Alzi la mano chi, dal 1984 in poi, non ha mai pensato che l’attuale progresso tecnologico stia scandendo il tempo che manca all’attivazione di Skynet, il programma informatico che nei film della serie Terminator prende il controllo dei sistemi missilistici americani e dà il via a una vera e propria apocalisse nucleare. Da quel momento in poi, i sopravvissuti guidati da John Connor tenteranno di tutto per non soccombere ai cyborg T-800 e liberare il mondo dalle macchine. Eppure, diversamente dall’immaginario distopico creato da James Cameron, nella vita reale i progressi nei campi della robotica e dell’intelligenza artificiale potrebbero rivelarsi i migliori alleati degli umani che perdono il posto di lavoro proprio a causa della crescente automatizzazione. Questa, almeno, è la tesi di molti analisti e studiosi che in piena quarta rivoluzione industriale sostengono la necessità di introdurre l’Ubi (Universal basic income) – il reddito minimo garantito – per raggiungere quello che per molti rappresenta lo zenit del capitalismo liberale.

Operaie dell'azienda Foxconn

Operaie dell’azienda Foxconn

L’orizzonte, nel breve periodo, non pare però così roseo. Durante l’ultimo World Economic Forum che si è tenuto come ogni anno a Davos, in Svizzera, è stato presentato un report dal titolo The Future of jobs. Employment, Skills and Workforce Strategy for the Fourth Industrial RevolutionNelle conclusioni del documento, le stime parlano di circa sette milioni di lavoratori che nei prossimi cinque-sette anni saranno sostituiti da una macchina. Un dato confermato da alcuni studiosi di Oxford secondo cui, nei soli Stati Uniti, il 47% dell’attuale forza lavoro potrebbe essere rimpiazzata a causa del progresso tecnologico mentre la metà delle esistenti occupazioni sarà automatizzata entro il 2033. Il gigante taiwanese FoxConn (dove si produce l’iPhone e sono impiegate circa un milione di persone), per esempio, ha recentemente annunciato che non assumerà più alcun operaio umano dal momento che i robot possono fare lo stesso lavoro in modo più efficiente e più economico. D’altronde, le cifre riportate da un report della Casa Bianca al Congresso lo scorso febbraio parlano chiaro: l’83% dei lavoratori che guadagnavano meno di 20 dollari l’ora nel 2010 sono soggetti a perdere il proprio posto di lavoro a vantaggio di una macchina. A maggior rischio, insomma, sono le occupazioni di tipo ripetitivo e manuale, quelle che dal tempo di Henry Ford hanno formato le classi medie delle società occidentali e che non riuscirebbero più a reinserirsi nel mondo del lavoro. Inoltre, dagli anni ’70 in poi con l’introduzione di una sempre maggiore automatizzazione in ogni settore produttivo, l’andamento del tasso di aumento salariale e dell’avanzamento tecnologico hanno smesso di andare di pari passo. In sostanza, un robot produce di più e costa meno.

Rapporto fra produttività e compenso orario (Fonte: Extremetech.com)

Rapporto fra produttività e compenso orario (Fonte: Extremetech.com)

«Tutto d’un tratto le persone guardano a questi trend e cominciano a farsi domande sul futuro del proprio lavoro, realizzando che sono questioni più impellenti di quanto si immaginassero» ha affermato Roy Bahat, direttore del fondo d’investimento Bloomberg Beta finanziato da Bloomberg L.P. e sostenitore dell’Ubi. Chi ha interessi nel settore tecnologico si ritrova a essere il primo promotore di un sistema di welfare che riesca a contrastare una diseguaglianza sociale non più eliminabile attraverso il lavoro. Ma come si struttura l’Ubi? Si tratterebbe di un reddito minimo distribuito dallo Stato ai propri cittadini per far fronte alle spese di tutti i giorni e permettersi di concentrarsi sui propri hobby e le proprie aspirazioni: veri e propri sostitutivi del lavoro tradizionale. I fondi necessari dovrebbero essere garantiti dalle aziende stesse che reinvestirebbero così il surplus economico dovuto ai risparmi sui costi del lavoro. Un think tank inglese, a dicembre 2014 ha fatto i calcoli proponendo di partire con un assegno di 308 sterline, pari a 388 euro. «Ma il vero problema – affermano Anthony Painter e Chris Thoung, gli autori della ricerca – rimangono le persone: le vite che siamo capaci di condurre, il senso di sicurezza necessario per perseguire le nostre ambizioni e la nostra capacità di aiutarci reciprocamente innovando e sviluppando il potenziale creativo della società».

poletti

Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti

E proprio dalla Gran Bretagna è arrivato il primo segnale in favore dell’Ubi: il primo aprile, il premier David Cameron ha innalzato il salario minimo inglese da 6,7 a 7,20 sterline lorde all’ora (+7,5%), circa 9,20 euro. Lo stesso Cameron ha anche previsto un aumento del salario minimo, da qui al 2020, del 30%, cioè 9 sterline lorde l’ora, 11,4 euro. L’Italia, invece, è fra gli ultimi cinque Paesi dell’Unione europea a non aver ancora introdotto alcuna forma di reddito minimo sebbene non manchino le proposte a partire da quella del Movimento 5 Stelle, passando per quella del presidente Inps, Tito Boeri, all’esperienza della giunta Serracchiani in Friuli Venezia Giulia. In una recente intervista a Repubblica, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha ribadito il piano del Governo: un bonus da 320 euro al mese per un milione di poveri accompagnato da un piano per la loro inclusione sociale. «È un cambiamento radicale – dice Poletti – perché nel nostro Paese non c’è mai stato un istituto unico nazionale a carattere universale. Vogliamo dare a tutti la possibilità di vivere dignitosamente».

Nicola Grolla