La fotografia pubblicata dal profilo Facebook "Febbraio al Ajilat-2"

La fotografia pubblicata dal profilo Facebook “Febbraio al Ajilat-2”

Due italiani potrebbero essere stati uccisi in Libia. «Sono in corso verifiche rese difficili dalla non disponibilità dei corpi», si legge in una nota ufficiale della Farnesina. La notizia è stata divulgata nella mattinata di giovedì 3 marzo, quando il profilo Facebook libico “Febbraio al Ajilat-2” – dopo aver pubblicato la fotografia del cadavere di un uomo con la barba bianca e una tuta blu – ha denunciato la presenza di italiani tra i jihadisti della filiale libica dello Stato Islamico.

«Relativamente alla diffusione di alcune immagini di vittime di sparatoria nella regione di Sabratha in Libia, apparentemente riconducibili a occidentali, la Farnesina informa che da tali immagini e tuttora in assenza della disponibilità dei corpi, potrebbe trattarsi di due dei quattro italiani, dipendenti della società di costruzioni “Bonatti”, rapiti nel luglio 2015 e precisamente di Fausto Piano e Salvatore Failla», scrive il Ministero degli Affari Esteri, che aggiunge di aver già avvertito le famiglie.

Fausto Piano, 61 anni, originario di Capoterra (in provincia di Cagliari), e Salvatore Failla, 46enne di Carlentini (in provincia di Siracusa), erano stati sequestrati la scorsa estate insieme ad altri due dipendenti italiani – Gino Tullicardo e Filippo Calcagno – a Mellitah, una località a 60 chilometri da Tripoli. Mellitah è la sede della stazione di compressione del gas libico della cui assistenza e manutenzione si occupa la stessa Bonatti.

La sparatoria a cui fa riferimento la Farnesina è avvenuta mercoledì 2 marzo, quando le milizie di Sabratha hanno ucciso sette presunti combattenti di Isis in un raid nell’ovest del Paese. Piano e Failla avrebbero perso la vita durante un trasferimento: il convoglio sul quale si trovavano, secondo quanto si è appreso in ambienti giudiziari, sarebbe stato attaccato dalle forze di sicurezza libiche e tutti i passeggeri sarebbero morti. Le salme sarebbero poi state recuperate dai terroristi del Califfato.

«Erano tutti stranieri, tra loro c’erano anche italiani», commenta sotto le foto di altri cadaveri di jihadisti l’account Facebook “Febbraio al Ajilat-2”. Un testimone libico, rientrato a Tunisi da Sabratha, riferisce all’Ansa che i due ostaggi italiani «sono stati usati come scudi umani» dai combattenti dell’Isis e che sarebbero morti «negli scontri» con le milizie di mercoledì 2 marzo a sud della città, nei pressi di Surman. Ma fonti di intelligence rivelano che solo pochi giorni fa i quattro operai della Bonatti non si trovavano in mano all’Isis bensì a una delle molte milizie della galassia criminale che imperversa nel Paese. Non è escluso che i prigionieri siano stati ceduti a uno dei gruppi legati all’Isis.

Nei mesi scorsi l’intelligence ha più volte cercato di stabilire un contatto con i sequestratori, ma a contribuire al fallimento dei numerosi tentativi c’è stato inoltre un avvicendamento degli uomini dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) che si occupavano del sequestro. È circolata poi anche la notizia, non confermata, secondo cui i rapitori in passato avrebbero contattato i famigliari degli ostaggi per dettare loro alcune condizioni per la liberazione degli uomini.

Andrea Federica de Cesco