L’Italia opererà in Libia. Per il momento solo con le unità speciali, ma in futuro non si escludono i “boots on the ground”. Nell’edizione del 3 marzo il Corriere della Sera ha pubblicato uno stralcio del decreto del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, emanato lo scorso 10 febbraio e subito secretato. Tra le pieghe si legge che il presidente del consiglio potrà autorizzare operazioni militari mirate con l’ausilio dell’Aise, la divisione dei servizi segreti che opera fuori dai confini nazionali.

Nel testo, varato dall’esecutivo, si ribadirebbero modalità operative e linee di comando dello scorso, già previste nel decreto missioni dello scorso anno. In sostanza, le forze speciali coordinate da Palazzo Chigi avranno le stesse funzioni dei servizi segreti, ovvero godranno di immunità per eventuali reati commessi.

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Per la Libia dovrebbero partire una cinquantina di uomini divisi in tre gruppi

Le disposizioni hanno fatto andare su tutte le furie l’opposizione, soprattutto il Movimento cinque stelle. Per Manlio Di Stefano, capogruppo dei pentastellati in Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera, la decisione del Governo «è  il completamento dell’idea renziana di governo, che è tornato alla preistoria della democrazia stessa. E che pensa di portare avanti le sue politiche di alleanze con partner molto discutibili come l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti d’America». Per Di Stefano il decreto cerca di baipassare l’autorità del Parlamento: «Renzi sa che non ha l’appoggio di deputati e senatori su alcune cose, come l’intervento in Libia, e ovviamente ha trovato un escamotage per farlo lo stesso. Questa decisione testimonia il fallimento di Renzi e Gentiloni su tutta la linea».

Nei prossimi giorni dovrebbero partire circa 40-50 incursori del Reggimento d’assalto “Col Moschin”, che verranno schierati in tre gruppi: uno nella zona di Tripoli, un altro in corrispondenza degli impianti Eni di Mellita e un terzo nei pozzi del Fezzan a sud del Paese. In realtà questo piccolo contingente si aggiunge ad altri uomini dei servizi italiani che operano in terra libica da diverso tempo. Le operazioni italiane si affiancano così a quelle francesi, iniziate a febbraio, e quelle britanniche. Al momento l’azione della comunità internazionale è bloccata dalla mancanza di un governo unitario. Ma nel caso in cui si trovasse un accordo si potrebbe pensare all’invio di truppe, probabilmente tremila uomini. Nel caso in cui il governo si presentasse in aula per chiedere l’autorizzazione, il M5s sarebbe pronto a fare una dura opposizione: «Siamo assolutamente contrari e faremo le barricate in aula insieme a quanti vorranno farlo», aggiunge Di Stefano.

La Libia però rimane una questione irrisolta anche alla luce della morte di due ostaggi italiani avvenuta nella mattinata del 3 marzo. L’instabilità dell’area e l’ascesa dell’Isis non possono però essere ignorati.Ed è per questo che i Cinque stelle hanno già pronta un’alternativa: «In Libia bisogna lavorare su due fronti: da un lato vanno cercate reali azioni diplomatiche per portare a un’unità nazionale con il coinvolgimento di tutte le tribù mettendo tutti intorno allo stesso tavolo, senza pensare che a questo tavolo comandino gli Stati Uniti o l’Occidente. Dall’altro – conclude Di Stefano – vanno fermati i finanziamenti all’Isis che è la causa della destabilizzazione del Paese, con l’interruzione immediata degli accordi economici con l’Arabia Saudita e con i paesi che alimentano indirettamente il terrorismo».

Alberto Bellotto