Una volta era tutta campagna, mentre oggi è tra le aree con più cemento nella penisola. L’Emilia-Romagna continua a fare i conti con un’emergenza non ancora finita, ma anche con la catena di cause e responsabilità che hanno fatto sprofondare sott’acqua la regione. Contano gli eventi estremi di questi giorni, che diventeranno sempre più frequenti, ma pesano anche le scelte urbanistiche e legislative degli ultimi anni. La regione è terza in Italia per incremento di consumo di suolo e quarta in valori assoluti, sul gradino più alto del podio per cementificazione in aree a rischio alluvione: record che possono essere attribuiti anche a una legge regionale che, secondo esperti e associazioni, fa acqua da tutte le parti.

Una strada dissestata dopo una frana dovuta al maltempo, a Bagno di Romagna (Ansa/Nicola Andrucci)

Una strada dissestata dopo una frana dovuta al maltempo, a Bagno di Romagna (Ansa/Nicola Andrucci)

I dati negativi – In assenza di una legislazione nazionale ad hoc, l’Emilia-Romagna si è dotata nel 2017, durante il primo mandato del presidente attuale della Regione Stefano Bonaccini, di una legge (la numero 24) sul consumo di suolo. Obiettivo? Ridurlo a zero entro il 2050, come si legge nell’art. 5 della norma. Nel frattempo, però, i dati vanno in un’altra direzione e fanno della Regione, con i suoi 658 ettari in più, la terza in Italia dopo Lombardia e Veneto per incremento di spazi consumati. Tra i comuni italiani, Ravenna (con 68,66 ettari) si posiziona al secondo posto dopo Roma e, più in generale, i dati peggiori si riscontrano nella parte meridionale, quella oggi più colpita dalle alluvioni e dalle inondazioni. In pochi anni l’Emilia-Romagna è arrivata ad avere una superficie impermeabile dell’8,9%, contro una media nazionale del 7,1%.

Le critiche alla legge – Gli elementi più criticati della legge del 2017 sono le deroghe stabilite nel testo, ma anche le proroghe previste con l’emergenza coronavirus. Nel 2020, durante la pandemia, la Regione ha permesso di allungare i tempi entro cui i Comuni avrebbero dovuto preparare i nuovi Piani urbanistici generali (Pug) per adattarsi alle nuove linee guida, tra cui il tetto del 3% per ulteriori incrementi fissato a partire dal primo gennaio del 2018. Nei fatti, però, sono 21 i Comuni che nel 2021 hanno prorogato l’approvazione dei Pug, lavorando sull’attuazione delle precedenti previsioni urbanistiche meno stringenti. Non solo. L’art. 53 della legge 23/2017 prevede espressamente deroghe “per l’approvazione di progetti relativi ad opere pubbliche o di interesse pubblico di rilievo regionale o locale, o relativi alla trasformazione di insediamenti imprenditoriali, comportanti la localizzazione di opere non previste dal Pug o da accordi operativi, o in variante a tali strumenti o alla pianificazione territoriale”. Maglie larghe che indeboliscono le buone intenzioni della normativa. Proprio per la sua difficile definizione giuridica, all’interno del concetto di “interesse pubblico” sono entrati anche i poli della logistica quindi i magazzini di aziende della grande distribuzione o parcheggi per i camion. Tutto questo in una regione in cui, secondo l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), tra il 2006 e il 2021 a questo tipo di strutture sono stati destinati circa 400 ettari, il doppio della media nazionale.

La difesa della Regione – «C’è stato un tentativo di scrivere una legge che riuscisse a fermare il consumo di suolo», spiega a Il Manifesto Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia-Romagna, «ma ci si è trovati davanti a una serie di interessi che hanno voluto che ci fossero maglie molto larghe, prove evidenti che questo consumo di suolo non si va ad arrestare con la legge». La Regione non ci sta e replica alle accuse, difendendo l’impianto della propria legislazione regionale, una delle poche in Italia. «Nonostante da parte di alcune fonti si sostengano tesi diverse», spiega in una nota l’assessora alla Programmazione territoriale e urbanistica Barbara Lori, «i numeri certificano che la legge funziona, e che sta raggiungendo gli obiettivi per i quali era stata pensata», dichiarando di aver eliminato previsioni di nuovi insediamenti urbanistici per più di 11 mila ettari.

Consumo di suolo, un problema nazionale – Con la previsione di nubifragi sempre più frequenti alternati a lunghe fasi di siccità, l’impermeabilità del suolo rischia di diventare una bomba a orologeria, in un cocktail di fattori naturali e umani. Nel 2021 in Italia sono scomparsi 19 ettari al giorno, il dato più alto degli ultimi dieci anni. Secondo il Wwf, se non si fosse consumato così tanto suolo si sarebbe garantita l’infiltrazione di circa 360 milioni di metri cubi d’acqua piovana, limitando (e di tanto) i danni delle alluvioni. La media nazionale di superficie cementificata (7,1%) fa dell’Italia il quinto Paese a livello europeo per consumo di suolo, con picchi, oltre che in Emilia-Romagna, in Lombardia (12 %), in Veneto (11,9 %) e in Campania (10,5%). Quello della cementificazione è un problema anche legislativo: l’assenza di una legge nazionale ad hoc lascia alle singole Regioni la possibilità, e non l’obbligo, di intervenire.