La Resistenza e la guerra di liberazione compiono settant’anni. Il 25 aprile 1945 finirono i 595 giorni che a partire dall’8 settembre ’43 avevano sconvolto intimamente l’Italia dal crollo del fascismo, alla Repubblica di Salò fino alle stragi nazi-fasciste che insanguinarono il Paese. I giorni tra l’armistizio del ’43 e la vittoria furono tra i più convulsi della storia dell’Italia, divisa tra l’avanzata alleata a sud e l’insurrezione partigiana nel nord.
Una questione storica
In realtà la guerra durò ancora qualche mese, fino a maggio. Ai tanti che diedero il meritò all’intervento straniero di Usa e Gran Bretagna fu lo stesso premier inglese Winston Churchill a rispondere, dicendo che l’Italia «doveva la propria libertà ai caduti partigiani perché solo combattendo si conquista la libertà». Mentre da sud avanzava il fronte alleato, il colpo di grazia alla Repubblica di Salò arrivò con l’insurrezione armata nelle grandi città del nord: Genova, Milano, Torino, Venezia, Bologna. La stessa Milano, che celebra la liberazione il 25 aprile, salutava la fine del regime la sera del 24, con la liberazione del quartiere Niguarda.
Due giorni dopo, il 27 aprile, il regime avrebbe perso il suo rappresentante più significativo, Benito Mussolini. Il duce venne catturato a Dongo, condotto a Milano, giustiziato ed esposto alla folla la mattina del 29 aprile in Piazzale Loreto.
Mentre il lento trascorrere del tempo assottiglia le fila dei combattenti partigiani, il Paese si prepara a celebrare l’anniversario. Il presidente del consiglio Matteo Renzi ha scelto di iniziare le celebrazioni andando a Marzabotto, vicino a Bologna. Con lui il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. «Questa è la storia di un pezzo d’Italia drammatica e tragica e io sono qui per inginocchiarmi davanti a questa storia» spiega Renzi davanti al municipio del paese che pagò il contributo più alto alla guerra con oltre 770 morti massacrati dai soldati nazisti.
Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini
Piero Calamandrei
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della visita di alcuni partigiani alla Camera dei deputati dello scorso 16 aprile, aveva parlato della guerra di liberazione definendola sopratutto una “rivolta morale”. «Questo sentimento – ha detto ancora il capo dello Stato – costituisce un patrimonio che deve permanere nella memoria collettiva del Paese».
La memoria e la sua trasmissione
In occasione dell’anniversario abbiamo mandato in onda uno speciale radiofonico dal titolo “70 anni di Liberazione: Il passaggio di testimone tra i protagonisti di ieri e di oggi“. Il fulcro della trasmissione riguarda il rapporto tra i testimoni di quel periodo e le modalità di trasmissione della memoria. Pur con l’avanzare degli anni i partigiani non rinunciano a combattere per trasmettere la memoria. Per Luigi “Cin” Grossi passare da una scuola all’altra per raccontare la resistenza è necessario perché: «Il nostro passato non è assolutamente conosciuto. Il 25 aprile è quasi diventato una favola anche se per me è ancora ieri». Giuseppe Colsani, storico partigiano del quartiere Niguarda, racconta del valore della resistenza ma anche della paura nei combattimenti: «Avevamo dalla nostra la giovinezza. Giravo con il mitra ma avevo paura di usarlo».
Oltre ai protagonisti diretti di quegli anni tanto hanno fatto le arti per raccontare la Liberazione. Libri e musica hanno contribuito a dare una forma alla memoria, una forma umana ma ricca di emozione. Allo stesso tempo anche il fumetto ha contribuito a dare un volto ai migliaia di partigiani che hanno combattuto per liberare il Paese.
Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire
Sandro Pertini
Un ruolo chiave nella liberazione arrivò anche dagli operai delle fabbriche. Gli scioperi e l’attività di supporto alla resistenza accompagnarono le azioni all’interno degli stabilimenti Pirelli, Breda e Falck di Milano e Sesto San Giovanni. Gli stessi stabilimenti Pirelli subirono la più grande deportazione di operai da parte delle truppe nazi-fasciste. Le azioni dei lavoratori andavano dal blocco della produzione di mezzi per l’esercito italiano fino alla lotta armata dentro e fuori gli stabilimenti. Oggi in quei luoghi restano solo un paio di targhe commemorative e una memoria che lentamente si spegne. Nonostante tutto Milano celebrerà, insieme a Sesto San Giovanni, i settant’anni della liberazione con diversi eventi nei luoghi più significativi della resistenza.
Alberto Bellotto