Tornano in bilico le elezioni libiche, previste per il prossimo 24 dicembre. Nelle prime ore del mattino di oggi 16 dicembre, alcune milizie armate hanno circondato l’ufficio del premier del governo ad interim Abdul Hamid Dbeibah a Tripoli. Non si registrano particolari scontri e i membri dell’esecutivo sono stati portati in una località sicura, ma l’episodio mostra come la situazione del Paese sia tutt’altro che tranquilla e come la consultazione elettorale, se ci sarà, non risolverà l’impasse in cui la Libia si trova si trova da più di dieci anni.

«Non ci sarà alcuna elezione» – Non è chiaro a chi facciano riferimento le milizie scese in strada oggi a Tripoli. Pare che a far precipitare la situazione sia stata la scelta del presidente del Consiglio Presidenziale Mohammed el-Menfi di sostituire il comandante militare della regione della capitale Abdul Basit Marwan, vicino ai gruppi armati locali, con il generale Abdel Qader Mansour. La situazione è tuttavia poco definita, con alcune fonti che tendono a sminuire ulteriormente la portata dell’episodio, parlando esclusivamente di «dispiegamento massiccio di forze per garantire la sicurezza». Ad ogni modo, è evidente come il governo abbia ben poco controllo sulle forze armate, anche nella stessa capitale. Dopo la notizia del circondamento, è intervenuto il leader delle milizie della città di Misurata Salah Badi, che ha dichiarato: «Non ci sarà alcuna elezione fino a che i nostri uomini sono sul terreno. Chiuderemo tutte le istituzioni statali». Il comandante misuratino si è anche scagliato contro Stephanie Williams, la diplomatica americana nominata di recente rappresentante personale per la Libia del Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, definendo il suo ruolo nel Paese «criminale».

Un Paese nel caos – Era stata proprio Williams a mediare per il cessate il fuoco tra Tripolitania e Cirenaica nel 2019 e a indire le elezioni per il prossimo 24 dicembre. Ma la consultazione elettorale, benedetta anche ieri dal ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio nel suo incontro a Roma con l’omologa libica Najla Al Mangush, rischia di essere rinviata. Manca ancora l’organizzazione pratica, ma soprattutto sono ancora troppe le forze armate fuori dal controllo dello Stato. La divisione all’interno del Paese è ancora molto forte e quasi certamente gli sconfitti non accetterebbero il risultato delle urne. L’opzione più probabile a questo punto è un rinvio della consultazione al 2022, anche se non ci sono ancora certezze in tal senso.

Il ritorno di Gheddafi – I candidati alle elezioni sono decine, a partire dal premier ad interim Dbeibah. Il primo ministro aveva assunto l’incarico nel marzo di quest’anno e doveva essere un semplice traghettatore del Paese verso le urne, ma il mese scorso ha annunciato la propria candidatura. Si presenta anche il generale della Cirenaica Khalifa Haftar, le cui milizie controllano ancora la parte orientale della Libia. La sua candidatura era stata inizialmente respinta dalla corte di giustizia, ma il suo ricorso è stato accolto e potrà presentarsi alle elezioni. Lo stesso percorso ha seguito la discesa in campo di Saif al-Islam Gheddafi. La popolarità del figlio del “Colonnello” sembra essere in ascesa ma, per il momento, non saranno le urne a decidere il destino della Libia.