Le proteste a Cuba saranno anche rare, ma quando scoppiano, forse servono. O così sembra, se a distanza di appena quattro giorni dall’inizio delle manifestazioni il governo ha deciso di eliminare i dazi su molti beni d’importazione che i viaggiatori potranno portare con sé arrivando o rientrando sull’Isola e di aumentare gli stipendi dei dipendenti statali. Qualcosa si è mosso, insomma, ma non abbastanza per attivisti e manifestanti come la giornalista e critica del governo Yoani Sanchez che ha twittato: «No, non vogliamo le briciole. Vogliamo la libertà. Il sangue non è stato versato per le strade cubane solo per importare qualche valigetta in più».

 

Una decisione necessaria – È stato il primo Ministro cubano Manuel Marrero Cruz ad annunciare la cancellazione delle tariffe sulle importazioni in un discorso proninciato alla televisione di Stato lo scorso mercoledì 14 luglio. «Si tratta di una richiesta avanzata da moltissimi viaggiatori, per questo la decisione si è rivelata necessaria», ha detto, aggiungendo che «il governo valuterà l’efficacia delle liberalizzazioni dopo il 31 dicembre».

 

Il ministro dell’Economia Alejandro Gil ha invece reso noto che il governo intende aumentare gli stipendi pubblici attraverso una profonda revisione della «scala salariale, che sarà gradualmente eliminata, nelle imprese statali, il che aumenterà la loro autonomia e migliorerà il reddito dei lavoratori».
Entrambi i provvedimenti sono un chiaro tentativo da parte del regime di accogliere alcune delle istanze dei manifestanti. Non è detto, però, che questi provvedimenti avranno effetti tangibili sulla crisi economica che sta attraversando Cuba. A causa della pandemia sono pochissime le persone che viaggiano verso l’isola caraibica ed è proprio l’aumento degli stipendi deciso a inizio anno ad aver innescato la spirale inflazionistica degli ultiimi mesi.
Le misure arrivano subito dopo un altro provvedimento inderogabile. Sempre mercoledì 14 luglio, il governo ha ripristinato l’accesso a internet su tutto il territorio nazionale dopo averlo bloccato nella serata di domenica 11 luglio, data in cui le rivolte hanno iniziato a prendere campo.

La cronologia delle proteste – Domenica 11 luglio, i primi manifestanti sono scesi in strada a San Antonio de Los Baños, cittadina a 30 chilometri a sudest dell’Havana per protestare contro la carenza di cibo, di energia elettrica e per l’aumento dei prezzi dovuto alla crisi economica che affligge l’isola da sempre e che la pandemia ha contribuito a esacerbare. Le dimostrazioni si sono subito allargate alla capitale e al resto del Paese e le immagini dei disordini, trasmesse via social network, hanno fatto il giro del mondo.

 

Le proteste antigovernative sono un evento raro a Cuba, anche perché il regime punisce duramente gli oppositori. Intervenendo alla televisione cubana, il presidente Miguel Diaz-Canel ha chiamato in causa gli Stati Uniti, accusandoli di aver assoldato mercenari per destabilizzare il Paese nel tentativo di rovesciare il regime comunista e scaricando sulla superpotenza le responsabilità per il disastro economico che i cittadini dell’isola sperimentano sulla loro pelle ogni giorno. Nel suo discorso, Diaz-Canel ha anche invitato la popolazione a insorgere contro i manifestanti “controrivoluzionari” in modo attivo: «L’ordine di combattere è stato dato: andate nelle strade, Rivoluzionari!». I gruppi filogovernativi hanno occupato i luoghi iconici della capitale e della rivoluzione inneggiando a Fidel Castro. La possibilità di scontri tra le due fazioni ha suscitato preoccupazione negli osservatori internazionali e soprattutto nella cerchia dei diplomatici statunitensi e delle Nazioni Unite, tanto che anche il presidente americano è intervenuto chiedendo al regime cubano di non reprimere il diritto dei manifestanti a protestare: «Il popolo cubano sta coraggiosamente rivendicando i propri diritti universali», ha commentato Joe Biden.

 

Nella notte di domenica 11 luglio è stato interrotto l’accesso a internet, le notizie da Cuba si sono fatte frammentarie ma i giornalisti di Agence France-Presse e Associated Presse hanno contato centinaia di arresti, annunciando anche la prima vittima degli scontri, il 36enne Diubis Laurencio Tejeda, la cui identità è stata confermata dal governo cubano nella mattina di mercoledì scorso.

Perché adesso – L’ultima manifestazione antigovernativa a Cuba, nonché la prima dall’insediamento del governo rivoluzionario presieduto da Fidel Castro, risale al 1994. E se è vero che le proteste aperte sono un fenomeno raro nell’isola, è altrettanto vero che a distanza di quasi trent’anni, il panorama sociale cubano è profondamente cambiato anche al netto della continuità governativa.
Nonostante l’isola sia riuscita a tenere a bada la pandemia per tutto il 2020, incarnando un esempio di prevenzione e risposta al virus guardato con ammirazione da tutto il mondo – impossibile, a tal proposito, dimenticare la delegazione di medici e aiuti umanitari che lo scorso aprile partivano alla volta dell’Europa per soccorrere l’Italia in balia dello sciame epidemico – nel 2021 il coronavirus è riuscito a mettere in ginocchio anche la sanità cubana, fiore all’occhiello del regime comunista. Nelle ultime settimane la curva dei contagi si è impennata: i numeri ufficiali parlano di 7mila nuovi casi e circa 50 morti al giorno, anche se i dati reali potrebbero essere superiori. Sono numerosissime le testimonianze via social di chi racconta di aver perso un familiare in casa, morto senza ricevere cure mediche a causa del collasso delle strutture ospedaliere. Sempre via social è stato lanciato l’hashtag #SOSCuba, per chiedere l’intervento umanitario dei Paesi stranieri.

Nonostante l’innegabile successo, per un Paese di poco più di 10 milioni di abitanti sottoposto a embargo, di essere riuscito a sviluppare un vaccino di comprovata efficacia secondo l’Oms, la campagna di immunizzazione stenta a entrare nel vivo e nel Paese vige ancora il coprifuoco.

La crisi economica – Privando l’Isola del turismo, il Covid ha inceppato ancora di più il motore già ingolfato dell’economia cubana, con effetti diretti sulle tasche dei cittadini. Ma anche il pacchetto di riforme economiche proposto a inizio anno dal governo ha contribuito all’innalzamento vertiginoso dei prezzi. A fronte di una modesta crescita dei salari, l’economista  Pavel Vidal, dell’Università Pontificia Juveriana di Cali, ha stimato che il prezzo dei beni di prima necessità potrebbe crescere tra il 500 e il 900 percento nei prossimi mesi.
A ciò si aggiungono problemi ormai endemici nell’isola come i blackout elettrici e la scarsità di medicine e cibo che costringono la popolazione a code interminabili.

Internet – Nel 1994, la notizia delle proteste sul lungomare della Havana non raggiunse la maggior parte dei cubani, soprattutto quelli che vivevano fuori della Capitale. Nel 2021, invece, le immagini da San Antonio de los Baños sono arrivate in tempo reale via social network a tutta l’isola, innescando una reazione a catena nella capitale e nei maggiori centri urbani. La liberalizzazione della rete è cominciata sotto la presidenza di Raul Castro e oggi la maggior parte dei giovani cubani ha accesso a Facebook, Twitter e Instagram. Queste piattaforme raccolgono da anni il malcontento nei confronti del regime e sono sempre più utilizzati come principale fonte di informazione.