«Un’offesa e un oltraggio alla dignità della persona dei detenuti e anche a quella divisa che ogni donna e ogni uomo della polizia penitenziaria deve portare con onore», ma anche «un tradimento della Costituzione: l’art.27 esplicitamente richiama il “senso di umanità”, che deve connotare ogni momento di vita in ogni istituto penitenziario». Così la ministra della Giustizia Marta Cartabia, prima di andare a Milano per parlare dell’Ufficio del processo, commenta il caso delle violenze sui detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere da parte della polizia penitenziaria, portata alla luce da un’inchiesta di Domani. Una vicenda già raccontata dal quotidiano dopo i fatti del 6 aprile 2020, data dell’accaduto: in queste ore sono state pubblicate nuove immagini di quei momenti, dopo quelle degli scorsi giorni. I video parlano chiaro: i detenuti sono stati prelevati singolarmente dalle celle e costretti a scendere le scale mentre venivano colpiti con calci e manganelli.

I fatti – Detenuti a terra, picchiati a mani nude e con manganelli. Inginocchiati, mani dietro la nuca, in attesa di altre violenze dopo aver subito la “galleria”, ovvero quella pratica che prevede l’essere riempiti di botte passando tra due file di persone. Non si salva nemmeno chi soffre di disabilità. I reclusi del reparto “Nilo” del carcere “Francesco Uccella” sono stati prelevati dalle loro celle uno a uno: una «orribile mattanza», come l’ha definita il giudice per le indagini preliminari (Gip) Sergio Enea. Una mattanza premeditata, a quanto emergerebbe dalle conversazioni su WhatsApp tra Francesco Basentini, allora direttore del dipartimento amministrazione penitenziaria (DAP), e Antonio Fullone, provveditore delle carceri della Campania. Fullone, alle ore 16.48 del 6 aprile, scrive a Basentini: «Buona sera capo, è in corso una perquisizione straordinaria, con 150 unità provenienti dai nuclei regionali (oltre il personale dell’istituto) nel reparto dove si sono registrati i disordini. Era il minimo segnale per riprendersi l’istituto. Forse le dovrò chiedere qualche trasferimento fuori regione. Il sicuro ritrovamento di materiale non consentito ci potrà offrire l’occasione di chiudere temporaneamente il regime». «Hai fatto benissimo», avrebbe risposto Basentini. Da queste intercettazioni emergono due fatti importanti: il primo, che la rappresaglia ha coinvolto anche agenti esterni al carcere di Santa Maria Capua Vetere; il secondo, che il ritrovamento di un arsenale inventato avrebbe dovuto tutelare i poliziotti coinvolti, almeno stando alle ipotesi degli organizzatori. Basentini non è indagato, mentre per Fanfullone è stata disposta una misura interdittiva. Agli arresti domiciliari sono finiti Gaetano Manganelli, ex comandante dell’istituto, e il comandante del nucleo traduzioni e piantonamenti Pasquale Colucci. In tutto, compresi gli agenti della polizia penitenziaria, sono state indagate 117 persone: per 52 di loro il Gip Enea ha disposto misure cautelari e tutti sono stati immediatamente sospesi.

Le rivolte e i morti – I fatti del 6 aprile 2020 si inseriscono nel contesto più ampio delle rivolte avvenute in numerosi istituti penitenziari durante lo scoppio della prima ondata di Covid-19. Tra l’8 e l’11 marzo 2020, i detenuti e le detenute di 21 carceri si ribellano prima di tutto perché in queste strutture è impossibile mantenere il distanziamento sociale, basti pensare che nella casa circondariale “Francesco Uccella” il tasso di affollamento in quel momento è pari al 115,3% (933 detenuti sugli 809 consentiti, fonte Antigone). Ma in tutta Italia si protesta anche perché non arriva materiale sanitario e perché le condizioni igienico-sanitarie sono pessime. Senza considerare che, dallo scoppio della pandemia, la visita con parenti o avvocati è sospesa e solo in seguito viene istituita quella online (comunque senza traduttori). Le rivolte di quei giorni portano alla morte di 13 persone, tutti detenuti. Ad oggi la versione che è stata accreditata parla di morti dovute a overdose di metadone e antidepressivi rubati dalle farmacie assaltate dai detenuti. Una versione che non combacia con le autopsie: denti rotti, ferite e lividi sul corpo. Nove di questi tredici erano reclusi a Modena: pochi giorni fa il gip ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura. Anche nel carcere di Santa Maria Capua Vetere c’è un caso sospetto. Si tratta di Hakimi Lamine, ragazzo affetto da schizofrenia. La procura ha parlato di morte da attribuire ai pestaggi, eppure il gip ha giudicato il suo caso come un suicidio. Hakimi aveva 27 anni, è morto il 5 maggio 2020 a seguito di un arresto cardiaco.

Le reazioni della politica – All’epoca dei fatti il Guardasigilli era Alfonso Bonafede, del Movimento 5 Stelle. Forse proprio per questo motivo il Movimento (ancora) di Beppe Grillo è rimasto in silenzio. Chi si è affrettato a parlare è invece il leader leghista Matteo Salvini: «Chi sbaglia paga, specie chi indossa una divisa, però non si possono coinvolgere tutti i 40mila donne e uomini di polizia penitenziaria e sbatterli in prima pagina con nomi e cognomi. Serve rispetto, conosco quei padri di famiglia sotto accusa e sono sicuro che non avrebbero fatto nulla di male». Oggi, 1 luglio, Salvini sarà davanti al carcere di Santa Maria Capua Vetere per portare la sua solidarietà agli agenti della polizia penitenziaria. Parole irricevibili secondo il segretario del Partito Democratico Enrico Letta: «Abusi così intollerabili sono semplicemente una vergogna, indegni di un Paese civile. La magistratura faccia chiarezza». Il Pd ha anche chiesto alla ministra Cartabia di riferire in Parlamento su quanto successo.