa di importante, di intimo e solenne, ci si trova a proprio agio. Come in una casa della memoria che vorremmo lasciar sempre intatta, custodirla, con affetto”

Lorenzo Arruga

Più allegra e ritmata invoglia qualcuno a fare nostalgici passettini di danza al centro del salotto ottocentesco. C’è chi parlotta, chi invece nonostante il vociare, dorme sulla poltrona comoda. In un angolo il ritratto del maestro Verdi. Chissà se aveva immaginato così il clima della sua futura casa per anziani “colleghi”: “L’ho fatta costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio. Poveri e cari compagni della mia vita!”. Lo aveva scritto nel 1889 e oggi quelle mura continuano a farsi rifugio per lo spirito mai sazio di chi ha scelto di vivere di arte. .

Beniamino Trevisi,

Acuti Senza Tempo

Un Do di petto lanciato nell’aria all’improvviso e l’orgoglio di riuscirci ancora. “Smetterò di cantare finché avrò vita e voce”. Beniamino Trevisi ha 93 anni e una lunga carriera da tenore alle spalle. Nella casa sta con Edda, sua moglie da più di cinquant’anni. “La risposerei ancora” dice lui. “Stare vicino a un tenore richiede tanta, tanta pazienza” scherza lei, sorridendo. La musica ancora non smette di riempire le loro giornate. L’eco degli applausi dei teatri di tutta Europa è ancora vivo nell’appartamento di Casa Verdi mentre racconta storie di concerti e grandi salotti dalle sale dorate. Gli occhi brillano e a volte lacrimano. A riecheggiare non sono solo gli applausi ma anche il boato delle bombe che cadevano su San Benedetto Po. “Era iniziata la guerra, mi ha preso tutta la giovinezza, ma io cantavo, cantavo lo stesso”, ricorda Beniamino. .
Gli occhi segnati da borse profonde, le mani grandi e ancora abituate ad allargarsi per accompagnare getti di voce potente. Nessun fazzoletto pregiato per coprire la gola, ma una coppola sulla testa come fedele compagna. È figlio di un bracciante Beniamino. La semplicità non è mai stata un segreto da nascondere. Il viaggio, una delle cose più belle che la voce gli ha regalato; la possibilità di studiare e salire sul palcoscenico, “il miracolo grande grande grande”. E poi quell’incontro mai dimenticato con uno dei più celebri cantanti d’opera del ventesimo secolo, Beniamino Gigli. “Non mi hai rubato soltanto il nome ma anche la voce!”. Il cantante della indimenticata canzone “Mamma” benedì la carriera di un ragazzo emozionato e incredulo che a soli 23 anni riuscì ad esibirsi davanti alla leggenda della musica d’opera.
“Momenti di vita grandi grandi grandi”, Beniamino ripete l’aggettivo “grande” tre volte quando si tratta di cose che gli stringono il cuore. Sfoglia le pagine di giornale che parlano di lui, ricorda nomi su nomi, ringrazia i mecenati che hanno creduto nel ragazzo di campagna dalla voce d’oro. “Beniamino tu farai strada”, la frase di Gigli a Recanati gli fu di auspicio, trent’anni di carriera e una devozione alla musica che ancora non smette. In tutto questo la dolce ragazza di Pallanza, lì sul Lago Maggiore, ora è diventata una donna. Attenta e taciturna. Parla con gli occhi. A volte si abbandona nei ricordi del marito, altre no. “È logorroico, siamo gli opposti”. Quegli opposti si uniscono quando parlano di Simona e Antonio, “i nostri gioielli” .
“La fanciulla del west” di Puccini è la sua preferita, il sorriso che si intravede quando Beniamino gliela ricorda, regala al viso piccoli sprazzi di luminosità. Ma quando il tenore comincia a cantare la sua espressione si chiude di nuovo. Una serietà dura e inaspettata che sembra quasi portarla in un mondo parallelo.
A Casa Verdi sono arrivati grazie a una rivelazione. Come nelle migliori piece teatrali, in una notte di mezza estate sul Lago Maggiore, luogo da sempre caro a Edda, Beniamino si sveglia di soprassalto. “Edda svegliati, ho sognato Giuseppe Verdi, mi ha detto di andar da lui a Milano”. Il giorno dopo i due erano davanti il grande portone di Piazza Buonarroti. Da quel momento “E’ volato un anno pieno di gioia e non ce ne siamo neanche accorti”.

Dove Riposa l’Arte

In Piazza Michelangelo Buonarroti 29, se ne sta con le mani in tasca e lo sguardo serio. La statua in bronzo di Giuseppe Verdi troneggia al centro del traffico milanese e vigila “l’opera sua più bella”, lì al lato della piazza. Il rifugio per artisti in stile neogotico venne realizzato da Camillo Boito, fratello del celebre musicista Arrigo, grande amico del maestro Verdi. Elegante e amichevole il grande portone quasi sempre aperto, accoglie Ospiti e visitatori. “Callas, Toscanini, Pavarotti”, affissi al muro i nomi dei donatori accompagnano nell’atrio, tra busti e strumenti musicali. Le maniglie a forma di cetra della porta a vetro si aprono su uno spazio verde. Si cammina su un pavimento di ciottoli tra piante di fico e gardenie fino ad arrivare in fondo, dove la cripta dagli splendenti mosaici, conserva i corpi sepolti del grande Maestro e di sua moglie, Giuseppina Strepponi.
Tutto intorno finestrelle, da cui ogni tanto si affacciano timide chiome bianche. Tasti suonati sul pianoforte attirano verso l’interno dove i tre piani di scale sono la scomoda alternativa ad un ascensore spesso affollato. Colpi di bastone battuto a terra suggeriscono il ritmo lento del passo di qualcuno che si dirige verso Sala Toscanini. Poltrone rosse e lunghi vasi di fiori ispirano canti e giochi da tavola. La stanza dei concerti invece è chiusa, il sipario si apre nelle occasioni importanti. “Parrucchiere”, “Sala giochi”, “Laboratorio Fiori”, “Infermeria”, “Camerino Artisti”, “Sala prove”: le targhette affisse sulle porte bianche nascondono un gran da farsi. I lunghi corridoi di appartamenti si riempiono di musica. E sempre lì, di tanto in tanto piccole riunioni di coinquilini fanno eco con chiacchiere e risate. I quadri dei palcoscenici e teatri del mondo dalle pareti osservano tutto. Le luci della sala da pranzo si accendono puntuali.

Tra Diritti d’Autore e Donazioni

Verdi è ovunque nella Casa. Non solo nei mezzo busti, nei quadri, nei mobili, negli strumenti musicali, o nello stile della tappezzeria. Qui del Maestro si riconosce prima di tutto l’etica e lo spirito.   È per questo che per diventare un Ospite, non contano i dischi incisi, le opere cantate o le orchestre dirette. Fin dal principio il requisito fondamentale, secondo il volere del compositore italiano, è stato “essersi dedicati alla musica”. Per i suoi “poveri e cari compagni di vita” la retta viene stabilita in base alle possibilità economiche e non può mai superare l’80% del reddito (il 70% per coloro la cui pensione non supera i 1000 euro). Anche i mariti o le mogli degli artisti, sebbene estranei al mondo della musica, vengono ospitati comunque e coinvolti in ogni attività. Un progetto ammirevole che nonostante i 130 anni di vita rimane tuttora l’unico al mondo, reso possibile dall’importanza del suo fondatore ben oltre i confini nazionali.
È per questo motivo che Casa Verdi non ha mai smesso di attirare investimenti e donazioni dal mondo della musica e non solo. Tra i nomi più celebri quello di Arrigo Boito. L’intero patrimonio del musicista fu destinato da Luigi Albertini, suo erede e storico direttore del Corriere della Sera, al progetto di generosità di Verdi, aiutando ancora oggi con sussidi anche tutti i musicisti che per motivi personali o di numero non sono riusciti ad entrare in Casa. E poi ancora, la sala di ritrovo del rifugio per artisti è intitolata a uno dei suoi più grandi benefattori, Arturo Toscanini. La famiglia ha donato quasi la metà dell’intero patrimonio, una cifra pari a circa 5 milioni di dollari. Tra gli altri nomi generosi Luciano Pavarotti, Maria Callas, Placido Domingo. Anno dopo anno la fortuna di Casa Verdi è cresciuta insieme alla solidarietà di artisti memorabili. “Ci sono stati grandi nomi ma spesso molte donazioni ci arrivano anche da persone meno illustri o addirittura da anonimi, ci aiutano a rendere eterno il sogno del suo fondatore” spiega Biancamaria Longoni, attenta e amata assistente di Direzione di Casa Verdi. Le donazioni e il patrimonio di Verdi sono ad oggi la fonte primaria di sostentamento per la struttura. Fino al 1962 aveva potuto confidare anche nei diritti d’autore delle opere del Maestro, oggi sostituiti da contributi statali di minore supporto. Ma il sogno realizzato va avanti. Il modello di accoglienza per anziani funziona e per il momento rimane unico nel suo genere.

Iole Vischi, Sentimento Senza Tempo

“Mario mi ha lasciato due anni fa. Prima dividevo la stanza con lui, ora mi hanno trasferito in una stanza singola”

Iole

“Prima dividevo la stanza con lui, ora mi hanno trasferito in una stanza singola”. Iole non canta né suona, lei ascolta e si “inebria”. Assistente sociale, moglie di un insegnante di musica. Dopo la morte del compagno di una vita ha scelto di rimanere lì, dove tutti i giorni sono melodia e ricordo. Da quando lui non c’è più, a pranzo si siede sempre accanto a Beatriz. La giovane arpista è tra i sedici ragazzi che studiano in Accademia alla Scala. Vivono insieme agli artisti di un tempo respirando esperienza e donando allegria. “Mario insegnava melodia e arpeggio, mi sono innamorata di lui e insieme anche della musica”. Ricordi di serate passate assieme tra chiacchiere e concerti, “amava portarmi con lui ovunque”. Iole tocca le corde dell’arpa. Ci gioca. Non conosce la musica ma la “sente”. Le giornate si colorano dagli incontri con gli artisti della Casa e quel vuoto lasciato da Mario a volte sembra farsi meno profondo. Voce sottile e a tratti rotta dagli anni, le mani curate si incrociano e si appoggiano sulle gambe. In quel rifugio per artisti, essere “moglie di” non le è mai pesato. E se è vero che dal palco non si scende mai, a Casa Verdi c’è anche chi quel palco lo ha sempre amato da lontano e non smette di farlo.

Con Ali Dorate Ma Esseri Umani

“Ho paura che una volta finita la vostra visita alla Casa non veniate più a trovarmi”

Beniamino

I visitatori vanno e vengono, perché la Casa oltre ad essere rifugio quotidiano per gli artisti è un’opera d’arte di arredamento e architettura. Ma la frase del tenore arriva dritta a chi si immagina che in fondo per star bene sia sufficiente un salotto dorato. In un contesto privilegiato, in cui le rughe vengono trattare con cura e rispetto, i bisogni del cuore sono quelli più semplici. Pensarsi parte di un mondo, colmare le assenze, sentirsi ancora utile alla gioia di qualcuno, come quando a fine spettacolo ci si inchinava al frastuono degli applausi .