«Non sono un dittatore» assicurava Jovenel Moise al New York Times qualche mese prima del suo omicidio. Presidente di Haiti dal 2017, è stato ucciso nella sua abitazione da un commando nella mattina del 6 luglio. Insieme a lui sono stati feriti anche la moglie e i suoi figli. La polizia di Haiti ha dichiarato di aver ucciso quattro dei «mercenari» nelle prime ore 7 luglio, altri due sono stati invece arrestati. Secondo il primo ministro Claude Joseph, subentrato ad interim alla guida del paese, si tratta di «stranieri che parlavano inglese e spagnolo».
Istituzioni disastrate – L’omicidio del presidente rischia di far precipitare una situazione già drammatica. Il parlamento è stato sciolto a ottobre 2019 e mai più rinnovato. Semplicemente le elezioni legislative non si sono mai tenute. Quando è stato ucciso, Moise governava per decreto da due anni. La svalutazione della moneta e la crisi da Covid hanno reso ancor più complicato il suo mandato. Il presidente aveva molti nemici, poca popolarità e diversi scandali alle spalle, complice l’elezione che lo portò al potere, la meno partecipata della storia di Haiti (21% degli aventi diritto).
È solo l’ultima tappa della tragedia delle istituzioni haitiane. In teoria la forma di governo è una repubblica semipresidenziale con l’esecutivo formato da Presidente e Primo Ministro. Sotto di loro un parlamento bicamerale in un contesto partitico estremamente frazionato. Prima dell’ultimo scioglimento i 119 seggi della camera bassa erano divisi tra più di 20 formazioni politiche. Da sempre le camere sono affette da problemi di inefficienza cronica, incapaci persino di presentare un bilancio negli ultimi due anni.
Travagliata libertà – A partire dalla sua indipendenza dall’impero francese nel 1804, il paese non ha mai conosciuto stabilità politica. A ben vedere, i problemi economici di Haiti iniziano proprio nei giorni successivi all’indipendenza, quando fu costretta a pagare 150 milioni di franchi di riparazioni ai francesi espropriati. Una crisi che si trascinò fino al 1914 quando la folla inferocita uccise l’allora presidente Guillaume Sam. Per evitare un focolaio di instabilità a due passi da Cuba, gli Stati Uniti occuparono il paese. Venti anni dopo l’occupazione, quando gli Usa si ritirarono, i problemi cronici di Haiti erano ancora peggiori.
Il regime dei Doc e i ’90 di Aristide – L’isola caraibica dovrà aspettare il 1957 (e almeno due tentativi di golpe) per il primo presidente eletto a suffragio universale. Quell’uomo era Francois Duvalier, soprannominato “Papa Doc”, e nel 1964, dopo due mandati, si dichiarò presidente a vita. Duvalier governò l’isola col pugno di ferro grazie alla sua personale milizia di “uomini spettro”, i Tonton Macoute, colpevole di atroci crimini contro gli oppositori politici del Doc. Nel ’71 fu la volta di suo figlio, anche lui dittatore a vita, anche a lui accusato di aver fatto scomparire i suoi nemici – secondo il Washington Post sono 60.000 le persone che persero la vita durante il regime dei Duvalier.
A catalizzare il malcontento contro la dittatura ci pensò una visita di Giovanni Paolo II. Deposto dai militari, Duvalier fu esiliato in Francia, ma le elezioni del 1987 non si tennero perché il paese fu insanguinato da una rivolta delle ultime milizie dei Doc. Nel 1988 le urne diedero vita a un governo che durò appena tre mesi, prima di essere esautorato da un colpo di stato. Sei anni dopo l’esercito degli Stati Uniti tornava sull’isola per evitare il caos e per quasi tre mandati le istituzioni funzionarono, con le presidenze di Jean Bertrand Aristide. Nel 2004, tuttavia, un nuovo colpo di Stato esautorò il presidente.
Ad Haiti non si vive – Nuove consultazioni si tennero nel 2006 ma nel 2010, anno delle nuove elezioni, Haiti fu devastata da un terremoto di Magnitudo 7.0, che uccise 300mila persone e ne lasciò un milione e mezzo senza casa, praticamente il 15% della popolazione. La maggior parte degli edifici istituzionali rimase inutilizzabile e i danni causati furono stimati intorno a 7.8miliardi di dollari – il 50% del Pil del paese. Haiti, già martoriato dalle tempeste tropicali negli anni precedenti, era al collasso, complice anche la diffusione di un’epidemia di colera terminata solo nel 2017, dopo 10mila vittime.
Haiti oggi è il paese più povero dell’emisfero settentrionale, il 170esimo del mondo su 189 censiti. In più la crescita economica è a segno negativo da tre anni. Si tratta della nazione con il coefficiente di diseguaglianza più alto di tutte le Americhe. Ad avere accesso all’acqua potabile sono appena il 50% degli Haitiani, mentre almeno un terzo soffre di malnutrizione. Le macerie del terremoto non sono ancora state rimosse e la corruzione dilaga. Indici di un paese che non ha mai assaporato la stabilità politica negli ultimi 220 anni.
Gang e massacri – La violenza è all’ordine del giorno e – come riporta Internazionale – le bande criminali agiscono di concerto con il governo. Commistione che ha portato gli Usa a sanzionare alcuni funzionari del governo di Moise nel 2020. Nel mirino di Washington il massacro di 71 persone in una baraccopoli di Port-au-Prince nel 2018, il cui mandante sarebbe Richard Duplan, il rappresentante dipartimentale del governo di Moise.
Ma gli omicidi e le intimidazioni sono ormai un problema endemico. Come si legge in una nota del Dipartimento del tesoro americano «Con il sostegno di alcuni politici haitiani, le bande criminali reprimono la dissidenza politica nei quartieri di Port-au-Prince più attivi nelle manifestazioni antigovernative. La bande ricevono soldi, protezione politica e armi da fuoco in abbondanza, tanto da essere meglio equipaggiate della polizia». Sempre secondo Internazionale, il G9, il più importante sodalizio criminale del paese, governa insieme al partito del presidente e ne rappresenta il braccio armato.
Cosa succederà non è chiaro. Innanzitutto, ci sono dubbi persino su chi stia guidando il paese adesso. Claude Joseph ha assunto la carica di presidente ad Interim, ma Ariel Henry, ultimo dei primi ministri voluti da Moise, rivendica per sé quel ruolo. Il problema è che Henry è stato nominato il 5 luglio e la sua nomina ratificata dalla Gazzetta ufficiale, nemmeno 24 ore prima dell’omicidio del Presidente. Intanto Joseph ha dichiarato lo stato di assedio, presagio che non lascia sperare bene per il futuro istituzionale di Haiti.
Immagine in evidenza: “A view of Delmas 32, a neighborhood in Haiti which many residence are beneficiaries of the PRODEPUR- Habitat project” by World Bank Photo Collection is licensed under CC BY-NC-ND 2.0