Per candidarsi a Hong Kong, bisognerà superare il vaglio di un comitato fedele al governo cinese. La decisione di Pechino segna la fine sostanziale dello status speciale dell’ex colonia britannica, perché mina anche la legittimità formale delle elezioni locali. «Questa legge non lascia di fatto più spazio al dissenso e a una reale rappresentazione politica», ha commentato all’emittente tedesca Deutsche Welle la politologa dell’Università di Notre Dame Victoria Hui. 

I contenuti della legge – La risoluzione, approvata oggi 11 marzo 2021 dall’Assemblea Nazionale del Popolo di Pechino con 2895 voti a favore, zero contrari e un astenuto, riforma profondamente il sistema elettorale di Hong Kong. Per via dell’accordo firmato con il Regno Unito nel 1997, la città gode di maggiori diritti rispetto al resto della Cina, come un certo grado di libertà di stampa e di espressione e la possibilità di eleggere democraticamente metà della propria assemblea. La riforma prevede che una commissione apposita gestita da Pechino possa bloccare le candidature «non sufficientemente patriottiche», con un potere di veto sulle figure pro-democrazia più popolari. Il numero degli eletti passa poi da 70 a 90, garantendo più posti ai gruppi leali a Pechino. Infine, vengono riorganizzati i collegi elettorali, con le aree storicamente pro-democrazia che sarebbero meno rappresentate. Il governo di Londra è stato il primo a protestare contro una legge che «elimina lo spazio per il dibattito democratico», ma le azioni possibili non sono molte contro il gigante cinese.

Colpo di grazia –  Il Vice-Presidente dell’Assemblea Nazionale del Popolo Wang Chen ha dichiarato che «il cambiamento si è reso necessario, perché i disordini e le rivolte a Hong Kong sono un chiaro segno delle lacune del sistema elettorale locale». La popolarità dei gruppi pro-democrazia da tempo preoccupa il governo cinese. Nonostante la condanna della comunità internazionale per le repressioni delle proteste del 2019, Pechino ha approvato nel giugno 2020 ha approvato una dura legge sulla sicurezza nazionale. Grazie a quest’ultima, i principali leader dell’opposizione sono stati incarcerati, come l’attivista Joshua Wong e il magnate delle comunicazioni Jimmy Lai.

L’opposizione – Per i gruppi democratici della città è un colpo molto pesante. Emily Lau, ex Presidente del Partito Democratico di Hong Kong, sostiene che se se si ritiene che le elezioni non siano oneste, non bisognerebbe prenderne parte. Si finirebbe solamente per dare legittimità al regime, come fanno i gruppi non comunisti all’Assemblea Nazionale del Popolo di Pechino, è il ragionamento dell’oppositrice. Gli attivisti assicurano che la resistenza continuerà con modalità alternative, ma gli spazi sembrano ridursi sempre più al lumicino.