Un altro naufragio e un’altra polemica. Sotto accusa nuovamente la dinamica dei soccorsi: questa volta quelli che hanno raggiunto tardi il barchino che si è rovesciato a cento miglia dalla Libia con un bilancio di 30 dispersi in mare. Pd e Cinque Stelle hanno attaccato il governo, schierandosi dalla parte delle Ong, mentre i partiti di maggioranza sono rimasti sulla difensiva.

Le accuse – L’Ong Alarm Phone, che si occupa di raccogliere e inoltrare le chiamate di emergenza, e che anche in quel caso aveva inviato l’Sos, ha accusato i governi: «Li hanno lasciati morire». Anche la Seawatch ha ribadito: «A Roma la sala operativa ci buttava giù il telefono». La comunicazione tra esecutivo Meloni e organizzazioni non governative è solo peggiorata dall’approvazione del cosiddetto decreto Ong. Su questo Roberto Fico, ex presidente della Camera e leader del Comitato di garanzia del Movimento 5 Stelle, ha attaccato il governo: «L’impegno è quello di salvare le vite in mare, non certo approvare decreti dannosi come quello sulle Ong». La prima a parlare era stata Elly Schlein, che a conclusione dell’assemblea di Partito, riferendosi alla tragedia, aveva detto: «È una vergogna», e aveva definito il Mediterraneo «un cimitero a cielo aperto», chiedendo un minuto di silenzio.

Accuse dall’Ue – Dopo la risposta di Ursula von der Leyen a Meloni e le dichiarazioni dei Paesi europei sulla strage di Cutro, è arrivata l’accusa su Twitter di Iratxe Garcia Perez, la presidente del Gruppo dei socialisti e democratici del Parlamento europeo: «Un’altra catastrofe evitabile che mostra la vera mancanza di umanità e compassione nel governo Meloni». 

http://

La risposta del governo – Il ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani è stato il primo a rispondere alle accuse: «Disastri e morti non vanno mai strumentalizzati». Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia ha attribuito le responsabilità al governo libico, facendo riferimento a quanto riportato nel comunicato della Guardia costiera: «Il soccorso è avvenuto fuori dall’area di responsabilità italiana». Dopo aver accusato la sinistra di speculare sulle tragedie del Mediterraneo, Gasparri ha ribadito la soluzione proposta da esponenti del governo: bloccare le partenze con un’iniziativa internazionale. 

Le procedure internazionali – La zona del naufragio si trova al di fuori dei confini marittimi italiani, ma la Convenzione Sar di Amburgo del 1979, in vigore dal 1985, stabilisce che le aree di soccorso non corrispondono necessariamente alle frontiere del Paese. In caso di allarme per persone in pericolo in mare, ogni Stato allertato è chiamato ad intervenire. Nel caso specifico quindi Italia, Libia e Malta avrebbero dovuto coordinare i soccorsi. Sempre in base alla stessa Convenzione, è il Paese responsabile dei soccorsi a doversi accertare che le persone vengano portate in salvo in un luogo sicuro. Ecco perché i 17 migranti scampati al naufragio si trovano ora in Italia. A intervenire per prima è stata una nave mercantile battente bandiera Antigua & Barbuda, due piccole isole vicino a Porto Rico. Secondo la Solas, Convenzione internazionale varata nel 1914 (dopo il disastro Titanic), in caso di emergenza la notizia viene estesa a tutte le unità in transito in quell’area, siano esse militari o civili. 

Le leggi italiane – L’ultima norma è il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri che si è riunito a Cutro il 9 marzo. Prevede l’inasprimento delle pene per i reati connessi all’immigrazione e sveltisce la procedura di espulsione disposta a seguito di condanna. A metà febbraio era invece stato approvato dalla Camera il decreto legge sulle Ong: la norma obbliga, tra le altre cose, le organizzazioni non governative a procedere allo sbarco subito dopo ogni salvataggio, vietando, di fatto, ulteriori operazioni di rescue.