«Da oggi, alle varie identità di cui vi parlerò posso aggiungere quella di milanese». Così l’intellettuale francolibanese Amin Maalouf ha salutato il pubblico meneghino che si è raccolto mercoledì 17 novembre al teatro Dal Verme per la serata inaugurale della decima edizione di Bookcity. L’autore del libro Identità assassine, recentemente riedito in Italia dalla Nave di Teseo, ha ricevuto dal sindaco Beppe Sala il sigillo della città. Nel corso della serata, intitolata Riannodare volontà e ragione, Maalouf ha dialogato con il professor Nuccio Ordine sulla complessità dell’identità e della convivenza civile.
Un esame d’identità – «Quando si parla di identità, mi viene in mente l’esame di coscienza che ci facevano fare i gesuiti, dai quali andavo a scuola», racconta Maalouf. «A me viene da fare l’esame di identità», ha detto lo scrittore, sottolineando che oggi le persone sono incoraggiate a considerare un unico elemento di appartenenza come la loro identità. Ma questo, per Maalouf, porta «a entrare in conflitto con gli altri. Sono convinto che ognuno debba accettare tutti gli elementi che compongono la sua identità: solo così l’identità non è più assassina». Mentre nel mondo del XX secolo si lottava per le ideologie, ha spiegato l’intellettuale, oggi si lotta per un’appartenenza, che non viene adottata in maniera attiva dal singolo, ma con la quale si nasce. «Prima si cercava di convincere, ora si rivendica solo un’appartenenza e non c’è più il dibattito».
Il mondo come agorà – La questione identitaria, secondo Maalouf, è resa ancora più urgente dalla tecnologia, che crea l’impressione che tutto il mondo si trovi nella stessa agorà: «Questo fa sentire tutti minacciati nella propria identità. Perciò la vogliamo continuamente affermare, allontanandoci così dagli altri». Vivere insieme è un’azione da portare avanti in modo consapevole, ha continuato: «Per questo secondo me ci vorrebbe un ministero della convivenza, per arrivare alla pace civile».
Il ricordo di Sepúlveda – Dal palco del Dal Verme è anche stato ricordato Luis Sepúlveda: lo scrittore cileno, morto per il Covid nell’aprile 2020, aveva aperto la prima edizione di Bookcity, nel 2012. A parlare del suo affetto per i lettori italiani, c’era l’autrice Carmen Yañez, sua moglie, intervistata da Achille Mauri. Con la voce rotta dall’emozione, Yañez ha ringraziato il pubblico dopo aver letto una poesia scritta nei giorni in cui Sepúlveda era ricoverato in ospedale: «Le mie giornate iniziavano molto presto e finivano all’una e mezza, quando il medico mi chiamava per dirmi che Luis era ancora con noi, che stava ancora lottando». La serata, animata dal pianista Guido Coppin e moderata dalla giornalista Marianna Aprile, si è poi chiusa con una riflessione dello scrittore Paolo Giordano sulla parola “dopo”, su ciò che succederà nel post pandemia.