Fiori davanti ai cancelli di Lamina Spa

È stato l’argon e non l’azoto il gas che ha ucciso per asfissia, martedì 16 gennaio, quattro operai della Lamina spa, in quello che è considerato il più grave incidente sul lavoro nella storia recente di Milano. A confermarlo, le autopsie fatte lunedì all’Istituto di medicina legale. La presenza dell’argon chiarisce la dinamica dell’episodio, ma l’inchiesta dei pm Tiziana Siciliano e Gaetano Ruta ha l’obiettivo di scoprire perché l’assenza di ossigeno non sia stata segnalata dall’allarme e da dove sia uscito quel gas. Intanto stamattina la fabbrica è stata dissequestrata ed è tornata operativa, tranne che nella parte del forno e della vasca dove si è verificata la perdita.

Cronaca della tragedia – L’argon, un gas con peso specifico molto alto, ha ristagnato nella “fossa” sotto il forno per scaldare l’acciaio e l’ha completamente riempita. Stando all’autopsia, l’elettricista Marco Santamaria, il responsabile di produzione Arrigo Barbieri e l’operaio Giuseppe Setzu, una volta scesi i gradini della scaletta, sono «svenuti immediatamente» e sono morti «in pochissimi secondi». Anche per il fratello di Barbieri, Giancarlo, morto in ospedale due giorni dopo, i danni sono stati irreparabili.

L’allarme – Ieri i magistrati, con gli esperti dei vigili del fuoco e dei carabinieri, sono tornati nell’azienda per fare una sorta di esperimento e analizzare tutti gli impianti del forno nelle medesime condizioni del giorno dell’incidente. Gli inquirenti hanno accertato che l’allarme funzionava: si sarebbe quindi dovuto attivare, poiché le condizioni dell’aria erano «incompatibili con la vita». Il meccanismo è stato disattivato? O è stato ignorato? Questa seconda possibilità appare poco probabile, anche perché gli altri operai, nelle testimonianze, hanno affermato di non aver sentito segnali d’allerta. Un’altra ipotesi, che sembra avvalorata dai racconti dei dipendenti e dalle analisi sugli impianti, è che il direttore di produzione Barbieri e l’elettricista Santamaria siano scesi per sistemare un guasto elettrico che, in quel momento, ritenevano minore.

I gas – Il forno in cui è avvenuto l’incidente  assomiglia a una grossa campana utilizzata per scaldare l’acciaio prima di altre lavorazioni. Sotto, nella “fossa”, ci sono gli impianti collegati al macchinario. Nella “campana”, quando si lavora con l’acciaio viene pompato azoto per evitare l’ossidazione, mentre quando si lavora con il titanio il gas di supporto è l’argon. Entrambi i gas, dunque, sarebbero compatibili con un uso corretto del forno (della marca austriaca Ebner, risalente agli anni Ottanta). L’incidente potrebbe essere quindi avvenuto per una coincidenza tra il mancato allarme e un guasto che ha provocato la fuoriuscita del gas. I prossimi accertamenti punteranno a capire da dove sia arrivato l’argon che ha riempito la “buca”.