La prima telefonata ai Carabinieri viene registrata alle 22:02 del 13 gennaio 2012, dieci anni fa. A comporre il numero d’emergenza è una donna di Prato. Al militare riferisce di aver appena ricevuto una chiamata dalla madre, che in quel momento si trova a bordo della nave Costa Concordia. «Ci hanno fatto indossare i giubbotti di salvataggio», le ha detto preoccupata qualche minuto prima. All’altro capo della cornetta pensano a uno scherzo. Ma i dettagli sono troppo verosimili. Parte una segnalazione alla capitaneria di porto di Livorno. La tragedia si sta consumando sul serio.

Carta di navigazione dell’isola del Giglio. In rosso, il luogo dell’urto con gli scogli

“Profumo d’agrumi” – La Concordia è uno dei gioielli della flotta di Costa Crociere. Quando viene varata, nel 2005, è la più grande nave della marina mercantile italiana. Per sette anni naviga nel Mediterraneo, fa tappa in decine di porti. Quello di Civitavecchia, dove attracca la mattina di venerdì 13 gennaio, è il penultimo della crociera “Profumo d’agrumi”. A bordo ci sono 3216 passeggeri e 1013 membri dell’equipaggio. La sera stessa, qualche minuto prima delle 19:00, la Concordia lascia lo scalo laziale e fa rotta su Savona. Mezz’ora prima, in cabina di comando, si decide una deviazione. Antonello Tievoli, primo maître, ha una casa sulla piccola isola del Giglio, al largo di Grosseto, dove vive la madre, e per omaggiarla chiede al comandante Francesco Schettino di effettuare un “inchino”. Una manovra per avvicinarsi alla costa e “salutare” chi osserva da terra. La crociera avanza per 35 miglia nautiche (65 chilometri) alla velocità costante di 16 nodi (29 km/h). Alle 21:30, si trova a poche centinaia di metri dall’isola. Iniziano le manovre per l’inchino. La distanza fra la riva e la nave si riduce pericolosamente. Schettino se ne accorge e ordina le manovre per rimediare. È troppo tardi.

«Madonna ch’aggio cumbinato» – Alle 21:45:07 la chiglia urta uno scoglio a centro metri dalla riva. La roccia apre nella pancia della Concordia uno squarcio lungo 70 metri e alto 7. L’acqua si riversa nei locali dei motori e dei quadri elettrici. La nave perde spinta, a bordo avviene un blackout. Scattano tutti gli allarmi di avaria. Schettino impiega pochi secondi per capire cos’è accaduto: «Abbiamo urtato uno scoglio? Madonna ch’aggio cumbinato», dice a un sottoposto. Una manciata di minuti e l’imbarcazione è ingovernabile. Alle 22:02, mentre ai Carabinieri di Prato arriva la prima telefonata d’allarme, la capitaneria di porto di Civitavecchia si mette in contatto con la plancia. Schettino minimizza, omette, parla solo del blackout. Eppure sa benissimo quanto sia grave la situazione. Tanto che, alle 21:58, ha telefonato a Roberto Ferrarini, capo dell’unità di crisi di Costa Crociere, e gli ha parlato chiaramente della falla. Alle 22:09, altra telefonata, questa volta da Porto Santo Stefano (Grosseto). Niente da fare, Schettino riferisce solo della mancanza di energia elettrica.

Il frammento di scoglio incastrato nella chiglia della Concordia (foto Massimo Sestini)

«Abbandonare la nave» – Sui ponti, nei ristoranti, nelle cabine, i passeggeri intuiscono che c’è un problema. Tutti hanno sentito il rumore sordo dell’impatto. Nove minuti dopo l’urto gli altoparlanti annunciano un problema ai generatori elettrici. Nessuno parla di falle. Nessuno sa che la nave sta imbarcando acqua. Istintivamente, centinaia di persone si radunano nei punti di riunione. L’allarme generale parte solo alle 22:33. In ritardo. Drammaticamente in ritardo. I periti nominati dal tribunale di Grosseto stabiliranno che già alle 21:58 Schettino avrebbe dovuto lanciare l’allarme. Il comandante impiega quaranta minuti (22:25) per ammettere, parlando con la capitaneria di porto di Livorno, che sì, una voragine si è aperta su un fianco e più di uno scompartimento è allagato. Finalmente chiede di avviare le procedure di soccorso. Passa un’altra mezz’ora di panico. Alle 22:54 il comandante in seconda Roberto Bosio dà ordine di abbandonare la nave. La decisione è stata presa in cabina di comando venti minuti prima.

Una bugia tira l’altra – Ormai la Concordia è governata dalle onde. La poppa sbanda, la nave ruota su se stessa e appena passate le 23:00 si incaglia sul fondale di Cala del Lazzaretto. L’imbarcazione inizia a inclinarsi (parola fatale…) sul lato destro. Le prime lance e zattere di salvataggio sono state calate da qualche minuto, il loro peso ha accelerato lo sbandamento sul fianco. La capitaneria di Livorno chiede a tutte le imbarcazioni nelle vicinanze di accorrere per prestare soccorso. Decine di naufraghi che si gettano in mare raggiungono la riva a nuoto. Altri vengono raccolti dalle zattere che fanno la spola tra la riva e il relitto. Su una di queste imbarcazioni di emergenza, a mezzanotte e mezza circa, sale Schettino. Centinaia di passeggeri e membri dell’equipaggio sono ancora a bordo. Alle 00:32, nuovo contatto telefonico tra il comandante e la capitaneria di Livorno: «Quante persone ci sono a bordo?» «Due-trecento». Passano dieci minuti. Schettino è già in salvo su uno scoglio. Altra telefonata: «Quanta gente deve ancora scendere?» «Mi dicono che mancano in tutto una quarantina di persone». Chi siede nella sala operativa di Livorno intuisce che i numeri non tornano: «Com’è possibile? Ma lei è a bordo?» «No, abbiamo abbandonato la nave». Schettino capisce di essersi tradito e partorisce l’ennesima bugia. Perché dall’altra parte del telefono, increduli, gli chiedono spiegazioni: «Macché abbandonata, sono qui».

«Vada a bordo, cazzo!» – Quelle conversazioni telefoniche tra la capitaneria di Livorno e il comandante fanno il giro del mondo. Una, in particolare, rimane scolpita nell’immaginario collettivo. Ore 1:46 del 14 gennaio. Da Livorno, il capitano di fregata Gregorio de Falco parla con Schettino: «Ascolti Schettino. Ci sono persone intrappolate a bordo. Adesso lei va con la sua scialuppa sotto la prua della nave. C’è una biscaggina (una scala di corda, ndr). Lei sale su quella biscaggina, va a bordo della nave e mi riporta quante persone ci sono. Le è chiaro?» «Comandante, in questo momento la nave è inclinata» «Ascolti: c’è gente che sta scendendo dalla biscaggina di prua. Lei quella biscaggina la percorre in senso inverso, sale sulla nave e mi dice quante persone e che cosa hanno a bordo. Chiaro? Mi dice se ci sono bambini, donne o persone bisognose di assistenza. Guardi Schettino che lei si è salvato forse dal mare ma io la porto… veramente molto male… le faccio passare un’anima di guai. Vada a bordo, cazzo!». Dopo un’ulteriore manciata di improperi, de Falco incassa l’”obbedisco” di Schettino. Ma il comandante a bordo non risalirà mai.

Una zattera di salvataggio bloccata sulla carena

Trentadue corpi – Le operazioni di soccorso proseguono fino alle prime ore del mattino. 3190 passeggeri e 1007 membri dell’equipaggio vengono portati in salvo. Partono le ricerche dei dispersi. Una coppia di coreani e il capo commissario di bordo vengono individuati e soccorsi la mattina del 15 gennaio. Sono gli ultimi a uscire vivi dal ventre della Concordia. I primi tre corpi senza vita vengono recuperati già all’alba del 14 gennaio. L’ultimo, quello del cameriere indiano Russel Rebello, lo trovano gli operai che stanno smantellando la nave il 3 novembre 2014. Le vittime sono trentadue.

 

Rischi e rottami – Immersa per metà, la carcassa bianca resta lì. I rischi ambientali sono i più urgenti. Nei serbatoi sono stipate 2.400 tonnellate di olio combustibile. Poi acque nere, olio lubrificante, solventi. Le operazioni di svuotamento richiedono due mesi di lavoro. Si inizia a progettare la rimozione del relitto. Mai prima di allora si è tentato di recuperare un’imbarcazione di quella stazza. Ci vogliono due anni e mezzo, complicati dallo spostamento di qualche centimetro dovuto alle onde e dalla morte di un sommozzatore spagnolo, rimasto incastrato tra le lamiere. Prima di rimuovere la nave da crociera, la si deve raddrizzare. Sul fianco sinistro vengono fissati due enormi cassoni. L’acqua che li riempie restituisce alla nave un equilibrio precario. Ne verranno installati trenta, quindici per lato, per garantire la galleggiabilità. Il 23 luglio 2014 iniziano le fasi di trasferimento verso il porto di Genova. È sotto la Lanterna, dove ha visto la luce, che la Concordia viene demolita.

Il comandante Schettino durante un’udienza del processo a Grosseto

Inferno e paradiso – Schettino, che abbiamo lasciato su uno scoglio, viene arrestato poche ore dopo essere sbarcato a riva. Deve rispondere di omicidio plurimo colposo, naufragio, abbandono di persone, abbandono di nave e omessa comunicazione dell’incidente alle autorità marittime. Assieme a lui finiscono imputate altre nove persone. Tutti patteggiano. Schettino si dichiara innocente, vuole il processo. Il tribunale di Grosseto lo condanna a 16 anni di carcere. Stessa pena in appello. La Cassazione, nel maggio 2017, conferma in via definitiva. Per lui si aprono le porte di Rebibbia. Per il comandante de Falco, eletto nel 2018 tra le fila del Movimento 5Stelle, quelle di palazzo Madama.
Dieci anni dopo, l’ultima pagina di cronaca su quella tragedia ancora non è stata scritta. Il 28 dicembre un passeggero si è visto riconoscere un danno da stress post traumatico. Costa crociere dovrà versare un risarcimento di 90mila euro. Si aggiungerà al miliardo – euro più, euro meno – che le assicurazioni hanno sborsato a centinaia di naufraghi. E anche quando l’ultimo contenzioso sarà chiuso, l’immagine di quella balena d’acciaio arenata – quel “mostro marino” che Jep Gambardella osserva dall’alto in una scena de La grande bellezza – resterà nella nostra memoria.