La villetta di Caselle Torinese dove si è consumato il triplice delitto

La villetta di Caselle Torinese dove si è consumato il triplice delitto

«Le televisioni e i giornali mi hanno fatto fare una brutta figura. Per loro ero addirittura più colpevole di quanto non lo fossi per i magistrati». Dopo la paura arriva la rabbia. Ora piange Maurizio Allione, l’unico sopravvissuto alla strage di Caselle. Piange per quello che è successo ai suoi cari, piange per il peso di un sospetto terribile, portato per tre infiniti giorni: il sospetto di essere l’assassino della nonna, della mamma e del padre. Un sospetto che in passato non poche volte hanno sentito su di sé superstiti di altri gravi delitti, da Erba a Gravina di Puglia, passando per Perugia. Solo per citare gli ultimi più noti.

Per Maurizio, tutto è cominciato con quelle ripetute convocazioni nella caserma dei carabinieri. Interrogato per ore lui, interrogata la fidanzata, interogato l’amico con cui aveva trovato i corpi. Ogni interrogatorio sembrava un nuovo sospetto. Fino all’ultimo verbale, riempito dopo 13 ore a tu per tu con gli investigatori. Ma in quella stessa notte, tra il 7 e l’8 gennaio, a pochi chilometri di distanza da Caselle, in un’altra caserma, il “vero” killer stava confessando. «Sì, sono stato io. L’ho fatto per i soldi», ha ammesso Giorgio Palmieri, convivente dell’ex domestica di casa Allione. In quello stesso istante, Maurizio passava da essere il sospettato numero uno, all’orfano a cui hanno sterminato la famiglia. Non era lui il “mostro di Caselle”.

Il sollievo che deve aver provato Maurizio Allione non deve essere stato molto diverso da quello sentito da Azouz Marzouk, il tunisino additato per ore e ore come il responsabile della strage di Erba, l’11 dicembre 2006. Tutto sembrava condurre a lui, marito di Raffaella Castagna, padre del piccolo Youssef, genero di Paola Galli, vicino di casa di Valeria Cherubini, le quattro vittime. Qualche precedente penale, il sospetto di interessi diversi dietro un matrimonio osteggiato dai familiari e poi soprattutto la sua assenza. Che sembrava una fuga. «L’assassino viaggia su un furgone bianco, sappiamo dov’è», dissero dalla Procura di Como. L’indentikit non poteva che essere quello di Azouz Marzouk. Ma in realtà il mostro di Erba non era mai scappato, non era un extracomunitario, ma abitava al piano di sotto dell’appartamento della strage. La testimonianza dell’unico sopravvissuto, Mario Frigerio, rimese a posto le tesssere del giallo: Azouz non c’entrava niente col massacro della sua famiglia, i colpevoli erano Rosa Bazzi e Olindo Romano, i vicini di casa.

È ancora una volta uno straniero e di colore il primo sospettato – per errore – anche per la morte di Meredith Kercher a Perugia. Quando fu ritrovato il corpo senza vita della studentessa inglese di 21 anni la coinquilina Amanda Knox puntò subito il dito contro Patrick Lumumba, proprietario del bar dove lei lavorava. All’inizio gli inquirenti le credono, Lumumba viene arrestato. Solo in seguito la testimonianza di Amanda viene ritenuta inattendibile e si incomincia a sospettare che nasconda altre responsabilità. Nel 2009 il proprietario del pub viene risarcito con 8000 euro per ingiusta detenzione e Amanda nel frattempo condannata in secondo grado a tre anni per calunnia. Oltre ad essere ancora imputata – tra alterni verdetti – insieme al fidanzato dell’epoca Raffaele Sollecito, proprio per l’omicidio di Meredih. Il quadro si ribalta.

Altre volte è il caso a scagionare l’indiziato. Due anni è durato li calvario, Filippo Pappalardi, accusato di uno dei peggiori delitti, aver ucciso i due figli, Francesco e Salvatore, scomparsi da Gravina di Puglia il 5 giugno 2006. Pappalardi viene anche arrestato con le accuse di sequestro di persona, duplice omicidio e occultamento di cadavere. In realtà, nessuno li aveva uccisi i suoi figli. Erano caduti per sventura in una cisterna a pochi passi da casa. E lì, per caso appunto, solo quando un altro bambino cadde nello stesso pozzo, furono ritrovati i corpi di Ciccio e Tore. Erano passati due anni e allora per Filippo Papplardi ci fu il dolore della conferma della perdita dei figli, ma non più l’infamante accusa di esserne il responsabile. Ancora una volta, il mostro non era quello che all’inizio sembrava.

Giorgia Wizemann