UNA NUOVA HOLLYWOOD
A MILANO

Da House of Gucci a Diabolik, il capoluogo lombardo ormai è un punto di riferimento del cinema italiano.
Ma nel Pnrr viene citata solo Roma: pronti 300 milioni per il rilancio di Cinecittà

di Francesco Zecchini e Andrea Lucia

Ma po’ i vegnen chi a Milan (“ma poi vengono qui a Milano”), recita la canzone diventata il simbolo del capoluogo lombardo. Lo hanno fatto sia Vittorio de Sica con Miracolo a Milano che – settant’anni dopo – la star di House of Gucci Lady Gaga e i due registi di Diabolik per presentare le rispettive premiere. Ha deciso di ambientare qui un’intera serie tv anche Giuseppe Capotondi, che vive a Londra e dopo l’esperienza romana con Suburra ha diretto come regista il nuovo prodotto di Sky Blocco 181. Persino il film Il buco, premio della Giuria al Festival di Venezia, firmato da un milanese doc come Michelangelo Frammartino e interamente ambientato in Calabria, ha qualcosa di Milano, con quel Pirellone in costruzione negli anni ‘60. Una pellicola dopo l’altra, la città si sta scoprendo sempre più centrale nel panorama cinematografico italiano. Un settore da sempre dominato dalla Cinecittà di Roma, sostenuta con 300 milioni di euro dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Invece, la Lombardia Film Commission e la città di Milano non sono citate nelle parti dedicate al cinema del Pnrr.  

Dopo i tanti successi da botteghino girati nella città, Milano comincia a esercitare un potere d’attrazione verso registi, sceneggiatori e attori. Non solo su professionisti affermati, ma anche nei confronti di chi sogna di diventare il prossimo Sorrentino del cinema nostrano. La conferma arriva dalla storica Civica Scuola Luchino Visconti, un centro di formazione d’eccellenza, che da otto anni a questa parte continua ad attrarre studenti da ogni parte del Paese. Gli aspiranti registi non guardano più solo alla Capitale per formarsi. La Scuola è diretta da Erminia Ferrara: “Oggi la tecnica e la tecnologia sono recuperabili sui manuali e nei tutorial. Se però non hai tutta quella parte di creatività, di approfondimento, di sguardo critico, di interazione con tante figure professionali resterai un tecnico un po’ arido. E non hai bisogno di una scuola per diventarlo”. La Luchino Visconti è quindi “un’accademia dove lo studente si forma a 360 gradi”, racconta.

Un percorso formativo che ha sempre un occhio sull’evoluzione del mercato: “Oggi c’è uno spostamento verso la serialità, verso la scrittura di contenuti”, spiega Ferrara. “Si scrive a Milano, Roma, in Europa. Per questo nella didattica inseriamo o rinnoviamo quelle professioni e quegli approcci professionali che ci permettono di stare in connessione con il mondo del lavoro”.

Erminia Ferrara:

"A Milano c'è una vocazione all'innovazione"

Erminia Ferrara:

"Abbiamo un grandissimo pubblico davanti a noi e grandi numeri"

Erminia Ferrara:

"Se vuoi fare il regista e pensi che esci dalla scuola e diventi Sorrentino, hai sbagliato tutto"

Courtesy of Civica Scuola Luchino Visconti

L’impegno sembra essere apprezzato dagli studenti, che al termine della Scuola trovano un terreno fertile per sviluppare le proprie professionalità grazie a nuove opportunità di impiego.  “I ragazzi di montaggio non fanno in tempo ad uscire di qua: stanno già lavorando. Lo stesso discorso vale per quelli di suono. Anche gli sceneggiatori sono richiestissimi per l’impennata nella serialità. Se aumenta la produzione seriale, come sta accadendo, se le persone studiano sempre di più e meglio, ci sarà più spazio per tutte le figure creative. Compresa quella dell’attore”. O del regista.

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Percentuale di studenti della Luchino Visconti provenienti da fuori Milano negli ultimi anni: si passa dal 72 all’86 per cento

Gli studenti della Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti:

"In generale, a Milano ci sono più opportunità di Roma: è una città un po' più aperta"

Uno di questi è Michelangelo Frammartino, uscito proprio dalla Scuola Civica Luchino Visconti e fresco vincitore del Premio speciale della Giuria della 78esima Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il suo film Il Buco racconta l’impresa compiuta nel 1961 da un gruppo di speleologi provenienti dal Nord che scoprirono quella che, al tempo, veniva considerata la seconda grotta più grande del mondo, l’Abisso del Bifurto.

L’ambientazione è quella del Parco Nazionale del Pollino, tra la Basilicata e la Calabria, ma il regista è un milanese doc e le riprese partono proprio dal capoluogo lombardo, in particolare dalla costruzione del Pirellone durante il boom economico degli anni ’60. All’inizio del film si vedono gli abitanti del paese che si riuniscono davanti all’unica televisione condivisa del bar e guardano in silenzio i programmi della sera. Il materiale di archivio mostra una trasmissione dell’epoca in cui un giornalista sale sul grattacielo Pirelli, all’epoca uno dei palazzi più alti d’Italia. In quel periodo storico Milano esercitava il suo fascino facendo arrivare milioni di persone dal Sud Italia, compreso il papà del regista. Oggi la città continua ad essere un polo di attrazione anche per “la capacità di realizzare progetti in ambito artistico e cinematografico”.

Da un regista cinematografico ad un altro che negli ultimi anni è stato tra i più apprezzati del panorama delle serie tv italiane. A differenza del suo collega, Giuseppe Capotondi non è milanese e vive a Londra ma il legame con la città si è rafforzato da quando ha sposato il progetto di Blocco 181, la nuova produzione Sky Original che ha visto il rapper italiano Salmo nelle vesti di supervisore e produttore musicale.

Capotondi ha diretto in qualità di regista tutti gli otto episodi che andranno in onda nel 2022 e prendono il nome dal complesso edilizio che si trova nella periferia milanese. Sullo sfondo un cast giovanile per raccontare una storia d’amore, conflitti generazionali, emancipazione femminile e affermazione personale. Capotondi ha lavorato anche agli ultimi quattro episodi della serie Suburra, ambientati a Roma per Netflix. Chi meglio di lui può fare un paragone tra le due realtà cittadine e stabilire se Milano può essere legittimamente considerata una capitale del cinema. Da una parte il regista conferma quanto ci è stato detto anche dal colosso dello streaming (ndr Netflix), ossia che la scelta di una location è dettata più dalla scrittura che dalla funzionalità del luogo. Tornando a girare a Milano, però, ha notato un certo fermento e la sua esperienza personale è testimoniata anche dalle scelte dei principali produttori, da Sky a Netflix.

(foto di Gabriele Micalizzi, Courtesy of Sky)

Ma non ci sono solo le grandi case di produzione internazionali. Franco Bocca Gelsi, presidente della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media impresa (CNA) audiovisivo in Lombardia, rivendica i numeri del suo settore: “Nel 2019 il nostro fatturato era 6 miliardi e impiegavamo circa 20.000 addetti, 60.000 nella filiera lunga. E Milano ha la percentuale di spettatori di film d’essai più alta d’Italia rispetto al consumo generale di cinema”, spiega. Ma i problemi non mancano: “Siamo visti per lo più come dei rompicoglioni”. Roma e il Lazio restano insostituibili al momento. Secondo il produttore, la forbice si è addirittura allargata: “Nella postproduzione 15-20 anni competevamo con il Lazio. E tra il 2006 e il 2011 molti produttori hanno dato vita ad un tentativo di rinascimento milanese. Poi, la postproduzione ha iniziato ad andare in crisi e la politica non ci ha dato i fondi. Siamo un po’ rimasti al palo”.

Il primo freno è quello economico, secondo il produttore creativo di Gagarin Produzioni: “Oggi vendi il prodotto cinematografico a molto meno e fare un piano finanziario è molto più complesso e difficile”. I fondi pubblici non bastano? “Hanno dei limiti strutturali. L’ultimo fondo cinema regionale risale al 2017 e manca un impegno un po’ più profondo per coordinarsi tra assessorati e fare politiche integrate che riguardino l’occupazione, il turismo e la cultura. Oggi tutto è incentrato in quest’ultima, ma l’assessore  non sembra aver manifestato la volontà di fare un passo in avanti”.

“Entro maggio un nuovo bando con finanziamenti europei”
Il professor Stefano Bruno Galli, assessore alla Cultura dal 2018, ammette che si può fare di più ma sottolinea che l’inchiesta in cui è stata coinvolta la Lombardia Film Commission (che è parte lesa) ne ha rallentato le attività. “Comunque, l’impasse si sta risolvendo o è già risolta. Nel 2020, nonostante la pandemia e le difficoltà giudiziarie, la Film Commission ha seguito 216 produzioni come assistenza, casting, individuazione delle location, blocco delle strade…”, spiega. Inoltre aggiunge: “Per la prima volta nella storia della Regione abbiamo chiesto dei finanziamenti europei per le produzioni cinematografiche”. La tempistica? “La risposta dell’Unione dovrebbe arrivare entro fine marzo o aprile. Ora che si fanno le procedure e si costruisce il bando stiamo parlando di maggio”.  

“Più uno si allontana da Milano per girare, più deve essere premiato”
Ma il problema economico non è l’unico, secondo Bocca Gelsi: “Se hai dei soldi non devi buttarli via. I funzionari devono fare un atto di umiltà e confrontarsi con noi. Non sono formati per il cinema, ragionano come si ragionava 50 anni fa: nell’ultimo bando era richiesto che troupe, fornitori e location fossero al 100 per cento sul territorio”. Galli però la vede in modo diverso: “Milano è già la capitale del cinema pubblicitario e d’impresa: sostenere questi due settori rispetto ai numeri che fanno sarebbe risibile come politica pubblica. Non si imprimerebbe una svolta decisiva. Chi ha bisogno della regione, sono le realtà diffuse sul territorio. A me piacerebbe che nel bando che faremo più uno si allontana a girare dal capoluogo, più deve essere premiato. Purché i luoghi siano riconoscibili: questo è importante”. Non di solo soldi vive il cinema, però. Ma anche di professionalità. Secondo Bocca Gelsi a Milano manca “la formazione permanente: professionisti che formano professionisti in modo concreto”. L’assessore precisa: “Sono andato a consegnare i diplomi al Centro sperimentale di cinematografia, dove si fa l’alta formazione nel settore audiovisivo. La dozzina di neodiplomati è sveglia, capace e intraprendente: ho avuto un’ottima impressione”. Galli apre anche ad una discussione con la sede romana del Centro sperimentale di cinematografia per creare  – se necessario – nuovi corsi.

Più di 500 richieste di autorizzazione in 7 mesi
I numeri sono positivi, però. Gli ultimi dati del Comune di Milano citano 505 richieste di autorizzazione – quasi la metà solo per la pubblicità – tra gennaio e luglio 2021, contro le 268 dei primi sette mesi del 2020 e le 462 dello stesso periodo del 2019. Bocca Gelsi precisa: “Non puoi parlare di incremento del cinema sul territorio se la casa di produzione romana si porta il suo staff. In questo caso, l’unico ritorno sono le spese per alberghi, taxi e attrezzature. Inoltre, se devi fare un film indipendente oggi hai un pulmino con le cose che servono”. Questo impianto crea un “prodotto molto romanocentrico: abbiamo sdoganato il romanesco nei film. Sembra che l’Italia sia Roma”. “Mi fa un po’ girare le scatole”, ammette l’assessore Galli, che ha la delega all’autonomia.  “Infatti, segna nei fatti un primato che vede Roma come l’epicentro delle produzioni cinematografiche”.

Il Pnrr: “Essenziale rilanciare Cinecittà”
Una prospettiva confermata anche dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che prevede una riforma e due investimenti. Il primo “mira a supportare la capacità e l’azione degli operatori culturali e creativi di attuare approcci innovativi, anche attraverso mezzi digitali, e accrescere le proprie capacità gestionali ed economiche” incoraggiando anche “l’approccio ‘verde’ lungo tutta la filiera”. Il secondo, invece punta tutte le fiches su Cinecittà, il cui rilancio “è essenziale per l’esistenza stessa della produzione cinematografica in Italia e per aumentare la sua attrattiva per le produzioni cinematografiche e televisive europee e internazionali”. Secondo La Repubblica, verranno investiti 300 milioni in via Tuscolana. Mentre le Film Commission regionali, nate a partire dalla metà degli anni Novanta, non sono nemmeno citate nel Pnrr: “Ma il cinema in Italia non è solo Cinecittà”, puntualizza l’assessore Galli.

Courtesy of Civica Scuola Luchino Visconti

Lo dimostrano i Milano City Studios, 20mila metri quadrati indoor e outdoor inaugurati quasi due anni fa in zona Porta Nuova. L’innovativa landing area è dedicata alle produzioni televisive, pubblicitarie, cinematografiche, musicali e agli eventi business e consumer, a seconda se siano rivolti al pubblico o meno. Un progetto per Milano e per l’Italia che nasce sulla scia dei modelli di Los Angeles, Londra e New York, città che fungono da veri e propri set cinematografici a cielo aperto.

È proprio ispirandosi a quei modelli che nel giugno 2020 è nato il progetto fondato sull’esperienza di Big Spaces, società di venue management che individua e gestisce spazi di eccellenza trasformandoli in amplificatori di contenuto. L’idea di sfruttare gli spazi di Porta Nuova è stata resa possibile grazie all’accordo con COIMA, la società immobiliare tra i principali investitori della rinascita del quartiere, divenuto di proprietà del Fondo sovrano del Qatar. Tra grattacieli a specchio, le fontane di Gae Aulenti, il Parco Biblioteca degli Alberi e percorsi ciclabili, lo spirito che anima Porta Nuova è quello tipico di un distretto europeo in continua evoluzione. Appena pochi anni fa nella stessa area, cuore pulsante della città, lo skyline mozzafiato non era neppure immaginabile. Oggi a scegliere questi spazi, solo per citarne alcuni, è stata anche Netflix, che ha ambientato qui le riprese in esterna della serie Zero. Oltre a numerose produzioni nazionali ed internazionali delle maggiori case di produzione come Banijai, Fremantle, Indiana e Palomar. Per non parlare del nuovo film di Pio e Amedeo, che compaiono in una scena ambientata nel grande parco.

I Milano City Studios si compongono di set di posa, ambientazioni dal forte impatto visivo e strutture preesistenti che sono state dotate di tecnologie all’avanguardia. Quali sono gli spazi più importanti?

The Theatre

Il teatro di posa più grande e capiente al centro di Milano, 3000 mq disponibili per tutti quei progetti che necessitano di grande personalizzazione negli allestimenti e di ampi spazi di ripresa, siano essi eventi aziendali in presenza, fiere, sfilate, cene di gala, piuttosto che shooting o spot pubblicitari.

The Studio

Spazio di 1.200 mq dotato di un green screen, una parete Ledwall e un pavimento led, che si illumina non appena rileva la presenza di un oggetto al di sopra. Non mancano, ovviamente, le aree di regia e gli uffici necessari alle produzioni, sale meeting, camerini e make-up rooms.

The House

Un nuovo set arricchito da un grande Led-screen di ultima generazione e un palco di 20 mq con tre modalità di utilizzo: l’assetto online è pensato per gli eventi totalmente digitali e prevede la sola presenza di staff e relatori /speaker con un pubblico connesso da remoto. Nella versione onlive l’evento diventa Phygital, così che alla messa in onda dei contenuti in streaming si aggiunge una parte di pubblico in presenza. Onlife aggiunge all’ibrido un momento di convivialità tra gli ospiti presenti, usufruendo della sala piano terra o del dehor esterno che affaccia sul Parco.

The Square e The Park

Diverse aree outdoor dislocate tra Via Capelli, piazza Gae Aulenti, parco Biblioteca degli Alberi e piazza Alvar Aalto, disponibili per agenzie di comunicazioni e case di produzione per la realizzazione di installazioni, eventi, brand activation (sviluppo di strategie volte al lancio di un nuovo prodotto sul mercato per stimolare il target a cui è rivolto) e shooting con e senza occupazione di suolo, immersi nella scenografia più iconografica di Milano degli ultimi anni.

The Attico

Location sita all’ultimo piano delle torri residenziali, caratterizzata da ampi spazi, luce naturale e vista panoramica sull’intera città.

E Bossi profetizzava: nasce una Hollywood a Milano
Nella Milano del 14 luglio del 2009, in viale Fulvio Testi c’era un gran fermento: due ministri, il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e i grandi nomi della Lega Nord. Il segretario federale Umberto Bossi puntava tutto sul primo nucleo della Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti: “È la nostra Hollywood”. Il viceministro delle Infrastrutture Roberto Castelli se la prendeva con il romanesco sovrarappresentato nei film: “È una cosa insopportabile”.  Bossi accusava il cinema romano di aver messo da parte la grande storia di Milano, della Lombardia e della Padania. E rilanciava: “Siamo pronti a raccontarla noi”. L’allora sindaco Letizia Moratti era più istituzionale: “In tema di cinema e cultura vogliamo riconquistare un primato”.

13 anni dopo, il biscione milanese non è ancora famoso quanto le aquile dell’impero romano. Ma potrebbe diventarlo presto.