Più che le pressioni a livello internazionale in difesa dei diritti umani è stato il boicottaggio dei suoi hotel di lusso a convincerlo. Il sultano del Brunei Hassanal Bolkiah domenica 5 maggio, parlando per la prima volta in pubblico della nuova legge basata sulla sharia, annuncia la retromarcia sull’applicazione della pena di morte prevista per omosessuali, stupratori e adulteri. Il sultano, pur consentendo la moratoria, ha difeso le nuove norme «il cui merito – ha detto – apparirà chiaro in seguito».

La legge – Il piccolo Stato islamico nel 2014 aveva annunciato l’inasprimento delle pene e il 3 aprile di quest’anno ha messo in atto il giro di vite «progressivo» del nuovo Codice Penale della sharia, la legge islamica che prevede punizioni corporali. La prima fase, partita dal 1° maggio 2014, si era limitata a multe o pene detentive per comportamento indecente, consumo di alcol, non partecipazione alla preghiera del venerdì e gravidanza extraconiugale. Mentre le nuove regole, applicabili solo ai due terzi musulmani di una popolazione totale di sole 420.000 persone, prevedevano la lapidazione «davanti a un gruppo di musulmani» per chi ha relazioni omosessuali e per chi si macchia di adulterio. Non solo: il furto potrà essere punito con l’amputazione di una mano, nel caso di prima infrazione, e di un piede nel caso il ladro sia recidivo. La pena di morte in Brunei è già obbligatoria per omicidio, possesso illegale di armi da fuoco e di esplosivi e traffico di droga. Dal 1992 il possesso di più di 200 grammi di cannabis o di oppio è un reato capitale e, dal 2002, la pena di morte è prevista anche per chi traffica o spaccia più di 50 grammi di metanfetamina. Altri reati capitali sono: terrorismo, rapimento, tradimento, incendio doloso di certi beni pubblici, reati militari, falsa testimonianza in un processo capitale che si concluda con la condanna a morte di un innocente. Nonostante la severità del sistema giuridico del micro sultanato, l’ultima esecuzione nel Brunei è avvenuta nel 1957, mentre la condanna a morte più recente risale al 2017.

Le reazioni della comunità internazionale – Il nuovo codice islamico che mette in pratica la svolta integralista del sultanato aveva già scatenato nel 2014 una serie di proteste globali e qualche isolata critica interna, messe a tacere dal sultano che aveva definito la riforma un «dovere in base all’Islam», respingendo le «teorie infinite» riguardo la crudeltà delle punizioni stabilite dalla sharia sono crudeli: «Secondo la teoria, la legge di Allah è crudele e ingiusta, ma Allah stesso ha detto che la sua legge è davvero giusta». Ma il nuovo inasprimento della normativa ha scatenato le reazioni di tutte le organizzazioni a sostegno dei diritti umani. Di sanzioni «profondamente sbagliate» e legge da «fermare immediatamente» ha parlato Amnesty International, che ha sottolineato come «rapporti consensuali tra individui dello stesso sesso non dovrebbero neanche essere considerati reato». Human Rights Watch ha invece definito il piano come un «progetto delirante». «L’applicazione della pena di morte per una così ampia gamma di reati viola il diritto internazionale», ha detto Rupert Colville, portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), il quale ha aggiunto che «secondo il diritto internazionale, la lapidazione costituisce tortura oltre che una punizione o trattamento crudele, inumano o degradante ed è quindi chiaramente vietata». Non solo proteste generalizzate e pressioni da parte delle Nazioni Unite che hanno chiesta l’immediato ritiro della nuova direttiva, ma anche boicottaggi lanciati via social dallo star system. George Clooney ed Elton John, tra gli altri, hanno chiesto di boicottare la catena degli hotel di lusso di proprietà della Brunei Investment Agency, tra cui il Dorchester di Londra, il Beverley Hills Hotel di Los Angeles, Le Meurice di Parigi, l’Hotel Eden di Roma e l’Hotel Principe di Savoia di Milano. Da qui la decisione di domenica 5 maggio, riportata dalla Bbc, di invertire la rotta sull’estensione della pena di morte, che arresta per il momento il processo di radicalizzazione del piccolo Stato del Sud-Est asiatico.

Dove l’omosessualità è un reato capitale – I dati presentati da ILGA (International Lesbian & Gay association) nel maggio 2017 parlano chiaro: gli atti sessuali tra adulti consenzienti consumati in privato sono puniti con la pena di morte ancora in diversi Paesi. Sei gli Stati in cui la pena di morte viene applicata attivamente, quattro a livello nazionale (Iran, Arabia Saudita, Yemen e Sudan) e due in determinate province (Somalia e Nigeria). Numero che sale a otto se si considerano anche alcune zone dell’Iraq e della Siria occupate da Daesh. Vi sono poi altri cinque Stati (Afganistan, Pakistan, Qatar, Emirati Arabi e Mauritania) dove la pena di morte è prevista per legge ma viene sostituita con pene inferiori.